Ndrangheta a Lecco_#7E45 - Trasparente
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'<strong>Ndrangheta</strong><br />
a cura di <strong>Lecco</strong> Antimafia<br />
1
Indice<br />
● Introduzione........................................3<br />
● Scripta Manent..............................4-22<br />
● Relazione Parlamentare..............23-35<br />
● '<strong>Ndrangheta</strong> lecchese................36-100<br />
● Vittime delle mafie..................101-106<br />
● Bibliografia<br />
Pippo Fava, intellettuale, romanziere, giornalista, ucciso da Cosa nostra a Catania il 5 gennaio 1984<br />
2
L'Etica libera la bellezza<br />
Il senso di questo (corposo) dossier è duplice: Memoria e Impegno. Le parole d'ordine<br />
della giornata del ricordo delle vittime delle mafie. Cittadini divenuti eroi perché liberi.<br />
Da Paolo Borsellino a Giovanni Falcone, da Peppino Impastato a Rosario Livatino, da<br />
Rocco Chinnici a Cesare Terranova, da Ilaria Alpi a Mario Francese, da Giovanni<br />
Spampinato a Don Peppino Diana, da Pio La Torre a Don Puglisi, da Libero Grassi a tutti<br />
coloro che scelsero il coraggio intellettuale della Verità come arma di Resistenza civile<br />
dinnanzi alla corleonizzazione dell'Italia. Giornalisti, uomini politici, magistrati, forze<br />
dell'ordine, intellettuali: cittadini.<br />
Questo libretto vuol contribuire a far sì che il loro ricordo non si riduca ad una spenta<br />
liturgia quanto in una reazione concreta. La mafia non è un fenomeno circoscritto al<br />
Meridione d'Italia, non lo è mai stato. La capitale delle mafie si chiama Milano. La mafia<br />
più potente al Nord del paese è la '<strong>Ndrangheta</strong> calabrese. Anche la nostra città, <strong>Lecco</strong>, ha<br />
conosciuto e conosce tuttora l'odiosa infiltrazione mafiosa. Eppure non se ne parla.<br />
S'ignora; per ignoranza, per connivenza e per paura. Paura di denunciare le estorsioni, il<br />
controllo di locali pubblici frequentati, lo spaccio di cocaina, i prestiti ad usura, il traffico di<br />
rifiuti e la presenza più o meno taciuta in imprese edili.<br />
Totò Riina, capo storico di Cosanostra, era solito affermare che la curiosità fosse<br />
“l'anticamera della sbirritudine”. Questo dossier, così come questa giornata, vuol proprio<br />
stimolare alla curiosità, all'informazione e all'indignazione. Componenti essenziali per<br />
sollevare il capo e ribellarsi. Per parlare ai propri familiari, amici, colleghi o conoscenti del<br />
fenomeno mafioso nel territorio lecchese, lombardo e italiano. Essere curiosi permette di<br />
non risultar succubi di verità preconfezionate; informarsi ed informare significa liberarsi e<br />
poter scoprire sempre qualcosa di nuovo; indignarsi rende coscienti e liberi.<br />
In queste pagine troverai articoli di giornalisti, sociologi, vittime di mafia e cronaca locale.<br />
Interpretazioni intellettuali, denunce, approfondimenti e semplici fatti. Nomi, date,<br />
avvenimenti e contenuti. Il risultato è, ahìnoi, drammatico: la mafia a <strong>Lecco</strong> è esistita e<br />
continua ad esistere. Nell'oblio di troppi silenzi.<br />
Inoltre potrai trovare la Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa<br />
legislatura. Come anticipazione ne abbiamo riportato un frammento:<br />
“Tale famiglia [Coco Trovato, ndr] nonostante la condanna all'ergastolo dei capi Franco<br />
Coco Trovato e Mario Coco Trovato è riuscita infatti a rioccupare il territorio di<br />
influenza, e cioè quello di <strong>Lecco</strong>, grazie alla discesa in campo e alla reggenza di figli,<br />
nipoti e consaguinei [...].”<br />
La Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sulla 'Nrangheta, 2008<br />
Dinnanzi a una situazione come quella attuale non si può restare in silenzio.<br />
La Memoria rende giustizia al passato, verità al presente e coscienza al futuro.<br />
“Chi non si ribella al dolore umano, non è innocente”<br />
Pippo Fava, giornalista, intellettuale e romanziere ucciso dalla mafia a Catania il 5<br />
gennaio 1984<br />
<strong>Lecco</strong> Antimafia <strong>Lecco</strong>, 21 marzo 2009<br />
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Scripta Manent<br />
4
L’ultima intervista del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa<br />
"Come combatto contro la mafia "<br />
di Giorgio Bocca, da La Repubblica del 10 agosto 1982<br />
PALERMO - La Mafia non fa vacanza, macina ogni giorno i suoi delitti; tre morti<br />
ammazzati giovedì 5 fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia, altri tre venerdì, un<br />
morto e un sequestrato sabato, ancora un omicidio domenica notte, sempre lì, alle porte di<br />
Palermo, mondo arcaico e feroce che ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo<br />
internazionale, del "wind surf" nel mare azzurro di Mondello. Ma è soprattutto il modo che<br />
offende, il "segno" che esso dà al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e allo Stato: i killer<br />
girano su potenti motociclette, sparano nel centro degli abitati, uccidono come gli pare, a<br />
distanza di dieci minuti da un delitto all'altro.<br />
Dalla Chiesa è nero: "Da oggi la zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di<br />
catturare gli assassini ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile,<br />
l'arroganza mafiosa deve cessare".<br />
Che arroganza generale?<br />
"A un giornalista devo dirlo? uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li<br />
mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una<br />
strada centrale di Palermo".<br />
Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu prefettizio vive con un certo disagio la sua<br />
trasformazione: dai bunker catafratti di Via Moscova, in Milano, guardati da carabinieri in<br />
armi, a questa villa Wittaker, un po' lasciata andare, un po' leziosa, fra alberi profumati,<br />
poliziotti assonnati, un vecchio segretario che arriva con le tazzine del caffè e sorride come<br />
a dire: ne ho visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la Mafia.<br />
Generale, vorrei farle una domanda pesante. Lei è qui per amore o per forza? Questa quasi<br />
impossibile scommessa contro la Mafia è sua o di qualcuno altro che vorrebbe bruciarla?<br />
Lei cosa è veramente, un proconsole o un prefetto nei guai?<br />
"Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto<br />
chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non<br />
mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i<br />
poteri per vincerla nell'interesse dello Stato".<br />
Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2<br />
aprile scorso ha deciso che lei deve "coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale"<br />
la lotta alla Mafia.<br />
"Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati".<br />
Vediamo un po' generale, lei forse vuol dirmi che stando alla legge il potere di un prefetto è<br />
identico a quello di un altro prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è<br />
implicito che lei sia il sovrintendente, il coordinatore.<br />
"Preferirei l'esplicito".<br />
5
Se non ottiene l'investitura formale che farà? Rinuncerà alla missione?<br />
"Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla Mafia, non per discutere<br />
di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire di più".<br />
No, parliamone, queste faccende all'italiana vanno chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di<br />
dittatura antimafia? I poteri speciali del prefetto Mori?<br />
"Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di Mori comandava i<br />
carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad Agrigento e di altri a Trapani a<br />
Enna o anche Messina, dove occorresse. Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel<br />
"pascolo" palermitano e non nel resto d'Italia non farebbe che perdere tempo".<br />
Lei cosa chiede? L'autonomia e l'ubiquità di cui ha potuto disporre nella lotta al<br />
terrorismo?<br />
"Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico solo che le ho<br />
già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede competente. Spero che si<br />
concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno attendere sviluppi positivi".<br />
Ritorna con la Mafia il modulo antiterrorista? Nuclei fidati, coordinati in tutte le città<br />
calde?<br />
Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista, disciplina giovinetto: questo<br />
singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro di diplomazie italiane ma con squarci di<br />
candori risorgimentali. Difficile da capire.<br />
Generale, noi ci siamo conosciuti qui negli anni di Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il<br />
'66 e il '73 in funzione antimafia, il giovane ufficiale nordista de "Il giorno della civetta".<br />
Che cosa ha capito allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?<br />
"Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l'istituto del soggiorno obbligatorio era un<br />
boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica, dalle informazioni, dai<br />
trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i Collura, i Criscione si sono tutti<br />
ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da<br />
Liggio con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949.<br />
Chiedevo notizie sul loro conto e mi veniva risposto: " Brave persone". Non disturbano.<br />
Firmano regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a<br />
Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a Parigi".<br />
E oggi ?<br />
"Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una<br />
svolta storica. E' finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi<br />
la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il<br />
consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi<br />
lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova<br />
mappa del potere mafioso?"<br />
Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso, ucciso nell'agguato sull'autostrada, si<br />
quando ammazzarono anche i carabinieri di scorta, non era il cugino dell'assessore ai<br />
6
lavori pubblici di Catania?<br />
"Si ".<br />
E come andiamo generale, con i piani regolatori delle grandi città? E' vero che sono sempre<br />
nel cassetto dell'assessore al territorio e all'ambiente?<br />
"Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare l'abusivismo".<br />
Senta generale, lei ed io abbiamo la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse,<br />
le stesse vicende italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il<br />
figlio di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato riempito<br />
di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?<br />
"E' accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata nei<br />
confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività politica e l'impegno del suo<br />
lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi riserva. E quando lui ha<br />
dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho<br />
fatto ricerche su questo fatto nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai<br />
signori del "palazzo". Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente<br />
quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può<br />
uccidere perché è isolato".<br />
Mi spieghi meglio.<br />
"Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse aveva intuito che<br />
qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità dell'amministrazione. Anche<br />
nella DC aveva più di un nemico. Ma l'esempio più chiaro è quello del procuratore Costa,<br />
che potrebbe essere la copia conforme del caso Coco".<br />
Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia brigatista esistono affinità elettive?<br />
"Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la maggioranza della<br />
procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola. Ma è isolato, dunque può essere<br />
ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così è stato per Coco: magistratura, opinione<br />
pubblica e anche voi garantisti eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII<br />
ottobre. Coco disse no. E fu ammazzato".<br />
Generale, mi sbaglio o lei ha una idea piuttosto estesa dei mandanti morali e dei complici<br />
indiretti? No, non si arrabbi, mi dica piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.<br />
"Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge, di mettere<br />
accanto alla "associazione a delinquere" la associazione mafiosa".<br />
Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno<br />
le prove che sia anche a delinquere?<br />
"E' materia da definire. Magistrati, sociologi, poliziotti, giuristi sanno benissimo che cosa<br />
è l'associazione mafiosa. La definiscono per il codice e sottraggono i giudizi alle opinioni<br />
personali".<br />
7
Come si vede lei generale Dalla Chiesa di fronte al padrino del "Giorno della civetta"?<br />
"Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti<br />
ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo<br />
conosco".<br />
Mi faccia un esempio.<br />
"Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti dice, come per<br />
combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè dai tali. Il nome è illustre. Se io<br />
non so che in quella casa l'eroina corre a fiumi ci vado e servo da copertura. Ma se io ci<br />
vado sapendo, è il segno che potrei avallare con la sola presenza quanto accade".<br />
Che mondo complicato. Forse era meglio l'antiterrorismo.<br />
"In un certo senso si, allora avevo dietro di me l'opinione pubblica, l'attenzione dell' Italia<br />
che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti negli uffici alti, giornalisti, magistrati,<br />
uomini politici. Con la Mafia è diverso, salvo rare eccezioni la Mafia uccide i malavitosi,<br />
l'Italia per bene può disinteressarsene. E sbaglia".<br />
Perché sbaglia, generale?<br />
"La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi,<br />
o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa<br />
"accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro<br />
sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno<br />
trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancora di<br />
più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei<br />
commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i<br />
rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere".<br />
E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale?<br />
"Il segreto bancario. La questione vera non è lì. Se ne parla da due anni e ormai i mafiosi<br />
hanno preso le loro precauzioni. E poi che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno<br />
benissimo da anni chi sono i loro clienti mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle banche<br />
o a Bagheria o volta per volta, ma in modo globale".<br />
Generale Dalla Chiesa, da dove nascono le sue grandissime ambizioni?<br />
Mi guarda incuriosito.<br />
Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i<br />
Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il<br />
prefetto Mori e il bandito Giuliano, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra<br />
sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo<br />
Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole<br />
riprovare.<br />
"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere<br />
della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di<br />
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vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto<br />
che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho<br />
capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose,<br />
dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari<br />
diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti<br />
i nostri alleati".<br />
Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora Dalla Chiesa, oggetto misterioso<br />
della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella. Mah! In apparenza non ci sono guardie,<br />
precauzioni. Il generale assicura che non c'erano neppure negli anni dell'antiterrorismo.<br />
Dice che è stata la fortuna a salvarlo le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un<br />
mondo migliore.<br />
"Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno dei Lyons. Ma ci andai in<br />
borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo arrestai, aveva in tasca l'elenco<br />
completo di quelli che avevano firmato il necrologio per la mia prima moglie. Di tutti<br />
sapevano indirizzo, abitudini, orari. Nel caso mi fossi rifugiato da uno di loro, per<br />
precauzione. Ma io precauzioni non ne prendo. Non le ho prese neppure nei giorni in cui<br />
su "Rosso" appariva la mia faccia al centro del bersaglio da tirassegno, con il punteggio<br />
dieci, il massimo. Se non è istigazione ad uccidere questa?"<br />
Generale, sinceramente, ma a lei i garantisti piacciono?<br />
Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno accenna un<br />
inchino e mormora: "Eccellenza”.<br />
Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso da Cosanostra il<br />
3 settembre 1982. Il Generale dei Carabinieri arrivò a<br />
Palermo poco dopo l'omicidio del segretario regionale del<br />
Partito Comunista Italiano, Pio La Torre, ad opera della<br />
mafia il 30 aprile '82. Non appena giunse a Palermo, Dalla<br />
Chiesa richiese immediatamente uomini e mezzi per poter<br />
contrastare lo strapotere di Cosanostra. Chi glielo aveva<br />
promesso si rimangiò la parola data. Dalla Chiesa restò solo,<br />
disarmato. Scelse allora di operare una virata culturale nella<br />
lotta alla mafia: andò nelle scuole, parlò con studenti e<br />
cittadini palermitani. Assicurare i diritti che lo stato s'era<br />
scordato di garantire, questo il suo obiettivo.<br />
Il sindaco di Palermo Martellucci e il presidente della Sicilia D'Acquisto non furono<br />
gregari quanto piuttosto delatori istituzionali.<br />
La mafia non ci mise troppo. Avendo scelto coscientemente di sfidare Cosanostra,<br />
Dalla Chiesa pagò il conto la sera del 3 settembre 1982. Un commando composto da<br />
una decina di uomini strinse la A 112 guidata dalla moglie del Generale, Emanuela<br />
Setti Carraro, in via Carini. Pino Greco, Calogero Ganci e Antonino Madonia<br />
spararono con un AK47. Dalla Chiesa e sua moglie morirono all'istante, l'agente<br />
Domenico Russo spirò poco dopo in ospedale. Un cittadino palermitano, poco dopo<br />
la strage, scrisse su un muro di via Carini “qui è morta la speranza dei siciliani<br />
onesti”.<br />
9
L'ultima intervista di Giuseppe (Pippo) Fava ad Enzo Biagi<br />
28 dicembre 1983 – Rete4<br />
Biagi: Giuseppe Fava, giornalista, scrittore catanese, autore di romanzi e di opere<br />
per il teatro. Fava, per i suoi racconti a cosa si è ispirato?<br />
Fava: alle mie esperienze giornalistiche. Io ti chiedo scusa ma sono esterrefatto di<br />
fronte alle dichiarazioni del regista svizzero. Mi rendo conto che c'è un'enorme<br />
confusione sul problema della mafia. Questo signore ha avuto a che fare con quelli<br />
che dalle nostre parti sono chiamati ''scassapagliare''. Delinquenti da tre soldi come<br />
se ne trovano su tutta la terra. I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre<br />
assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri,<br />
sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Bisogna chiarire<br />
questo equivoco di fondo: non si può definire mafioso il piccolo delinquente che ti<br />
impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale... quella è piccola criminalità<br />
che credo esista in tutte le città italiane e europee. Il problema della mafia è molto<br />
più tragico e importante, è un problema di vertici della nazione che rischia di<br />
portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l'Italia.<br />
Biagi: Tu hai fatto conoscenza diretta del mondo della mafia, come giornalista?<br />
Fava: Sì, ho conosciuto diversi personaggi dell'una e dell'altra parte. Attraverso le<br />
cronache, le indagini che andavamo conducendo e che abbiamo puntualmente<br />
riferito sui nostri giornali.<br />
Biagi: Chi ricordi di più di questi tipi? Dei vecchi mafiosi, ad esempio? Sono<br />
cambiati?<br />
Fava: Un uomo sì. C'è un abisso tra la mafia di vent'anni fa e quella di oggi. Allora il<br />
mafioso per eccellenza era Genco Russo. Io sono stato a casa di Genco Russo e, mi si<br />
perdoni il termine, sono stato l'unico ad avere l'onore di intervistarlo. Ad avere un<br />
memoriale firmato che iniziava con le parole ''Io sono Genco Russo, il re della<br />
mafia''. Genco Russo governava il territorio di Mussomeli dove, da vent'anni, non<br />
c'era stato non dico un omicidio ma nemmeno uno schiaffo. Non c'era un furto,<br />
tutto procedeva in ordine, nella legalità più assoluta. Era la vecchia mafia agricola,<br />
la quale governava un territorio di una forza straordinaria che il mondo di allora<br />
non poteva ignorare. Controllava tra i 15 e i 40mila voti di preferenza. Nessun uomo<br />
politico poteva ignorare questa potenza determinate. Era sufficiente che Russo<br />
spostasse quei voti non da un partito all'altro, ma anche all'interno dello stesso<br />
partito per determinare la fortuna o meno di un uomo politico. Ecco perché poteva<br />
andare alla Regione Sicilia e spalancare con un calcio la porta degli assessori: lui era<br />
il padrone. Poi la società si modificò e i mafiosi non furono più quelli come Genco<br />
Russo. I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. Anche al<br />
massimo livello. Si fanno i nomi dei fratelli Greco. Si dice che siano i mafiosi<br />
vincenti a Palermo, i governatori della mafia. Non è vero: sono anche loro degli<br />
esecutori. Sono nella organizzazione, stanno al posto loro. Un'organizzazione che<br />
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iesce a manovrare centomila miliardi l'anno. Più, se non erro, del bilancio di un<br />
anno dello Stato italiano. E' in condizione di armare degli eserciti, di possedere<br />
flotte, di avere una propria aviazione. Infatti sta accadendo che la mafia si sia<br />
impadronita, almeno nel medio termine, del commercio delle armi.<br />
Gli americani contano in questo, ma neanche loro avrebbero cittadinanza in Italia,<br />
come mafiosi, se non ci fosse il potere politico e finanziario che consente loro di<br />
esistere. Diciamo che questi centomila miliardi, un terzo resta in Italia e bisogna<br />
riciclarlo, ripulirlo, reinvestirlo. E quindi ecco le banche, questo prolificare di<br />
banche nuove. Il Generale Dalla Chiesa l'aveva capito, questa era stata la sua grande<br />
intuizione, che lo portò alla morte. Bisogna frugare dentro le banche: lì ci sono<br />
decine di miliardi insanguinati che escono puliti dalle banche per arrivare alle opere<br />
pubbliche. Si dice che molte chiese siano state costruite con i soldi insanguinati<br />
della mafia.<br />
Biagi: una volta si diceva che la forza dei mafiosi è la capacità di tacere. Adesso?<br />
Fava: Io sono d'accordo con Nando Dalla Chiesa: la mafia ha acquisito una tale<br />
impunità da essere diventata perfino tracotante. Le parentele si fanno ufficialmente.<br />
Certo, si alzano le mani quando qualcuno sta per essere ammazzato, si cerca di<br />
tirare fuori l'alibi personale e morale. Io ho visto molti funerali di Stato. Ora dico<br />
una cosa di cui solo io sono convinto, quindi può non essere vera: ma molto spesso<br />
gli assassini erano sul palco delle autorità.<br />
Biagi: cosa vuol dire essere ''protetti'', secondo il linguaggio dei mafiosi?<br />
Fava: Poter vivere dentro questa società. Ho letto un'intervista esemplare, a quel<br />
signore di Torino che ha corrotto tutto l'ambiente politico torinese. Diceva una cosa<br />
fondamentale, una legge mafiosa che è diventata parte della cultura nazionale: non<br />
si fa niente senza l'assenso del politico e se il politico non è pagato. Noi viviamo in<br />
questo tipo di società, dove la protezione è indispensabile se non si vuol condurre la<br />
vita da lupo solitario. Questa vita può essere anche affascinante, orgogliosamente<br />
soli fino all'ultimo, ma 60 milioni di italiani non potranno farlo.<br />
Biagi: Vorrei fare a tutti una domanda: secondo voi cosa si deve fare per eliminare<br />
questo fenomeno?<br />
Fava: A mio parere tutto parte dall'assenza dello Stato e al fallimento della società<br />
politica italiana. Forse è necessario creare una seconda Repubblica, in Italia, che<br />
abbia delle leggi e una struttura democratica che elimini il pericolo che il politico<br />
possa diventare succube di se stesso, della sua avidità, della ferocia degli altri, della<br />
paura o che possa anche solo diventare un professionista della politica. Tutto parte<br />
da lì, dal fallimento degli uomini politici e della politica. Della nostra democrazia,<br />
così come con la nostra buona fede l'abbiamo appassionatamente costruita e che ci<br />
si sta sgretolando nelle mani.<br />
11
Il 5 gennaio del 1984 in via allo stadio a Catania Pippo<br />
Fava, appena uscito dalla redazione del suo giornale,<br />
viene freddato da 5 proiettili. Fin da subito le istituzioni<br />
si affrettano a dire che non è un omicidio di mafia. Il<br />
sindaco democristiano Angelo Munzone sostiene che a<br />
Catania la mafia non esiste e rifiuta i funerali di Stato al<br />
giornalista. Le indagini ed il seguente processo, fermato<br />
nell’85 per “incompatibilità ambientali” e ripreso solo<br />
nel ’94, si conclude solo nel 2003 con la condanna<br />
all’ergastolo per il boss mafioso Nitto Santapaola (il<br />
mandante) e per Ercolano (l’esecutore). Il reo confesso<br />
Avola se la cava con 7 anni. Quest’ultimo aveva parlato<br />
anche di personaggi di più alto spicco come Luciano<br />
Liggio ed alcuni imprenditori catanesi. Non si riesce<br />
però a classificarli come mandanti e le accuse decadono.<br />
12
La mafia in Lombardia<br />
di Lorenzo Frigerio – Libera Lombardia<br />
Milano nuova frontiera del crimine organizzato. Nonostante le numerose avvisaglie delle<br />
infiltrazioni mafiose nel territorio lombardo, per molti anni si è sostenuto tutt’al più che<br />
Milano fosse solamente il centro del riciclaggio del denaro sporco. Il capillare<br />
insediamento della mafia in Lombardia va invece fatto risalire agli inizi degli anni<br />
Sessanta, quando i boss si stabilirono a Milano e nell’hinterland.<br />
1960-1970: il decennio dell’iniziale “contagio”<br />
Tra i primi ad arrivare Giuseppe Doto, più conosciuto come Joe Adonis, cresciuto alla<br />
scuola di don Vito Genovese in America, durante il proibizionismo. Uscito di scena nel<br />
1962 Lucky Luciano, Doto gli subentrò nella gestione degli affari delle cosche al Nord:<br />
bische, night club, estorsioni e anche traffico di stupefacenti e preziosi, stando ai rapporti<br />
della questura di Milano. Nel maggio 1963, a conferma della presenza mafiosa, in viale<br />
Regina Giovanna, in uno scontro a fuoco tra le cosche rivali della prima guerra di mafia, fu<br />
ferito Angelo La Barbera. Quando, nel 1971, il vecchio Doto fu inviato al confino, ormai era<br />
troppo tardi: proprio l’estensione, nel 1965, del provvedimento di confino anche ai mafiosi<br />
produsse, infatti, un massiccio “esodo” di uomini delle cosche nel Nord Italia e il<br />
conseguente rafforzamento delle stesse attività illecite.<br />
Anni Settanta: Luciano Liggio e i sequestri di persona<br />
Nel 1970 Milano era ormai una base operativa dei siciliani, tanto che a giugno vi si tenne<br />
un’importante riunione con Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Tommaso Buscetta,<br />
Gaetano Badalamenti, Totò Riina e Salvatore “Cicchiteddu” Greco, l’ex capo della<br />
commissione. Nel corso degli anni Settanta, arrivarono in Lombardia Gerlando Alberti,<br />
Gaetano Carollo, i fratelli Fidanzati e poi, tra i tanti, i Ciulla, i Guzzardi e i Bono. Arrivò<br />
anche Luciano Liggio che, nel 1972, diede il via all’intensa stagione dei sequestri di<br />
persona: tra le sue vittime più illustri gli imprenditori Pietro Torielli e Luigi Rossi di<br />
Montelera. Tradito da un’intercettazione telefonica, la “primula rossa” fu arrestata il 16<br />
maggio 1974, in via Ripamonti. Quello che si aprì nel 1975 contro Liggio e trenta imputati<br />
fu un vero e proprio processo di mafia, come ricordato dalla Commissione parlamentare<br />
antimafia nella relazione del 1976. In essa si registrò con preoccupazione l’avanzata delle<br />
cosche al Nord, certamente favorita, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta,<br />
dall’invio al confino di quasi 400 uomini che, oltre ai sequestri, si dedicarono alle rapine, al<br />
contrabbando di tabacchi, stupefacenti e pietre preziose e al fiorente mercato dell’edilizia,<br />
controllando il lavoro nero nei cantieri di Milano e dell’hinterland.<br />
Anni Settanta: Francis Turatello, il re delle bische<br />
Negli stessi anni si affermò sulla scena criminale Francis Turatello, detto “Faccia d’angelo”<br />
fin dai tempi in cui muoveva i primi passi in periferia. Il feroce criminale, noto<br />
inizialmente più per le scaramucce con Renato “Renè” Vallanzasca, s’impadronì in seguito<br />
del controllo delle tante bische clandestine sparse in città e del giro della prostituzione.<br />
L’appartenenza alla mafia di Turatello fu sempre discussa, ma è certo che Cosa Nostra gli<br />
permise affari, tradizionalmente considerati “disonorevoli”, ma utili a distogliere<br />
l’attenzione delle forze dell’ordine dal traffico di stupefacenti e dal riciclaggio di denaro<br />
sporco. Turatello e la sua banda, composta per lo più da catanesi, si dedicarono con<br />
successo anche alle rapine e ai sequestri di persona, in società con la gang dei marsigliesi di<br />
Albert Bergamelli. Dopo l’arresto del 2 aprile 1977 in piazza Cordusio, “Faccia d’angelo”<br />
13
mantenne il controllo delle sue attività fino allo scontro con il suo ex luogotenente Angelo<br />
Epaminonda.<br />
1978-1984: l’epopea del Tebano e dei suoi “indiani”<br />
Dopo l’arresto di Francis Turatello, Epaminonda reclamò una maggior quota di utili sui<br />
proventi delle bische. Nello scontro con i fratelli Mirabella, rimasti fedeli a Turatello e<br />
spalleggiati da alcune famiglie palermitane, “il Tebano” poté contare su un gruppo di fedeli<br />
killer, “gli Indiani, tra cui Salvatore Paladino, Orazio D’Antonio, Antonio Scaranello,<br />
Angelo Fazio detto il Pazzo, Demetrio Latella, Illuminato Asero, Salvatore Parisi, detto<br />
Turinella. Gli Indiani furono i protagonisti della guerra che insanguinò Milano sul finire<br />
degli anni Settanta, con oltre sessanta omicidi, tra cui la strage del ristorante La Strega di<br />
via Moncucco e quella di via Lorenteggio: in entrambe le circostanze, gli Indiani, per<br />
sopprimere alcuni uomini di Faccia d’angelo, non ebbero alcuno scrupolo d’uccidere anche<br />
cittadini inermi e del tutto estranei alla faida. Stabilita la propria supremazia, dopo<br />
l’eliminazione di Turatello in carcere per volere del camorrista Raffaele Cutolo,<br />
Epaminonda, da tempo cocainomane, si dedicò solo al traffico di stupefacenti. Il Tebano fu<br />
infine arrestato nel settembre 1984 e, temendo forse di essere eliminato, iniziò a<br />
collaborare; le sue confessioni ricostruirono dieci anni di criminalità a Milano: venne così<br />
smantellata la temibile organizzazione che controllava il gioco nelle bische clandestine, il<br />
giro della prostituzione, la capillare attività del racket delle estorsione e il sempre più<br />
remunerativo mercato della droga, in collaborazione con le cosche mafiose tradizionali.<br />
1983: l’anno dei blitz contro “i colletti bianchi”<br />
Il 1983 fu un anno cruciale per la scoperta delle infiltrazioni mafiose nell’economia e nella<br />
finanza operate sulla piazza milanese. Il “blitz di San Valentino”, nella notte del 14<br />
febbraio, portò all’arresto di una quarantina di persone, alla notifica del mandato ad altre<br />
cento già in carcere e al sequestro di beni per trecento miliardi. I fratelli Bono, Ugo<br />
Martello, Antonino Enea, i fratelli Fidanzati e gli imprenditori Antonio Virgilio, Luigi<br />
Monti, Carmelo Gaeta furono accusati di riciclare denaro sporco, tramite società milanesi.<br />
La vicenda processuale si concluse però con la cancellazione dell’accusa di associazione a<br />
delinquere di stampo mafioso e la revisione del processo disposta dalla cassazione nel<br />
1991. L’11 novembre 1983, il “blitz di San Martino” (quaranta arresti e irruzioni nelle più<br />
importanti case da gioco italiane) fece fallire la scalata al Casinò di Sanremo, per il cui<br />
controllo erano in lizza due cordate, spalleggiate l’una dal mafioso catanese Santapaola e<br />
l’altra dai palermitani Bono ed Enea. L’inchiesta svelò le commistioni tra politica, affari e<br />
crimine, in seguito al coinvolgimento di Antonio Natali, ex esponente di rilievo del PSI.<br />
Anche questa inchiesta ebbe un lungo iter processuale, conclusosi nel giugno 1996, con la<br />
condanna di tutti per associazione a delinquere di tipo mafioso.<br />
Fine anni Ottanta: l’infiltrazione della ‘<strong>Ndrangheta</strong><br />
Sul finire degli anni Ottanta, usciti di scena Turatello ed Epaminonda, le attività illecite<br />
tornarono nelle mani dei clan tradizionali. Del resto i siciliani non avevano smesso di<br />
occuparsi di stupefacenti e dell’investimento in attività legali dei loro proventi, come<br />
testimoniato dall’arresto, nel 1991, di Giuseppe Lottusi, prestanome dei Madonia<br />
impegnato in operazioni internazionali di riciclaggio. Nel corso degli stessi anni, emerse<br />
clamorosamente e per la prima volta in tutta evidenza l’allarmante livello di infiltrazione<br />
raggiunto dalla ‘ndrangheta in Milano e provincia.<br />
Giunti al Nord nei decenni precedenti, non per provvedimenti delle autorità, ma al seguito<br />
delle famiglie di emigranti, gli uomini delle cosche calabresi perfezionarono con successo il<br />
controllo del territorio in ampie zone della città e dell’hinterland, senza suscitare clamori e<br />
sospetti. Interi quartieri di Milano, come Bruzzano, Comasina e Quarto Oggiaro o comuni<br />
14
come Corsico, Buccinasco, Trezzano sul Naviglio, per citare i casi più clamorosi, caddero<br />
sotto il dominio dei calabresi che si specializzarono nelle rapine e nei sequestri di persona.<br />
L’ingombrante presenza dei calabresi inizialmente causò il feroce scontro con le altre<br />
organizzazioni, che fece guadagnare a Milano la terza posizione nella graduatoria delle<br />
città con il maggior numero di omicidi. Superata ben presto la fase conflittuale, i vertici<br />
della mafie operanti in città si accordarono per gestire il traffico di droga e il nuovo<br />
business del contrabbando di armi.<br />
1990: scoppia la “Duomo Connection”<br />
16 maggio 1990: l’arresto di Tony Carollo, figlio del vecchio boss Gaetano, ucciso a Liscate<br />
(MI) nel 1987, diede avvio alla cosiddetta “Duomo Connection”, l’inchiesta che confermò i<br />
legami e le connivenze di politici lombardi con la criminalità organizzata mafiosa. Partite<br />
nel 1988 da alcune intercettazioni e pedinamenti dei Carabinieri, le indagini in un primo<br />
momento svelarono un traffico di stupefacenti gestito insieme da siciliani e calabresi e poi<br />
portarono alla scoperta delle collusioni tra mafiosi e alcuni esponenti della pubblica<br />
amministrazione del Comune di Milano, aventi per scopo la gestione pilotata di<br />
lottizzazioni miliardarie. Furono chiamati in causa anche il sindaco Paolo Pillitteri e<br />
l’assessore all’urbanistica Attilio Schemmari, entrambi socialisti, ma solo il secondo fu<br />
condannato per abuso d’ufficio. Il processo, iniziato nel 1991, dopo le condanne di primo e<br />
secondo, nel 1995 fu annullato dalla Cassazione per irregolarità nelle intercettazioni e nel<br />
1996 trasferito a Brescia, dopo le proteste delle difese contro i ricorsi presentati della<br />
Procura.<br />
1993-1997: la stagione delle grandi inchieste e i primi maxi processi<br />
Tra il 1992 e il 1993 i collaboratori di giustizia Antonio Zagari e Saverio Morabito per primi<br />
rappresentarono con dovizia di particolari il pericolo costituito dalla ‘ndrangheta in<br />
Lombardia, parlando dei suoi circa ventimila affiliati e della ramificazione delle sue<br />
attività. Nel 1993 forze dell’ordine e magistratura sferrarono i primi colpi mortali alle<br />
cosche guidate dai nuovi padrini delle mafie attive al Nord: le più importanti operazioni<br />
furono “Wall Street”, “Count Down”, “Hoca Tuca”, “Nord - Sud”, “Belgio” e “Fine”. Nei<br />
quattro anni seguenti i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia milanese<br />
svilupparono una quarantina di inchieste, che portarono all’arresto di circa tremila<br />
persone per associazione mafiosa con l’apporto di oltre cento collaboratori di giustizia:<br />
furono così sgominate le organizzazioni che ruotavano attorno ai siciliani Carollo,<br />
Fidanzati, Ciulla e ai calabresi Flachi, Coco Trovato, Papalia, Sergi e Morabito e<br />
Paviglianiti, per ricordare solo i più noti. Nel 1995 si aprirono i primi maxiprocessi alle<br />
mafie di Milano e Lombardia e nel 1997 alcuni di questi si sono chiusi con pesanti<br />
condanne per gli imputati. Dalle sentenze, che confermarono in larga parte l’impianto<br />
accusatorio, emerse la nuova realtà mafiosa di questo fine decennio al Nord: venne infatti<br />
provato che a Milano e in Lombardia la ‘ndrangheta aveva esteso la sua potenza ai massimi<br />
livelli di pericolosità e che aveva stipulato con la mafia e la camorra una sorta di patto<br />
federativo per la gestione dei grandi traffici illeciti, su tutti quello della droga.<br />
15
La mafia al Nord<br />
di Nando Dalla Chiesa, Presidente Onorario di Libera 8 giugno 2008<br />
Emigrazione, confino e spinta espansionistica<br />
La presenza della mafia al Nord si è sviluppata gradualmente e disegualmente negli<br />
ultimi trent’anni. Alle radici di questa diffusione è possibile indicare soprattutto tre<br />
fenomeni. Il primo è costituito dai massicci movimenti migratori realizzatisi negli<br />
anni Cinquanta e Sessanta dal Sud verso le aree più industrializzate del Paese;<br />
movimenti che hanno veicolato - sia pure come effetto secondario - anche gruppi e<br />
interessi di natura criminale, spesso mimetizzati e protetti grazie a reti spontanee di<br />
parentela, amicizia e solidarietà regionale. Il secondo è la diffusione della misura<br />
del soggiorno obbligato (il “confino”), ideata inizialmente (1965) per neutralizzare i<br />
boss mafiosi sradicandoli dal loro habitat storico. Il terzo, più recente fenomeno è la<br />
spinta espansionista assunta dalle organizzazioni mafiose con la conquista<br />
oligopolistica del mercato degli stupefacenti e con la conseguente accumulazione di<br />
enormi capitali illegali in cerca di adeguate opportunità di investimento.<br />
Se i primi due fenomeni hanno avuto prevalentemente corso, per i loro aspetti più<br />
rilevanti, negli anni del boom economico e della industrializzazione del Paese, il<br />
terzo ha preso invece piede soprattutto nel ventennio compreso tra la metà degli<br />
anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta; e in tal senso ha beneficiato,<br />
usandoli spregiudicatamente, dei diffusi processi di corruzione dell’economia e<br />
dell’amministrazione pubblica verificatisi nello stesso periodo nella società<br />
settentrionale.<br />
Da luogo di incontro a tema di conquista<br />
Prima che questi tre fenomeni si realizzassero l’Italia settentrionale era<br />
sostanzialmente immune da una autentica presenza operativa delle organizzazioni<br />
mafiose sul proprio territorio e nella propria economia. E’ vero che alcune attività<br />
marginali risultavano congenitamente penetrate da interessi mafiosi: ad esempio il<br />
gioco d’azzardo o la gestione di alcune categorie di locali notturni. Ed è vero che<br />
uomini simbolo della mafia cercavano rifugi dorati a Milano o da qui controllavano<br />
estese reti di traffici internazionali. Classico il caso di Joe Adonis, stabilitosi nel<br />
capoluogo lombardo nel 1956 e divenuto nel ‘62, dopo la morte di Lucky Luciano, il<br />
referente della mafia italo-americana. E classico anche il caso di Luciano Liggio,<br />
capostipite dei corleonesi, catturato proprio a Milano nel 1974. Ma Milano restò per<br />
molto tempo principalmente un luogo di riparo e di incontro, quasi una<br />
(rilevantissima) postazione logistico-diplomatica. Né per nulla fu proprio qui che<br />
nel 1970 si tenne vicino alla stazione centrale uno storico summit con la presenza di<br />
boss del calibro di Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Tommaso Buscetta,<br />
Gaetano Badalamenti, Salvatore Riina e Salvatore Greco.<br />
Solo successivamente le aree industrializzate - e quella milanese in modo<br />
specialissimo- vennero considerate da Cosa Nostra “terre di conquista”. La capacità<br />
di mimetismo, il potere economico conquistato, la minore estraneità ambientale,<br />
resero via via più facile l’insediamento sul territorio di gruppi e interessi legati ai<br />
clan siciliani. Rimase a lungo la cautela di non disturbare troppo l’ordine pubblico o<br />
la quiete sociale con guerre di mafia che avrebbero costretto le istituzioni e<br />
l’opinione pubblica locali ad affrontare con più rigore e determinazione il<br />
16
fenomeno. Tuttavia la presenza delle cosche “storiche” si fece progressivamente più<br />
visibile e aperta, soprattutto nelle zone dell’hinterland: in parte come puro<br />
prolungamento e articolazione della mafia siciliana, in parte come presidio di<br />
interessi e attività avviati localmente in proprio.<br />
L’alibi del terrorismo<br />
In generale le capacità di condizionamento della struttura sociale da parte dei clan<br />
restarono però piuttosto contenute. La prima volta che la mafia mostrò in modo<br />
tracotante la sua presenza nel cuore del tessuto economico e professionale<br />
lombardo fu nel 1979, allorché venne ucciso l’avvocato Giorgio Ambrosoli,<br />
liquidatore - per conto della Banca d’Italia- della Banca privata italiana di Michele<br />
Sindona. Quest’ultimo, con la sua sfolgorante carriera realizzata tra Roma e Milano,<br />
rappresentava bene le affinità tra certi ambienti professionali lombardi e la sfera<br />
criminale - mafiosa della finanza e della politica. Lo stesso assassinio di Ambrosoli<br />
espresse purtuttavia un conflitto di culture e di interessi che la società del Nord<br />
faticava a sentire come proprio, quasi che tra le presenze criminali nelle strade<br />
dell’hinterland e la presenza dei capitali mafiosi nei cieli della finanza stesse<br />
accomodata una intera società intatta e vergine. Non era così. Ma la minaccia del<br />
terrorismo (definitivamente sconfitto solo verso la metà del decennio Ottanta) giocò<br />
un ruolo di rilievo nel tenere lontane dalla mafia attenzioni e preoccupazioni<br />
pubbliche e private. E sempre l’alibi del terrorismo impedì, a Torino, di capire il<br />
peso degli interessi mafiosi gravitanti dietro l’assassinio del procuratore della<br />
Repubblica Bruno Caccia, che aveva aperto un’inchiesta sulla presenza dei clan in<br />
Piemonte e Val d’Aosta.<br />
Il 1983<br />
Dovendo scegliere uno spartiacque capace di indicare orientativamente il “prima” e<br />
il “dopo” nella storia della mafia al Nord, è forse possibile trovarlo nel 1983. Fu nel<br />
febbraio del 1983, infatti, con il cosiddetto blitz di San Valentino, che a Milano<br />
venne portata alla luce dalla magistratura una rete di società milanesi di proprietà<br />
di affiliati a Cosa Nostra e gestite da imprenditori “insospettabili”, incarnazione<br />
esemplare della cosiddetta “mafia dei colletti bianchi”. E fu sempre nel 1983 che<br />
venne smascherato l’assalto delle cosche catanesi e palermitane al casinò di<br />
Sanremo, in raccordo e sotto la protezione di settori del mondo politico, in<br />
particolare di uomini del partito socialista. Fu ancora in quell’anno che maturò la<br />
consapevolezza che il ruolo del boss Angelo Epaminonda, che aveva ereditato a sua<br />
volta il ruolo di Angelo Turatello come capo della “mala” milanese, non era più<br />
quello classico del gangster metropolitano (magari fornito di amicizie nel mondo<br />
mafioso) ma era diventato quello del mafioso vero e proprio, che alla gestione del<br />
gioco d’azzardo legava la gestione del traffico di cocaina. Lo stesso Epaminonda,<br />
arrestato nel ‘84 e diventato il primo grande “pentito” del Nord, illuminò le<br />
relazioni precisamente mafiose che egli aveva costruito attraverso la sua attività.<br />
Nel clima di corruzione politica<br />
La vicenda Epaminonda consentì anche di mettere a fuoco un problema<br />
sociologicamente e storicamente rilevante: quello della trasferibilità e imitabilità del<br />
modello mafioso. In sostanza emerse la possibilità (peraltro già sperimentata in<br />
17
Sicilia nel caso catanese) che in città tradizionalmente estranee alla presenza<br />
mafiosa si strutturassero organizzazioni guidate da persone non affiliate a Cosa<br />
Nostra ma disposte e attrezzate a utilizzare metodi, organizzazione, culture e<br />
relazioni di Cosa Nostra, fino a diventarne anche alleati o membri. Si verificò così<br />
nelNord la compresenza di famiglie tradizionalmente mafiose e di gruppi che<br />
aspiravano a imitarne comportamenti e logiche utilizzando a proprio vantaggio le<br />
diffuse condizioni locali di degrado ambientale, urbanistico e amministrativo.<br />
Fu precisamente in questo contesto che si andò formando dalla Liguria al Veneto<br />
una ramificata e variegata presenza di organizzazioni criminose, che il clima di<br />
corruzione politica metteva in grado di contattare senza sforzi i livelli più alti dei<br />
partiti e delle amministrazioni locali. Tra queste organizzazioni quelle<br />
rappresentative di Cosa Nostra finirono per costituire una minoranza. A esse si<br />
affiancarono infatti quelle provenienti dalla camorra, dalla ‘ndrangheta e dalla<br />
Sacra corona unita, ma anche associazioni a delinquere formatesi spontaneamente<br />
sul posto, come quelle costituitesi in alcune zone dell’hinterland milanese o come<br />
l’organizzazione raccoltasi intorno al bandito Felice Maniero in Veneto (nota come<br />
“la mafia del Brenta”).<br />
La quarta regione mafiosa<br />
Se così la Lombardia diventava la quarta regione mafiosa d’Italia quanto a presenza<br />
di uomini di Cosa Nostra, essa esprimeva però anche la singolarità di compendiare<br />
al suo interno tutte le forme di criminalità mafiosa presenti nel Paese, tra loro in<br />
rapporto di coesistenza pacifica benché ciascuna di esse dominante con fortissime<br />
pretese monopolistiche sul rispettivo territorio di origine.<br />
Tuttavia, nonostante la diffusione ormai rilevante del fenomeno costringesse gli<br />
stessi investigatori meridionali a sempre più numerosi viaggi nelle regioni<br />
settentrionali per acquisire dati e informazioni, le autorità politiche e istituzionali<br />
del Nord continuarono a lungo a smentire la presenza locale di insediamenti e<br />
interessi mafiosi. Ancora nel 1989, pur di fronte a decine di morti ammazzati nel<br />
corso dell’anno, il sindaco di Milano Paolo Pillitteri dichiarò l’inesistenza della<br />
mafia nella sua città. E ancora nel ‘92, in occasione dell’inaugurazione dell’anno<br />
giudiziario, fece lo stesso il procuratore generale di Milano Giulio Catelani,<br />
motivando le proprie affermazioni con l’assenza di sentenze passate in giudicato<br />
presso il proprio Distretto per il reato di associazione per delinquere di stampo<br />
mafioso.<br />
E’ solo dopo i traumi politici e giudiziari dei primi anni Novanta, con la caduta del<br />
ceto politico di Tangentopoli e con i grandi delitti di mafia del ‘92 (stragi Falcone e<br />
Borsellino) e del ‘93 (bombe di Roma, Firenze e Milano), che si creano le condizioni<br />
per spingere a fondo la conoscenza e la repressione del fenomeno mafioso al Nord.<br />
E in questi anni che le indagini della magistratura portano all’arresto di migliaia di<br />
appartenenti a cosche mafiose (in particolare della ‘ndrangheta calabrese, di cui più<br />
di duemila affiliati solo in provincia di Milano) e a toccare storia e relazioni di alcuni<br />
dei gruppi economici più potenti del Paese.<br />
Così, dopo la finanza sporca di Sindona e di Calvi (Banco Ambrosiano), entrano<br />
nello spettro di indagine della magistratura per le loro relazioni pericolose e i loro<br />
eventuali intrecci d’affari gli imperi di Raul Gardini (gruppo Ferruzzi) e di Silvio<br />
Berlusconi (gruppo Fininvest). Benché, contrariamente a quanto si crede, la<br />
18
presenza economica della mafia nelle regioni settentrionali si sia sviluppata<br />
fondamentalmente al di fuori del capitalismo di borsa, i contatti e gli accordi con le<br />
imprese e i gruppi di prima grandezza testimonierebbero e spiegherebbero meglio<br />
sia le straordinarie capacità di pressione lobbistico-politica della mafia sul piano<br />
nazionale sia anche i condizionamenti visibilmente operati sul mondo<br />
dell’informazione anche al Nord.<br />
19
A cento passi dal Municipio<br />
di Gianni Barbacetto, 9 ottobre 2008<br />
I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia<br />
Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li<br />
separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti<br />
nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.<br />
Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei<br />
partiti.<br />
«Milano è la vera capitale della ’<strong>Ndrangheta</strong>», assicura uno che se ne intende, il<br />
magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma<br />
anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non<br />
crede, non vede, non sente. Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha<br />
rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell’Expo.<br />
Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate.<br />
Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano,<br />
presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da<br />
Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri,<br />
riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza<br />
Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E<br />
Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il<br />
14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che<br />
fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale.<br />
Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver<br />
mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese.<br />
Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì<br />
2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio<br />
del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera<br />
negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e<br />
Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato,<br />
sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia,<br />
movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare<br />
più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati<br />
a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso<br />
debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a<br />
Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo.<br />
Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della<br />
Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi<br />
(intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito<br />
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detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia,<br />
Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King»)<br />
aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati<br />
generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore<br />
dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce.<br />
Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione<br />
antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati.<br />
Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte<br />
consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di<br />
Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di<br />
aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a<br />
Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca,<br />
Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui<br />
un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione<br />
un processo ai Guida.<br />
Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e<br />
senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso<br />
esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso<br />
cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore<br />
milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la<br />
’<strong>Ndrangheta</strong>: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo<br />
aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva<br />
messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il<br />
regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia<br />
delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva<br />
anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto<br />
diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel<br />
settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il<br />
fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di<br />
ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti<br />
della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di<br />
Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio.<br />
Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini<br />
della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O<br />
dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non<br />
esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che<br />
la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di<br />
Gomorra?<br />
A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è<br />
stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio<br />
dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una<br />
bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un<br />
Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno,<br />
21
paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate<br />
quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato<br />
mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena<br />
sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro<br />
è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo<br />
paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era<br />
stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto.<br />
L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di<br />
San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un<br />
foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la<br />
nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa<br />
finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15<br />
luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di<br />
pistola in pieno viso.<br />
Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i<br />
politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se<br />
ne sono ancora accorti.<br />
22
Relazione annuale della Commissione<br />
parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della<br />
criminalità organizzata mafiosa o similare<br />
‘<strong>Ndrangheta</strong><br />
Relatore On. Francesco Forgione<br />
1. Milano e la Lombardia<br />
Milano e la Lombardia rappresentano la metafora della ramificazione molecolare<br />
della ‘ndrangheta in tutto il nord, dalle coste adriatiche della Romagna ai litorali del<br />
Lazio e della Liguria, dal cuore verde dell’Umbria alle valli del Piemonte e della<br />
Valle d’Aosta. Di questi insediamenti è utile fornire alcuni brevi spaccati, tutti<br />
legati ferramente a doppio filo con i territori d’origine com’è caratteristica della<br />
‘ndrangheta e come indicato dalla ricostruzione della mappa delle famiglie in altra<br />
parte di questa relazione.<br />
Il 13 gennaio 1994 nel corso dell’XI Legislatura la Commissione Parlamentare<br />
d’inchiesta sul fenomeno della mafia approvava la relazione sugli insediamenti e le<br />
infiltrazioni di organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali, le principali<br />
regioni del Nord e del Centro Italia.<br />
La relazione si collocava contestualmente in quella stagione straordinaria di lotta alla<br />
mafia che, soprattutto in Lombardia, aveva visto la disarticolazione di intere<br />
organizzazioni a seguito di operazioni di polizia coordinate dalle Procure Distrettuali<br />
che avevano portato all’arresto, e quasi sempre alla condanna, di migliaia di<br />
appartenenti a gruppi criminali soprattutto affiliati alla ‘ndrangheta.<br />
La relazione già evidenzia come in Lombardia la ‘ndrangheta era l’organizzazione<br />
più potente, cita i risultati di operazioni quali Wall Street1 e Nord-Sud2 che allora<br />
erano in pieno svolgimento e che, insieme alle successive, in particolare l’operazione<br />
Count Down3 dell’ottobre 1994 e l’operazione Fiori della Notte di San Vito, del<br />
novembre 1996, riguardante il clan Mazzaferro,4 sono sfociate nei grandi dibattimenti<br />
sino ai primi anni del 2000 che si sono conclusi con centinaia di condanne.<br />
Si può affermare che con tali operazioni è stata quasi eliminata la componente<br />
militare di imponenti organizzazioni, dai soldati fino ai generali, e sono stati<br />
“riconquistati” dalle forze dello Stato territori che erano fortemente condizionati da<br />
cosche come quelle di Coco Trovato nel lecchese, i Morabito-Palamara-Bruzzaniti e i<br />
Papalia-Barbaro-Trimboli.<br />
23
Da allora nessun’altra indagine approfondita di impulso parlamentare si è occupata<br />
degli insediamenti mafiosi in Lombardia nonostante il nord del Paese e Milano siano<br />
stati investiti da grandi processi di trasformazione economici e sociali, di<br />
deindustrializzazione di intere aree e periferie urbane e, in questi cambiamenti, le<br />
mafie abbiano riguadagnato silenziosamente ma progressivamente terreno.<br />
Le ‘ndrine sono state in grado di recuperare il terreno perduto grazie ad una strategia<br />
operativa che ha evitato manifestazioni eclatanti di violenza, tali da attirare<br />
l’attenzione e divenire controproducenti, attuando piuttosto un’infiltrazione<br />
ambientale anonima e mimetica tale da destare minor allarme sociale e da far<br />
assumere alle cosche e ai loro capi le forme rassicuranti di gestori e imprenditori di<br />
attività economiche e finanziarie del tutto lecite .5<br />
In tal modo si è realizzato un controllo ambientale che, in sentenze già passate in<br />
giudicato, è stato definito “selettivo” e cioè strettamente funzionale nel suo “stile” al<br />
raggiungimento degli scopi del programma criminoso in un’area geografica<br />
giustamente ritenuta diversa per cultura, mentalità e abitudini rispetto a quella di<br />
origine. Non per questo un controllo meno pericoloso in quanto più idoneo, proprio<br />
per la sua invisibilità, a rimanere occulto e ad essere meno oggetto di risposte<br />
tempestive da parte delle forze dell’ordine e della società civile.<br />
La strategia di “inabissamento” di queste cosche invisibili che sono riuscite a<br />
riprodursi nonostante i colpi loro inferti dalle grandi indagini degli anni ’90 è stata<br />
favorita da un insieme di condizioni.<br />
In sintesi i fattori che negli ultimi anni hanno giocato a vantaggio delle cosche<br />
operanti in Lombardia possono essere i seguenti:<br />
- la capacità delle cosche, e soprattutto quelle calabresi per la loro strutturazione<br />
familistica di tipo orizzontale , di rigenerarsi tramite l’entrata in gioco di figli e<br />
familiari di capi-cosca arrestati e condannati all’ergastolo o a pene elevatissime a<br />
seguito dei processi degli anni ’90. In pratica ogni cosca, da quella di Coco<br />
Trovato a quella di Antonio Papalia a quella dei Sergi, ha visto il formarsi, sotto la<br />
guida dei capi detenuti, di una nuova generazione.<br />
- le scarse risorse specializzate messe in campo dalla Stato in Lombardia e in genere<br />
nel Nord-Italia per combattere la mafia. Basti pensare ad un distretto come quello<br />
di Milano che comprende anche città con forte presenza mafiosa come Como,<br />
<strong>Lecco</strong>, Varese e Busto Arsizio, con le forze in campo costituite da poco più di 200<br />
uomini: 40 uomini del R.O.S. Carabinieri, 50 uomini del G.I.C.O., 55 dello S.C.O.<br />
della Polizia di Stato cui si aggiungono 68 uomini della D.I.A. che ha competenza<br />
peraltro su tutta la Lombardia.<br />
L’insufficienza di uomini, più volte denunziato dai rappresentanti della D.D.A. è<br />
pari all’insufficienza di mezzi, cause spesso del rallentamento di alcune indagini.<br />
- altro elemento che ha influito soprattutto nell’opinione pubblica è rappresentato<br />
dall’esplosione, negli ultimi anni, del tema della percezione della sicurezza che,<br />
24
soprattutto in un’area come Milano e il suo hinterland ha spostato l’attenzione<br />
sulla microcriminalità in genere collegata alla presenza di stranieri e di altri<br />
soggetti operanti sul terreno della devianza sociale. E ciò, nonostante l’incessante<br />
lavoro e i risultati importanti ottenuti dalla D.D.A..<br />
In questo contesto di “disattenzione” le cosche hanno scelto come sempre le attività<br />
criminose più remunerative con minori rischi e hanno evitato, per quanto possibile<br />
ma con successo, le faide interne e i regolamenti di conti che avevano preceduto<br />
soprattutto con sequele impressionanti di omicidi le indagini degli anni ’90 e che<br />
avevano avuto l’effetto di suscitare un immediato e controproducente allarme sociale.<br />
Del resto in una metropoli come Milano in cui, secondo le statistiche, circa 120.000<br />
milanesi fanno uso stabile o saltuario di cocaina, c’è “posto per tutti” ed è stato<br />
possibile, per i vari gruppi attuare una divisione del mercato e del lavoro in grado di<br />
soddisfare tutti senza concorrenze sanguinose, dall’acquisto delle grosse partite sino<br />
alla rivendita nelle varie zone.<br />
Le numerose operazioni condotte dalle Forze dell'Ordine e dalla Magistratura hanno<br />
consentito di delineare un quadro della criminalità organizzata, prevalentemente di<br />
matrice calabrese, presente sul territorio lombardo.<br />
Le cosche ivi operanti, sviluppatesi con i tratti tipici della malavita associata negli<br />
anni '70, presentano una struttura costante, caratterizzata da un nucleo di persone<br />
legate strettamente tra loro da vincoli di parentela, spesso formalmente affiliate alla<br />
'ndrangheta, a cui si affianca una base numericamente più ampia con funzioni<br />
esecutive, che assicura un apporto continuo nella realizzazione degli obiettivi<br />
criminali.<br />
Malgrado il contatto con realtà diverse, i componenti di questi gruppi hanno<br />
mantenuto le peculiarità comportamentali e gli atteggiamenti culturali della<br />
criminalità organizzata calabrese.<br />
La Lombardia è da sempre retroterra strategico dei più importanti sodalizi criminali<br />
calabresi e gli eventi registrati offrono ulteriori riscontri per quanto concerne la<br />
massiccia presenza nella regione di soggetti legati alla ‘ndrangheta, con interessi,<br />
come si vedrà, principalmente nel settore del traffico di stupefacenti, nella gestione<br />
dei locali notturni e nell’infiltrazione all’interno dell’imprenditoria edilizia.<br />
Anche per la ‘ndrangheta, sul territorio lombardo, prevale una strategia di un basso<br />
profilo di esposizione, pur non mancando atti violenti, quali l’agguato in viale Tibaldi<br />
di Milano, dell’aprile 2007, ove un pregiudicato calabrese è stato ferito con colpi di<br />
arma da fuoco per motivi forse correlabili alle attività illegali del caporalato, che<br />
sembra costituire un mercato in espansione per la ‘ndrangheta.<br />
Non sono neppure mancati episodi estorsivi, che hanno coinvolto pregiudicati di<br />
origine calabrese, con interessi nel campo dell’edilizia a Caronno Pertusella (VA).<br />
Tuttavia l’aspetto militare, pur se cautelativamente messo in sonno, non è certo stato<br />
abbandonato dalla strategia dei gruppi calabresi e si ha almeno un esempio di tale<br />
potenzialità dal sequestro di un imponente arsenale a disposizione della ‘ndrangheta<br />
calabrese rinvenuto in un garage di Seregno nell’ambito dell’operazione “Sunrise”<br />
nel giugno 2006. L’arsenale era a disposizione di Salvatore Mancuso e del suo<br />
25
gruppo appartenente al clan di Limbadi (VV) da tempo sbarcato in Brianza. Un vero<br />
e proprio deposito di armi micidiali: kalashnikov, mitragliatori Uzi, Skorpion,<br />
munizioni e cannocchiali di precisione, bombe a mano. Le attività criminali accertate<br />
sono state le truffe, il traffico di droga e l’associazione a delinquere finalizzata<br />
all’usura. Il prosieguo dell’indagine consentiva l’ulteriore arresto complessivamente<br />
di 32 soggetti, originari del Vibonese, indiziati di traffico di droga, usura e truffe.<br />
Le attività usurarie venivano praticate attraverso un membro dell’organizzazione,<br />
titolare di imprese edili ed altre società, che erogava a imprenditori in difficoltà<br />
prestiti con interessi fino al 730%.<br />
Le truffe avvenivano, con meccanismi complessi di mancati pagamenti, ai danni di<br />
società di lavoro interinale, conseguendo illeciti introiti per oltre 800 mila euro.<br />
Le indagini hanno messo in luce anche un elevatissimo gettito, proveniente dalle<br />
attività estorsive e valutato in circa 3 milioni di euro.<br />
Da quanto detto ne consegue che l’attività assolutamente prevalente, quella che si<br />
potrebbe dire di “accumulazione primaria”, rimane l’introduzione e la vendita di<br />
partite di sostanze stupefacenti, in assoluta prevalenza cocaina, canalizzate in Italia<br />
tramite i contatti anche stabili e “residenziali” delle cosche con i fornitori operanti<br />
nell’area della Colombia e del Venezuela.<br />
In questo campo l’attività di contrasto è stata in grado in questi ultimi anni di<br />
assestare alla “nuova generazione” delle cosche alcuni colpi importanti che tuttavia,<br />
data l’enorme estensione del mercato e l’enormità dei guadagni e dei ricarichi, sono<br />
passibili di essere riassorbiti dai gruppi come una sorta di rischio d’impresa in termini<br />
di perdita temporanea di uomini e di guadagni. Tra le operazioni condotte con<br />
successo si può citare la “Caracas Express” eseguita dalla Squadra Mobile di Milano<br />
che ha portato all’emissione di 47 ordini di custodia nei confronti di appartenenti al<br />
clan di Rocco Molluso e Davide Draghi di Oppido Mamertina appartenente all’area<br />
dei Barbaro-Papalia ed operante in particolare nella fascia Sud-est di Milano.<br />
La potenzialità di mercato di tale gruppo, che dà il senso dell’entità complessiva dello<br />
spaccio di cocaina a Milano, era di acquisto e di rivendita ogni mese di 20 chili di<br />
cocaina purissima proveniente dal Sud America.<br />
Sui rapporti tra la ‘ndrangheta e i cartelli colombiani produttori di cocaina, sono<br />
importanti i riscontri dell’Operazione “Stupor Mundi”, conclusasi nel mese di maggio<br />
2007 a Reggio Calabria con l’emissione di 40 arresti.<br />
La dimensione del traffico era desumibile dalla dimostrata capacità degli arrestati di<br />
acquistare partite, fino a tremila chili, di stupefacente allo stato puro, direttamente<br />
dalla Colombia. La cocaina sequestrata nel corso dell’operazione aveva un valore sul<br />
mercato di circa 60 milioni di euro. Venivano accuratamente ricostruite le rotte dei<br />
traffici di cocaina che, partendo dal Sud America, ed in particolare dalla Colombia,<br />
giungevano, attraverso l’Olanda, soprattutto in Piemonte ed in Lombardia.<br />
Estremamente significativa dell’incidenza del monte di affari prodotti dai traffici di<br />
cocaina è il riciclaggio in attività imprenditoriali e la capacità di gruppi con i propri<br />
capi condannati all’ergastolo di rimpadronirsi in pochi anni del territorio. Lo ha<br />
dimostrato l’indagine “Soprano” che ha visto nel dicembre del 2006 l’arresto, ad<br />
26
opera della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, di 37 persone6 appartenenti<br />
alla famiglia Coco Trovato.<br />
Tale famiglia nonostante la condanna all’ergastolo dei capi Franco Coco Trovato e<br />
Mario Coco Trovato è riuscita infatti a rioccupare il territorio di influenza, e cioè<br />
quello di <strong>Lecco</strong>, grazie alla discesa in campo e alla reggenza di figli, nipoti e<br />
consanguinei indicati nell’ordinanza di custodia cautelare.<br />
Vincenzo Falzetta, sempre secondo la misura cautelare, era anche l’uomo di<br />
riferimento del gruppo sul piano finanziario e imprenditoriale, avendo assunto per<br />
conto della cosca, tramite varie società, la gestione di numerosi locali pubblici a<br />
Milano tra cui la nota discoteca Madison, il ristorante Bio Solaire e la discoteca estiva<br />
Cafè Solaire, sita strategicamente nei pressi dell’Idroscalo.<br />
Si era così costituita una catena di locali pubblici, in cui fra l’altro lavoravano quasi<br />
solo parenti o persone legate alla “famiglia”, che rispondevano ad una pluralità di<br />
esigenze: riciclare la liquidità in eccesso, spacciare all’interno di essi o intorno ad essi<br />
altra cocaina e usare i locali, al riparo da occhi indiscreti, per riunioni strategiche,<br />
alcune delle quali finalizzate a discutere addirittura il reimpiego in grosse attività<br />
immobiliari in Sardegna dei proventi della bancarotta di società finanziarie messe in<br />
piedi dalle cosche in Svizzera.<br />
Si evidenzia in questo contesto un’elevata capacità imprenditoriale delle famiglie<br />
calabresi considerando che locali analoghi sono stati aperti da Falzetta a Soverato in<br />
provincia di Catanzaro e sono in corso progetti di acquisizione di ristoranti negli<br />
U.S.A. come risulta da diverse indagini.<br />
Uno spaccato particolare è rappresentato da Quarto Oggiaro, il quartiere popolare da<br />
sempre tra i più degradati della periferia nord-ovest di Milano. Una vera e propria<br />
zona franca per l’illegalità, con settecento delle quattromila case popolari gestite dalla<br />
ALER, l’ente comunale milanese che amministra il patrimonio edilizio pubblico,<br />
occupate abusivamente e con l’accesso controllato direttamente dagli uomini della<br />
‘ndrangheta. In questo territorio, suscitando grande clamore sui media locali,<br />
nell’estate del 2007 è ricomparso in forze il gruppo Carvelli di Petilia Policastro<br />
(KR), anch’esso colpito dalle indagini degli anni ’90 ma ugualmente riuscito a<br />
riprodursi.<br />
Alcuni interventi di polizia hanno fatto emergere un vero e proprio controllo militare<br />
dello spaccio tra i casermoni del quartiere con file di acquirenti che si presentavano<br />
praticamente alla luce del sole nei vari punti dove operavano gli spacciatori<br />
stabilmente presidiati da chi era addetto alla guardia e al rifornimento.<br />
Risale allo stesso mese di agosto 2007, e cioè poco dopo il fallito tentativo di<br />
“bonifica” di Quarto Oggiaro, l’omicidio proprio di Francesco Carvelli figlio<br />
dell’ergastolano Angelo Carvelli e nipote del sorvegliato speciale Mario Carvelli,<br />
considerato l’attuale padrone del quartiere. Il regolamento di conti, uno dei non<br />
numerosi verificatisi negli ultimi anni, risponde con ogni probabilità ad una logica di<br />
assestamento dei rapporti tra i vari gruppi operanti nell’area.<br />
L’enorme liquidità in eccesso prodotta dai traffici di cocaina e in misura minore ma<br />
27
significativa dalle estorsioni viene canalizzata, secondo i dati che provengono dalle<br />
principali strutture investigative e fra di esse la D.I.A., in alcuni settori produttivi ed<br />
economici attraverso imprese apparentemente legali.<br />
Si tratta del settore dell’edilizia nel quale va compreso sia a Milano sia<br />
nell’hinterland quello degli scavi e del movimento terra, delle costruzioni vere e<br />
proprie, sino all’intermediazione realizzata da agenzie immobiliari collegate7, del<br />
settore ristoranti e bar, del settore delle agenzie che forniscono addetti ai servizi di<br />
sicurezza, soprattutto per locali pubblici e discoteche; del settore dei servizi di<br />
logistica, cioè il facchinaggio e la movimentazione di merci, con la gestione di<br />
società cooperative, come quelle controllate dalle cosche presso l’Ortomercato di<br />
Milano.<br />
Storicamente, però, per le cosche calabresi l’edilizia8 rappresenta il settore primario<br />
che consente, fra l’altro, di utilizzare anche mano d’opera a bassa specializzazione e<br />
di sviluppare e controllare fenomeni quali il caporalato delle braccia.9 Questa attività<br />
criminale sfrutta da anni manodopera clandestina giunta sulle coste crotonesi e<br />
catanzaresi con le carrette del mare e fatta fuoriuscire dai CPT di Crotone e Rosarno.<br />
Anche nell’edilizia non mancano le estorsioni in danno di concorrenti o di imprese<br />
riottose. Lo testimoniano incendi in cantieri o danneggiamenti di attrezzature che<br />
vengono segnalati soprattutto nell’hinterland.<br />
Tuttavia persino le minacce estorsive non sono necessarie quando, come nella<br />
maggioranza dei casi, si verte in realtà in una situazione di completo monopolio ed in<br />
ampie zone della Brianza o del triangolo Buccinasco-Corsico-Trezzano non è<br />
nemmeno pensabile che qualcuno con proprie offerte o iniziative “porti via il lavoro”<br />
alle cosche calabresi che hanno le loro imprese diffuse sull’intero territorio.<br />
In questo senso appare pienamente condivisibile il giudizio finale formulato dal<br />
responsabile della D.D.A. presso la Procura di Milano secondo cui in settori come<br />
quello dell’edilizia non è nemmeno necessaria l’intimidazione diretta poichè è<br />
sufficiente l’intimidazione “percepita”, cioè quella non esercitata con minacce aperte<br />
ma con la semplice “parola giusta al momento giusto”.<br />
L’intervento dell’Autorità giudiziaria ha anche portato alla luce l’infiltrazione diffusa<br />
e organica in un settore strategico dell’economia lombarda, e quello relativo<br />
all’insediamento o meglio reinsediamento della cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara<br />
all’interno dell’Ortomercato di Via Lombroso.10<br />
L’Ortomercato di Milano è il più grande d’Italia. Ogni notte vi fanno capo centinaia<br />
di camion che distribuiscono i prodotti in tutta la regione. Dei 3.000 lavoratori<br />
impiegati quasi la metà sono irregolari. Il giro di affari è di 3 milioni di euro al giorno<br />
con 150 tra imprese e cooperative interessate.<br />
L’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 26.4.2007 nei confronti di Salvatore<br />
Morabito, Antonino Palamara, Pasquale Modaffari e altre 21 persone ha messo in<br />
luce che la cosca Morabito-Bruzzaniti grazie all’arruolamento dell’imprenditore<br />
Antonio Paolo titolare del consorzio di cooperative Nuovo Co.Se.Li. era riuscita ad<br />
utilizzare le strutture dell’Ortomercato e i suoi uffici come punto di riferimento per<br />
28
gli incontri, e logistica per la gestione di grosse partite di sostanze stupefacenti.<br />
Tra di esse i 250 chilogrammi di cocaina provenienti dal Sud America, giunta in<br />
Senegal a bordo di un camper e sequestrati in Spagna dopo aver viaggiato sotto la<br />
copertura di un’attività di rallye.<br />
La cosa che più inquieta è che Morabito, appena terminato nel 2004 il periodo di<br />
soggiorno obbligato ad Africo, grazie all’arruolamento dell’operatore economico<br />
Antonio Paolo, aveva goduto per i suoi spostamenti all’interno dell’area commerciale<br />
addirittura di un pass rilasciato dalla So.Ge.Mi. e cioè la società che gestisce per<br />
conto del Comune di Milano l’intera area dell’Ortomercato. Al punto che il Morabito<br />
entrava nell’Ortomercato con la Ferrari di sua proprietà.<br />
Tale mancanza di controlli appare peraltro diretta conseguenza del fatto che da tempo<br />
l’area, nonostante la gestione comunale, era divenuta “zona franca”, controllata da un<br />
caporalato aggressivo, padrone del lavoro nero e all’interno della quale il Presidio di<br />
Polizia risultava chiuso da anni, mentre i Vigili Urbani evitavano quasi sempre di<br />
intervenire.<br />
La capacità di influenza di Morabito era giunta al punto che il suo “controllato”,<br />
Antonio Paolo, aveva acquistato le quote della società SPAM Srl che, per ragioni di<br />
certificazione antimafia Morabito e i suoi associati non avevano più potuto gestire<br />
formalmente, e tale società aveva chiesto e ottenuto dalla So.Ge.Mi., e quindi in<br />
pratica dal Comune, la concessione ad aprire nello stabile di Via Lombroso, ove<br />
peraltro ha sede la stessa So.Ge.Mi il night club “For the King”, inaugurato il<br />
19.4.2007 alla presenza di noti boss della ‘ndrangheta come, tra gli altri, Antonino<br />
Palamara.<br />
Il sequestro preventivo delle quote sociali della Spam è stato adottato dal GIP di<br />
Milano e confermato dal Tribunale del Riesame il 5.6.2007.<br />
I provvedimenti dell’autorità giudiziaria di Milano con i quali sono state sequestrate<br />
le quote sociali della SPAM Srl evidenziano un’altra ragione di interesse. Antonio<br />
Paolo, dopo aver rilevato la società nella quale Morabito era rimasto il socio occulto e<br />
il vero dominus, aveva ottenuto dalla Banca Unicredit ed esattamente dalla filiale<br />
della centrale via San Marco di Milano un anomalo finanziamento di 400.000 euro<br />
che doveva servire a pagare le spese della ristrutturazione del night For the King,<br />
peraltro a posteriori, visto che la ristrutturazione era già avvenuta.<br />
Ciò mette a nudo un sistema col quale non solo qualche Cassa Rurale di provincia ma<br />
anche istituti maggiori assicurano finanziamenti a noti esponenti mafiosi senza<br />
effettuare i controlli necessari e senza chiedersi chi siano i soggetti così<br />
indebitamente favoriti.<br />
Un’altra conseguenza significativa dell’indagine relativa alle infiltrazioni della<br />
‘ndrangheta nell’Ortomercato è stato il sequestro propedeutico alla confisca di<br />
numerose quote societarie e beni immobili per un valore complessivo di quasi 4<br />
milioni di euro effettuato nei confronti di due fiduciari del gruppo Morabito-<br />
Bruzzaniti e cioè Francesco Zappalà, un dentista che non aveva mai esercitato la sua<br />
professione medica, ma che disponeva a Milano di una villa lussuosa e del suo<br />
29
accio destro Antonio Marchi.11<br />
L’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti societari e<br />
immobiliari effettuati certamente come prestanome della cosca di riferimento, ha<br />
consentito infatti il sequestro di quote sociali di varie società utilizzate per l’acquisto<br />
di immobili, di appartamenti e bar a Milano, uno dei quali in zona abbastanza<br />
centrale, di una villa con box a Cusago nell’hinterland milanese, di terreni nel<br />
torinese, di appartamenti a Massa Carrara e a Finale Ligure nonché di terreni a Bova<br />
Marina, nel reggino, zona di provenienza di quasi tutti i componenti del gruppo.<br />
La Lombardia, con 545 beni immobili confiscati è collocata al quarto posto tra tutte<br />
le regioni italiane. Purtroppo di tali beni solo 297 sono stati sinora assegnati a fini<br />
sociali. Un ritardo inaccettabile perché frustra la riappropriazione materiale e<br />
simbolica di tali ricchezze da parte della collettività, ancora più importante in una<br />
regione come la Lombardia.<br />
Lo scenario dell’indagine chiamata Dirty Money, resa possibile da una stretta<br />
collaborazione tra le autorità elvetiche e quelle italiane, vede, secondo la<br />
ricostruzione dell’accusa, la presenza della cosca Ferrazzo12 di Mesoraca (KR)<br />
ramificatasi in Lombardia tra Varese e Ponte Tresa e in Svizzera a Zurigo. Proprio<br />
qui vengono allestite due grosse “lavatrici”, e cioè due società finanziarie, la WSF<br />
AG e la PP FINANZ AG che dovevano occuparsi di raccogliere i capitali di<br />
investitori svizzeri e internazionali per intervenire sul mercato Forex ed operare<br />
transazioni su divise.<br />
In realtà tali finanziarie erano divenute il luogo ove depositare e far transitare ingenti<br />
somme provenienti dalle attività illecite della cosca. A partire dall’inizio degli anni<br />
2000, era iniziata la programmata spoliazione delle società stesse, con il dirottamento<br />
dei capitali, sia quelli di provenienza illecita sia quelli affidati dagli investitori a conti<br />
offshore e società nella disponibilità degli amministratori, tutti legati direttamente o<br />
indirettamente alla ’ndrangheta.<br />
Prima che il caso esplodesse e che nel 2003 fosse dichiarato il fallimento di entrambe<br />
le società operanti in Svizzera, con la distrazione di decine di milioni di franchi,<br />
l’obiettivo dell’operazione era il reimpiego dei capitali puliti in investimenti<br />
immobiliari di prestigio in Sardegna e in Spagna, sempre controllati dalla cosca<br />
regista del progetto. Tali investimenti che avrebbero così consentito di far rientrare in<br />
Italia e di ripulire somme notevoli in attività formalmente lecite, sono stati interrotti<br />
solo dalle indagini.<br />
L’indagine Dirty Money, caratterizzata da complessi accertamenti finanziari,<br />
costituisce un passo importante perché forse per la prima volta in Lombardia non ci si<br />
è trovati di fronte al caso tipico di riciclaggio reso possibile dall’intervento di un<br />
funzionario di banca compiacente o al riciclaggio consueto in esercizi di ristorazione,<br />
ma ad un fenomeno ben diverso e, per così dire, “strutturale”, costituito dalla scelta<br />
del gruppo criminale di allestire in proprio una grossa macchina societaria, funzionale<br />
ai suoi scopi e utilizzata non solo per inghiottire i depositi degli investitori, ma per<br />
30
ipulire ingenti masse di denaro provenienti dalle attività illecite condotte in Italia.13<br />
Le indagini che attualmente appaiono più significative evidenziano preoccupanti<br />
segnali della persistente presenza di organizzazioni di tipo mafioso, che, soprattutto<br />
nell’area metropolitana di Milano e nelle province confinanti, si caratterizzano più<br />
per una capillare occupazione di interi settori della vita economica e politicoistituzionale,<br />
che per la tradizionale e brutale gestione militare del territorio in<br />
connessione con le attività tipiche delle associazioni mafiose: dal traffico di<br />
stupefacenti all’usura, allo sfruttamento della prostituzione e alle estorsioni in danno<br />
dei pubblici esercizi, ecc..<br />
In sostanza, nelle zone a più alta densità criminale, Rozzano, Corsico, Buccinasco,<br />
Cesano Boscone, per citarne alcuni, le tradizionali famiglie malavitose di origine<br />
meridionale, sempre più saldamente radicate al territorio, hanno iniziato a gestire e a<br />
sfruttare le zone di influenza, stringendo, dal punto di vista istituzionale, alleanze con<br />
spregiudicati gruppi politico-affaristici e, dal punto di vista economico, inserendosi<br />
nel campo imprenditoriale con illimitate disponibilità economiche.<br />
Altra indagine di rilievo nasce dagli accertamenti espletati dal R.O.S. Carabinieri, in<br />
aggiunta a quelli già svolti dalla D.I.A. in relazione ad un esposto anonimo, che<br />
segnalava inquietanti rapporti tra personaggi di un Comune dell’hinterland milanese e<br />
gruppi malavitosi organizzati di stampo mafioso localizzati nel medesimo comune e<br />
in quelli limitrofi.<br />
Le più recenti acquisizioni investigative hanno anche confermato l’esistenza in un<br />
altro Comune dell’hinterland milanese di un gruppo politico-affaristico ed un<br />
continuo riferimento ai “calabresi”, anche in relazione alle recenti elezioni<br />
amministrative.<br />
Nell’ambito di un altro procedimento penale è emerso, altresì, il coinvolgimento di<br />
elementi appartenenti alla Cosca di Isola Capo Rizzuto nell’acquisizione illecita degli<br />
appalti dell’alta velocità ferroviaria e del potenziamento dell’autostrada Milano-<br />
Torino in diverse tratte lombarde.<br />
Avvalendosi delle potenzialità fornite dalla prima piazza economico-finanziaria a<br />
livello nazionale, la ‘ndrangheta attua il riciclaggio e/o il reimpiego dei proventi<br />
derivanti dalla gestione, anche a livello internazionale, di attività illecite (traffico di<br />
sostanze stupefacenti, armi ed esplosivi, immigrazione clandestina, turbativa degli<br />
incanti, ecc.), inserendosi insidiosamente nel tessuto economico legale, grazie<br />
all'esercizio di imprese all’apparenza lecite (esercizi commerciali, ristoranti, imprese<br />
edili, di movimento terra, ecc.).<br />
La prevalenza criminale calabrese, peraltro, non è mai sfociata in assoluta<br />
egemonia, sicché altre organizzazioni italiane (Cosa nostra, Camorra e Sacra Corona<br />
Unita) e straniere (albanesi, cinesi, nord africane, ecc.) con essa convivono e si<br />
rafforzano, generando l’attuale situazione di massima eterogeneità.<br />
In definitiva, quanto alle caratteristiche peculiari delle organizzazioni criminali<br />
monitorate, è stato possibile individuare due distinte realtà territoriali, le quali hanno,<br />
però, mostrato un’incidenza criminale omogenea:<br />
31
• Milano ed il suo hinterland, quale centro nevralgico della gestione di attività<br />
illecite aventi connessioni con vaste zone del territorio nazionale;<br />
• area brianzola (Province di Milano, Como e Varese), dove il denaro<br />
proveniente dalle attività illecite viene reinvestito in considerazione della “felice”<br />
posizione geografica che la vede a ridosso del confine con la Svizzera e della<br />
ricchezza del tessuto economico che la caratterizza.<br />
Nel corso degli ultimi anni, una ulteriore conferma della forte presenza della<br />
‘ndrangheta si è rilevata nell’area dell’hinterland sud–ovest del capoluogo lombardo<br />
(in particolare nei comuni di Corsico, Cesano Boscone, Rozzano, Buccinasco,<br />
Trezzano sul Naviglio ed Assago) con particolare riferimento alle ‘ndrine provenienti<br />
dalla Locride, nonché dalla piana di Gioia Tauro.<br />
Le principali ‘ndrine sono: “Morabito-Bruzzaniti-Palamara”, “Morabito-<br />
Mollica”, “Mancuso”, “Mammoliti”, “Mazzaferro”, “Piromalli”, “Iamonte”, “Libri”,<br />
“Condello”, “Ierinò”, “De Stefano”, “Ursini-Macrì”, “Papalia-Barbaro”, “Trovato”,<br />
“Paviglianiti”, “Latella”, “Imerti-Condello-Fontana”, “Pesce”, “Bellocco”, “Arena-<br />
Colacchio”, “Versace”, “Fazzari” e “Sergi”.<br />
Geograficamente il territorio lombardo può essere così suddiviso:<br />
• A Milano ed hinterland opera attivamente la Cosca Morabito-Palamara-<br />
Bruzzaniti, che, tra l’altro, “utilizza” varie società aperte presso l’ortomercato, per<br />
fare arrivare nella metropoli ingenti “carichi di neve”, la cui domanda si è<br />
capillarmente diffusa tra i vari ceti sociali.<br />
• A Monza le “famiglie” Mancuso, Iamonte, Arena e Mazzaferro;<br />
• A Bergamo, Brescia e Pavia le “famiglie” Bellocco e Facchineri;<br />
• A Varese, Tradate e Venegono le “famiglie” Morabito e Falzea;<br />
• A Busto Arsizio e Gallarate la “famiglia” Sergi.<br />
Le categorie economiche maggiormente a rischio di infiltrazione da parte della<br />
criminalità organizzata si possono indicare così:<br />
costruzioni edili attraverso piccole aziende a non elevato contenuto<br />
tecnologico, che si avvalgono della compiacenza di assessori ed amministratori<br />
locali amici e si infiltrano negli appalti pubblici;<br />
autorimesse e commercio di automobili;<br />
bar, panetterie, locali di ristorazione;<br />
sale videogiochi, sale scommesse e finanziarie;<br />
stoccaggio e smaltimento rifiuti;<br />
discoteche, sale bingo, locali da ballo, night clubs e simili (che implicano<br />
possibilità di conseguire ingenti incassi e di fare “girare” droga);<br />
società di trasporti;<br />
distributori stradali di carburante;<br />
servizi di facchinaggio e pulizia;<br />
servizi alberghieri;<br />
centri commerciali;<br />
32
società di servizi, in specifico, quelle di pulizia e facchinaggio.<br />
I canali attraverso i quali viene “lavato” il denaro appaiono i più ingegnosi e<br />
diversificati. Recenti inchieste, ad esempio, raccontano che le cosche sono sempre<br />
più interessate ai cosiddetti Money Transfert, gli sportelli da cui gli stranieri inviano<br />
denaro all’estero. Sul territorio nazionale restano gli euro puliti dei lavoratori<br />
extracomunitari, fuori dai confini si volatilizzano i soldi sporchi. Altro canale<br />
utilizzato è quello dei supermercati e dei loro scontrini. I registratori di cassa,<br />
emettono ricevute a raffica, anche con qualche cifra in più; così gli ‘ndranghetisti<br />
stanno aprendo catene di negozi e centri commerciali in società con cinesi. Altro<br />
settore su cui scommette la criminalità calabrese è quello dei giochi: nell’anno 2006,<br />
in Lombardia, i locali specializzati hanno fatturato 4,6 miliardi di euro, laddove le<br />
sale scommesse (54 in Lombardia, 41 in Milano e provincia) hanno registrato 1,5<br />
miliardi di euro di puntate, il 55% in più rispetto all’anno precedente.<br />
Le cosche calabresi hanno fatto un definitivo salto di qualità, non limitandosi più a<br />
dare vita a delle s.r.l., ma addirittura S.p.A., acquisendo, come nelle società quotate in<br />
borsa, i trucchi della scatole cinesi.<br />
La ‘ndrangheta è diventata, peraltro, una autentica banca parallela, “aiutando”<br />
imprenditori in difficoltà, offrendo fideiussioni bancarie e prestiti.<br />
Negli istituti di credito i protetti dalle cosche ottengono “affidamenti mafiosi” per<br />
attività perennemente in perdita o mutui per immobili già di proprietà<br />
dell’organizzazione perchè i direttori della filiale bene sanno che le garanzie sono<br />
altrove.<br />
In cambio lo sportello “’ndranghetista” riceve capitali puliti o deleghe per conti<br />
correnti ed assegni da utilizzare nei circuiti ufficiali.<br />
Gli adepti, per i loro traffici, utilizzano internet con abilità singolare, ma, al<br />
contempo, doppi fondi e spalloni, criptano le loro comunicazioni con sistemi come<br />
Voip e Skype e poi parlano al telefono con l’antichissimo linguaggio dei pastori.<br />
La ‘ndrangheta ha costruito una rete fatta di broker e commercialisti, avvocati e<br />
dirigenti di banca: una mafia “invisibile” più profusa alle transazioni online che ai<br />
picchetti armati ed alle estorsioni (in Lombardia, l’unica faida in corso insanguina la<br />
provincia di Varese, zona calda per la presenza dell’aeroporto di Malpensa) e le armi<br />
che continuano a pervenire dall’est europeo e dalla Svizzera vengono riposte negli<br />
arsenali.<br />
In quanto “globale e locale” da semplice organizzazione si è tramutata in sistema.<br />
La Lombardia è la quarta regione per confische, dopo la Sicilia, la Calabria e la<br />
Campania. I beni transitati allo Stato sono 545 ma solo 297 quelli assegnati. Per<br />
questo è assolutamente necessario velocizzare l’iter procedurale finalizzato<br />
all’assegnazione dei beni a fini socialmente utili.<br />
Emblematico in questo senso è il caso di Buccinasco con la mancata assegnazione,<br />
già decisa in precedenza, del bar Trevi14 all’associazione Libera, perché fosse<br />
trasformato in una pizzeria sociale.<br />
A Milano ed in Lombardia, più che altrove, l’aggressione al cuore economico delle<br />
33
mafie deve rappresentare la vera sfida.<br />
Note:<br />
1 Riguardante il clan Coco Trovato-Flachi-Schettini legato ai De Stefano di Reggio Calabria nonchè<br />
i Cursoti di Catania.<br />
2 Riguardante le cosche Papalia-Barbaro e Morabito.<br />
3 Riguardante sia la ‘ndràngheta dell’area De Stefano sia l’area della camorra quale i Fabbrocini e<br />
gli Ascione.<br />
4 che operava con decine di ” locali” nelle province di Varese di Como e che ha anch’esso ripreso in<br />
buon parte le posizioni perdute.<br />
5 La strategia del “silenzio” non esclude ovviamente messaggi fortemente intimidatori quando<br />
necessari al buon funzionamento della strategia generale come testimoniano i tre incendi tra il<br />
marzo 2003 e il novembre 2005 delle autovetture del Sindaco di un Comune chiave per la strategia<br />
delle cosche e cioè Maurizio Carbonera Sindaco del centro-sinistra di Buccinasco impegnato<br />
nell’approvazione di un piano regolatore non gradito ai clan che controllano il locale mercato<br />
dell’edilizia. Il Sindaco Carbonera è stato anche destinatario di una busta con un proiettile di<br />
mitragliatrice. A Buccinasco, definita la Platì del nord, è da sempre dominante la cosca Papalia-<br />
Barbaro.<br />
6 Ordinanza di custodia cautelare emessa il 13.12.2006 a carico di Bubba Rodolfo, Trovato<br />
Emiliano, Trovato Giacomo ed altri anche per il reato di cui all’art. 416bis c.p..<br />
7 Nel settore dell’edilizia privata, sottoposto soprattutto nell’hinterland ad un controllo quasi<br />
monopolistico da parte delle cosche, il meccanismo di intervento che esprime tale controllo ed è<br />
stato già riconosciuto in alcune sentenze, è quasi sempre il medesimo. Inizialmente società<br />
operanti con capitali mafiosi ma intestate a prestanomi incensurati ed apparentemente privi di<br />
collegamento con i clan acquistano terreni agricoli ottenendo poi dai Comuni le relative licenze<br />
edilizie e facendo fronte agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. In un secondo<br />
momento le stesse società affidano la costruzione di unità immobiliari, attraverso contratti di<br />
appalto, a società in cui compaiono invece imprenditori o loro familiari legati in modo più diretto ai<br />
gruppi della ‘ndrangheta. Il pagamento del contratto di appalto non avviene poi in denaro bensì<br />
con la cessione di una quota, di solito il 50%, delle unità immobiliari costruite che l’impresa<br />
costruttrice vende subito ad altre società immobiliari anch’esse legate ai clan che rivendono a<br />
privati. Tale meccanismo consente quindi di porre degli schermi di salvaguardia tali da non attirare<br />
troppo l’attenzione sul reale beneficiario finale dell’attività edilizia e tutte le società coinvolte, che si<br />
alimentano con continui ingenti finanziamenti soci con i quali poi vengono pagate le reciproche<br />
prestazioni, hanno la possibilità di nascondere l’origine di somme provenienti dai traffici illeciti e<br />
di ottenere in modo abbastanza semplice flussi di denaro pulito.<br />
8 Si osservi che allo stato non si evidenziano infiltrazioni significative nel campo dell’edilizia<br />
pubblica e in genere negli appalti pubblici di rilievo, non è noto se per una carenza delle indagini o<br />
perchè gli appalti pubblici non sono per il momento di grande interesse per le cosche rischiando di<br />
metterne in pericolo ”l'invisibilità”.<br />
Tuttavia indagini recenti ed ancora in corso segnalano un nuovo interesse per gli appalti nel campo<br />
dell’Alta Velocità ferroviaria e nel campo del potenziamento dell’Autostrada Milano-Torino nelle<br />
sue tratte lombarde.<br />
9 In tema di caporalato è interessante rilevare che molti lavoratori delle imprese di facchinaggio<br />
gestite da uomini vicini alle cosche sono secondo i dati forniti dagli organi investigativi cittadini<br />
curdi e turchi convogliati dalla ’ndràngheta in Nord-Italia dopo il loro sbarco sulle coste del<br />
crotonese e del catanzarese.<br />
10 Già nel 1993 infatti un’indagine della D.D.A. di Milano aveva messo in luce un commercio di<br />
cocaina e di eroina tra Italia, Sud-America e Thailandia per 300 chilogrammi di sostanze al mese<br />
che viaggiavano appoggiandosi alla Sical Frut una società che operava presso l’Ortomercato di<br />
Milano e rispondeva allo stesso clan dei Morabito.<br />
11 entrambi fra l’altro destinatari di misura cautelare nell’operazione relativa all’Ortomercato.<br />
12 La cosca Ferrazzo di Mesoraca, impegnata sul confine italo-svizzero in traffici di droga e di armi,<br />
34
è stata retta in tempi diversi da Felice Ferrazzo e Mario Donato Ferrazzo e ad essa era vicino Sergio<br />
Iazzolino, uno dei registi dell’operazione WFS/ PP Finanz, assassinato a Cutro (KR) il 5 marzo<br />
2004.<br />
Per l’organizzazione del piano finanziario di investimento e di spoliazione il gruppo si sarebbe<br />
avvalso di un personaggio cerniera con specifiche “competenze”, il cittadino italo-.Svizzero di<br />
origine campana Alfonso Zoccola, già condannato in Svizzera per una truffa per decine di milioni di<br />
franchi in danno di istituti di credito svizzeri in concorso con soggetti napoletani e con un nipote<br />
dell’armatore Achille Lauro.<br />
13 Sempre nel campo delle indagini patrimoniali va ricordato che presso la Procura della<br />
Repubblica di Monza è in corso un’attività in cui emerge per la prima volta una sinergia operativa<br />
in investimenti illeciti tra elementi della criminalità organizzata italiana e i gruppi stranieri. E’<br />
emerso infatti che un soggetto cinese già condannato a morte in Cina per truffa aggravata<br />
intendeva trasformare un immobile di Muggiò, inizialmente destinato a un multisala<br />
cinematografico, in un grosso centro commerciale con stand di prodotti cinesi. Per realizzare<br />
l’acquisto dell’immobile, del valore di oltre 40 milioni di euro, sono stati presi contatti con<br />
esponenti della cosca Mancuso di Limbadi operante nella zona, cosca interessata alla possibilità di<br />
realizzare tramite tale iniziativa il riciclaggio delle proprie liquidità. Le<br />
verifiche in merito a questo fenomeno certamente nuovo sono ancora in corso.<br />
14 Già base del clan Papalia<br />
35
Inchieste<br />
sull'<strong>Ndrangheta</strong><br />
nel lecchese<br />
36
Wall Street<br />
L'inchiesta “Wall Street” prese il nome dall'omonimo locale intestato alla<br />
moglie del capo della '<strong>Ndrangheta</strong> in Lombardia e nel lecchese sino a primi<br />
anni '90, Franco Coco Trovato. La pizzeria Wall Street fungeva sia come<br />
canale di riciclaggio di denaro sporco sia come centro operativo della 'ndrina<br />
mafiosa. Verso la fine dell'agosto del 1992, Franco Coco Trovato fu arrestato a<br />
<strong>Lecco</strong> proprio nel suo bunker: la pizzeria Wall Street.<br />
L'operazione, portata avanti dalla Procura di Milano, in particolare dal Pm<br />
Armando Spataro, comportò il fermo di più di 200 persone accusate di<br />
associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.).<br />
Nel marzo del 1995 cominciò quindi uno dei diversi maxi-processi alla<br />
'<strong>Ndrangheta</strong> lombarda.<br />
Droga, usura, omicidi (17), riciclaggio: queste le principali accuse rivolte ai<br />
circa 140 imputati. Nell'aprile del '97 Franco Coco Trovato fu condannato a 4<br />
ergastoli; il suo braccio destro Schettini a 30 anni; il fratello di Franco, Mario,<br />
si beccò 28 anni; i gregari, in tutto, 1.700 anni di reclusione. Le proprietà<br />
confiscate a Coco Trovato ammontarono a circa 28 miliardi di vecchie lire.<br />
Finanziarie, agenzie immobiliari (es. Città Arreda di Pescate), ristoranti e<br />
pizzerie (es. Tartaruga, Piscen, Giglio, Wall Street, Portico, ecc.), bar (es. K2),<br />
centri di autodemolizione, appartamenti, conti bancari, capannoni industriali,<br />
palestre e imbarcazioni d'altura.<br />
Un vero e proprio impero economico e finanziario.<br />
Ufficialmente Franco Coco Trovato risultava nullatenente grazie ad una fitta<br />
rete di prestanomi. Uno su tutti: Vincenzo Musolino, cognato del boss. La<br />
sorella di Musolino, Eustina, moglie di Franco Coco Trovato, era l'intestataria<br />
proprio di quel locale: Wall Street.<br />
Vincenzo Musolino, mente finanziaria del boss, reinvestiva ingenti capitali in<br />
immobili, appartamenti e finanziarie (Ap Leasing). Oltre all'inchiesta Wall<br />
Street, Musolino rimase impigliato anche in quella relativa agli strangolatori<br />
d'aziende (70 strozzini), al traffico illecito di rifiuti tossico-nocivi (Lario<br />
Connection) ed in quella inerente ai cosiddetti “pannelli solari d'oro”.<br />
L'inchiesta Wall Street, insieme a molte altre dello stesso periodo, evidenziò il<br />
sodalizio venutosi a creare tra le diverse mafie in territorio lombardo. La<br />
“federazione mafiosa” aveva come capitale Milano (vero fulcro degli affari e<br />
del riciclaggio) e come avamposti le altre città della regione, tra cui <strong>Lecco</strong>.<br />
37
FRANCO COCO E' ACCUSATO DI ESSERE IL PARTNER DI PEPE' FLACHI<br />
<strong>Lecco</strong>, la carriera del boss finisce al ristorante dei vip<br />
i retroscena dell'arresto di Coco Trovato Francesco, 45 anni, bloccato mercoledì<br />
notte a <strong>Lecco</strong> al ristorante " Wall Street "<br />
Com'era difficile la vita da boss. Mai una notte intera nello stesso letto. Cambiare sempre<br />
auto (Ferrari, Porsche, potenti fuoristrada). Quanto ai pasti, variare ogni volta locale<br />
sfruttando la propria catena di ristoranti e pizzerie (una decina) disseminati per <strong>Lecco</strong> e<br />
dintorni. Mai troppa la prudenza, specie se al rischio "normale" delle vendette dei rivali si<br />
era ultimamente aggiunto il sospetto di essere pedinato dai carabinieri. Francesco Coco<br />
Trovato, 45 anni, ritenuto un manager della ' ndrangheta . alleato di ferro di Pepe' Flachi, l'<br />
erede di Vallanzasca . e' stato preso mercoledi' notte al Wall Street, ristorante vip di <strong>Lecco</strong><br />
di proprieta' della moglie. Da tre giorni i militari del Gruppo di Como, guidati dal<br />
colonnello Carmine Adinolfi, facevano discretamente la posta ma lui riusciva ad ecclissarsi<br />
nel labirinto del suo impero: oltre ai locali pubblici un sacco di societa' finanziarie,<br />
appartamenti, negozi intestati a una girandola di prestanome. Non ha opposto resistenza<br />
ed e' stato subito trasferito a Foggia dove un giudice gli contesta un triplice omicidio<br />
avvenuto, gennaio ' 91, a Manfredonia, ennesimo capitolo della guerra per i mercati della<br />
droga. Vittime i fratelli Pasquale e Michele Pio Placentino e Fabio Tamburrano. Stessa<br />
imputazione per don Pepe' , in attesa di estradizione dalla Costa Azzurra. Davanti alle<br />
manette il boss si e' lamentato solo di non poter partecipare alle nozze della figlia, venerdi'<br />
a Olginate, campo.base del clan. Nelle terre un tempo controllate da "don Rodrigo" Coco<br />
Trovato di Marcedusa (Catanzaro) con la moglie Eustina Musolino era arrivato ai primi<br />
anni Sessanta: muratore generico. Intraprendente, furbissimo, ha costruito una fortuna<br />
creandosi una corte di familiari e amici. Lui in Brianza e Pepe' Flachi nell' Alto Milanese<br />
erano le colonne della mappa malavitosa. Tre anni fa a Bresso, porte di Milano, la coppia,<br />
su una Porsche, sfuggi' a una sparatoria . forse ingaggiata dai due Placentino poi "puniti" .<br />
nella quale rimasero uccisi due passanti. Lunga cosi' la fedina penale per il re dei<br />
ristoranti: droga, furti, rapine, porto d' armi. Ma ogni volta se la cava con brevi soste dietro<br />
le sbarre. Ormai non si sporca piu' le mani. C' e' sempre qualche "bravo" disponibile. Come<br />
il cognato Vincenzo Musolino, coinvolto nell' inchiesta sugli "strozzatori d' aziende": un<br />
gruppo che con l' usura si impadronisce di societa' costringendo i proprietari defenestrati a<br />
trasformarsi in agenti dell' organizzazione. Un anno fa lo sfiora la Lario.connection, appalti<br />
facili per un traffico di rifiuti . prime avvisaglie di Tangentopoli ., una trentina di indagati<br />
fra imprenditori e funzionari pubblici. Ma l' inchiesta stenta a decollare. Tutti immaginano<br />
cosa c' e' dietro quella ricchezza. Ma come incastrarlo? Ineccepibile, quasi cordiale con gli<br />
altri. E i ristoranti godono ottima fama e sono i piu' sicuri: mai una rapina. Ma l' altra<br />
faccia, piu' truce, dell' organizzazione ha sempre accompagnato come un' ombra la carriera<br />
del boss. Ammazzamenti, anche a centinaia di chilometri di distanza, erano probabilmente<br />
teleguidati da bande vicine ai boss lombardi come l' uccisione nel Milanese di Raffaele<br />
Laudari, residente a Valmadrera e di Ercole Vigano' e Angelo Petrosino. Piu' recentemente<br />
gli omicidi in Calabria di Giuseppe Caligiuri, residente a Calolziocorte (Bergamo), e di<br />
Gaetano Elia, di Valmadrera, ma il vero obiettivo era Giuseppe Colosimo, altro trapiantato<br />
al Nord, rimasto solo ferito (si e' fatto trasferire in un ospedale lecchese: piu' sicuro). Il<br />
triplice omicidio di Manfredonia forse e' l' occasione per togliere la maschera al re dei<br />
ristoranti di <strong>Lecco</strong>.<br />
Andrea Biglia<br />
6 settembre 1992, Il Corriere della Sera<br />
38
CON ALTRI 9 ARRESTI ALLA RESA IL CLAN DI FRANCO COCO TROVATO, BOSS GIA'<br />
IN CARCERE<br />
<strong>Lecco</strong>, i conti in tasca alla ' ndrangheta, sequestrate 50 società e<br />
conti miliardari in manette Coco Trovato Rolando, Coco Trovato Mario,<br />
Musolino Vincenzo, Marinaro Salvatore 41 anni, Nania Alessandro 34 anni,<br />
Sacco Palmerino, Sanna Davide (compagna di Schettino Antonio) , Biron<br />
Mattea, Curriga Domenico 45 anni e Carnovale Giuseppe 42 anni . Una serie<br />
di attivita' pulite per riciclare denaro sporco<br />
Una rete impressionante di attivita' pulite per riciclare denaro sporco: pizzerie,<br />
ristoranti, finanziarie, societa' immobiliari. In tutto una cinquantina di aziende per<br />
un valore di decine di miliardi. Su queste societa' , sulle auto di grossa cilindrata, sui<br />
conti correnti dai numerosi zeri sono calate le mani della giustizia e la Guardia di<br />
finanza ha gia' iniziato i sequestri. Il clan Coco e' alle strette. Il capo, Franco Coco<br />
Trovato, e' in carcere a Foggia da alcuni mesi. Dopo le accuse di triplice omicidio il<br />
nuovo ordine di custodia cautelare, recapitatogli in cella dai carabinieri, parla di<br />
altri delitti e di una serie impressionante di reati. Nella zona di Cusano, Cormano e<br />
Sesto era un boss, con Pepe' Flachi e Antonio Schettino (detto "Tonino o'<br />
scugnizzo"), del grande traffico della droga. Contro di loro si e' scatenata l'<br />
operazione "Wall Street" (il locale di <strong>Lecco</strong> dove Coco era stato arrestato) che ha<br />
portato al fermo di 200 persone, tanti sono i nomi che appaiono nei fascicoli sulla<br />
scrivania di Armando Spataro, il magistrato milanese che dirige l' operazione<br />
antimafia. Nel Lecchese sono finiti in manette . bloccati da polizia, carabinieri e<br />
Guardia di finanza . i fratelli di Coco, Mario e Rolando; il cognato Vincenzo<br />
Musolino, Salvatore Marinaro, 41 anni di Olginate; Alessandro Nania, 34 di<br />
Calolziocorte; Palmerino Sacco di Airuno; Davide Sanna di Cologno; la compagna di<br />
Schettino, Mattea Biron di Olgiate Molgora; Domenico Curriga, 45 anni di<br />
Cucciago, e Giuseppe Carnovale, 42, di Como. Gia' nel ' 91 la Guardia di finanza e i<br />
carabinieri di <strong>Lecco</strong> avevano chiesto il sequestro dei beni del clan, richiesta ripetuta<br />
nel ' 92, quest' anno l' ultima denuncia e l' operazione e' scattata. Perche' e' proprio<br />
intorno a Coco Trovato che si muove il maggior numero di societa' , suddivise in tre<br />
filoni: pizzerie e ristoranti (tra cui il Portico di Airuno, Wall Street, Del Giglio,<br />
Tartaruga a <strong>Lecco</strong>) finanziarie (tra cui Finadda, Ap Leasing), e immobiliari (tra cui<br />
la ditta' Citta' Arreda di Pescate). E il rapporto degli inquirenti dice che il cognato<br />
Musolino e' stato il socio fondatore della GMT e che su una Porsche nera intestata<br />
alla ditta avrebbe viaggiato Franco Trovato quando, il 15 settembre di due anni fa a<br />
Bresso, un commando che cercava di ammazzarlo, uccise invece due passanti.<br />
Familiari e uomini di Coco Trovato risultano anche dentro alcune societa' per lo<br />
smaltimento dei rifiuti tossici, finite al centro di un' altra inchiesta della<br />
magistratura. Il loro nome compare anche nello scandalo dei pannelli solari e<br />
sempre il cognato Musolino e' coinvolto nell' inchiesta sugli strangolatori di aziende<br />
che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di 76 persone. Quando il boss e'<br />
finito in cella l' autunno scorso, l' impero ha iniziato a sgretolarsi. Ora, forse, sta<br />
definitivamente crollando. <strong>Lecco</strong> con questi arresti esce dalla morsa della malavita.<br />
Franca Gerosa, 15 giugno 1993<br />
39
Decimate la cosche della Padania collegate a mafia e 'ndrangheta<br />
MILANO - Un colpo alla mafia padana. Un colpo ai clan legati a doppio filo con la '<br />
ndrangheta e che, per controllare traffico di droga ed estorsioni, si sono affrontati in una<br />
guerra sanguinosa punteggiata da decine di omicidi. In carcere sono finiti ieri mattina 72<br />
uomini, affiliati alle cosche calabresi dell' hinterland milanese. E, in contemporanea, altre<br />
decine di arresti sono stati effettuati in Puglia, per un' altra inchiesta con addentellati<br />
milanesi che ha portato in carcere boss e soldati delle famiglie che operano tra Lecce e<br />
Taranto. L' operazione milanese, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica<br />
Armando Spataro, ha preso le mosse proprio dallo scontro avvenuto negli ultimi anni tra i<br />
due schieramenti che si contendevano la "piazza" di Milano. Da un lato il gruppo di<br />
Giuseppe "Pepé" Flachi, il boss della Comasina, arrestato sulla Costa Azzurra poco più di<br />
un anno fa e ancora detenuto in Francia (un clan che diventa più forte alleandosi con<br />
Franco Coco Trovato e Antonio Schettino); dall' altro, la banda di Salvatore Batti che cerca<br />
di strappare a "Pepé" la supremazia nell' hinterland nord della città e di conseguenza i<br />
rapporti privilegiati con i clan calabresi. E nell' organizzazione ci sono anche insospettabili<br />
riciclatori, come, ad esempio, il titolare della catena di negozi di abbigliamento "Uba-Uba",<br />
Ubaldo Nigro, 45 anni, arrestato ieri mattina a Cologno Monzese. Lo scontro tra i due clan<br />
era stato aspro e drammatico, segnato da una sanguinosa scia di cadaveri che aveva<br />
raggiunto il culmine nel ' 91, quando a Milano si superarono i cento omicidi in un anno<br />
mentre, il 27 dicembre, a San Giuseppe Vesuviano, veniva assassinato Salvatore Batti, il<br />
rivale numero uno di "Pepé" Flachi. Il bilancio della mega-operazione, comunque, è ancora<br />
parziale. Soprattutto perché il versante milanese delle indagini è tutt' altro che concluso.<br />
Lo ha spiegato, in una breve conferenza stampa, il procuratore aggiunto Claudio Minale:<br />
"Purtroppo il lavoro investigativo ha subìto un' accelerazione a Sud dovuta all' esposizione<br />
di una fonte, per cui abbiamo dovuto far in fretta. Ecco perché siamo stati costretti ad<br />
operare dei fermi che dovranno passare al vaglio dei gip nelle prossime ore. E sino a quel<br />
momento non possiamo dire di più". Su una cosa, però, Minale è molto preciso: si tratta di<br />
associazione mafiosa: un particolare non irrilevante per Milano, dove raramente si<br />
contesta l' articolo 416 bis del Codice penale. Proprio per questo, il magistrato offre una<br />
interessante spiegazione: "E' vero che a Milano, e più in generale in Lombardia, si procede<br />
con i piedi di piombo prima di giungere a una imputazione di associazione mafiosa. Ma la<br />
risposta tutto sommato è semplice. In altre realtà, esiste un vestito già confezionato. Il<br />
lavoro, quindi, consiste soprattutto nel dimostrare l' appartenenza dell' accusato ad una<br />
organizzazione la cui esistenza è già stata accertata giudiziariamente. Qui non è così.<br />
Abbiamo bisogno di tagliare, per così dire, un vestito su misura". Comunque, in questo,<br />
caso si tratta di 416 bis? "Sì, ma non di Cosa nostra, ma di famiglie calabresi legate alla '<br />
ndrangheta". Per completare il quadro, i numeri dell' operazione che ha visto impegnati<br />
oltre mille uomini tra squadre mobili, carabinieri del Ros, finanzieri del Gico, Criminalpol<br />
e il coordinamento della Dia e della Direzione distrettuale antimafia di Milano. I<br />
provvedimenti della Procura sono stati 140. Di questi 72 sono stati eseguiti nei confronti di<br />
persone a piede libero, 50 notificati in carcere a componenti delle organizzazioni già<br />
arrestate. Restano quindi una dozzina di latitanti, una percentuale che ha soddisfatto<br />
molto gli investigatori. -<br />
Luca Fazzo e Roberto Leone<br />
11 giugno 1993, La Repubblica<br />
40
NELL' OPERAZIONE CONTRO IL CLAN DEL BOSS FRANCO COCO TROVATO<br />
<strong>Lecco</strong>, locali chiusi per mafia<br />
Nell'elenco figurano negozi, bar, ristoranti e pizzerie fra i quali anche il<br />
"Wall Street" dove il 31 agosto scorso venne arrestato il boss<br />
Le norme antimafia stanno facendo calare le saracinesche di molti esercizi commerciali e<br />
pubblici di <strong>Lecco</strong>. Si tratta di societa' legate a Franco Trovato Coco e alla sua famiglia,<br />
indicati dalla magistratura di Milano come il vertice lecchese della ' ndrangheta, decimata<br />
nei giorni scorsi dagli ordini di custodia cautelare (convalidati dal gip) emessi dal sostituto<br />
procuratore Amando Spataro. Nell' elenco negozi, bar, ristoranti e pizzerie, ai quali si sta<br />
revocando in queste ore la licenza commerciale, da parte dei Comuni interessati. A <strong>Lecco</strong><br />
citta' sono coinvolti locali molto noti e frequentati, quali il ristorante "Wall Street", di via<br />
Belfiore, messo in piedi dai Coco, dove, il 31 agosto scorso, i carabinieri arrestarono Franco<br />
Trovato, accusato di una serie impressionante di reati, dall' omicidio al traffico e spaccio di<br />
sostanze stupefacenti, al riciclaggio del denaro sporco. E ancora, dalle pizzerie "Piscen", e<br />
"Giglio", situate nel vecchio rione di Pescarenico, alla "Tartaruga", alle Caviate, al bar<br />
ristorante "K 2", situato in posizione strategica sul lungolago di <strong>Lecco</strong> e altri tre bar. Il<br />
provvedimento e' una conseguenza delle norme antimafia. Il 22 giugno scorso infatti, la<br />
commissione per la tenuta del registro degli esercenti commercio ha cancellato i<br />
nominativi di alcune societa' e persone, in seguito alla decisione del tribunale di Milano di<br />
sequestrare i beni. Nel patrimonio del clan Coco figurano oltre 50 aziende, per decine di<br />
miliardi. Il clan Coco e' dunque alle strette. Il suo capo, Franco Coco Trovato, e' in carcere a<br />
Foggia gia' da alcuni mesi, dopo essere stato, nella zona di Cusano, Cormano e Sesto, un<br />
boss indiscusso, insieme con Pepe' Flachi e Antonio Schettino, del grande traffico della<br />
droga. E con l' operazione "Wall Street" sono state fermate altre 200 persone.<br />
Franca Gerosa, 8 luglio 1993<br />
41
Ergastolo a Coco, boss della ' ndrangheta<br />
Il suo impero era cominciato a vacillare il 30 agosto ' 92, quando il capitano dei<br />
carabinieri Mauro Masic s' era presentato al suo quartier generale, il ristorante<br />
"Wall Street" di <strong>Lecco</strong>, con un ordine di custodia cautelare. Franco Coco, superboss<br />
della ' ndrangheta che ha messo radici in Lombardia, era finito in carcere con l'<br />
accusa di triplice omicidio. L' altro ieri, la corte d' assise di Foggia l' ha condannato<br />
all' ergastolo. I giudici lo hanno ritenuto colpevole dell' omicidio di Pasquale<br />
Placentino, esponente del clan nemico, assolvendolo invece dall' accusa d' aver<br />
ucciso il fratello, Michele Pio Placentino, e Fabio Tamburrano. Omicidi consumati<br />
nella zona di San Giovanni Rotondo nel gennaio del ' 91 nella faida di Coco e Pepe'<br />
Flachi contro Batti (i Placentino spalleggiavano quest' ultimo). Fu un regolamento<br />
di conti per la spartizione dell' hinterland milanese. Lunghe indagini avevano<br />
portato il pm di Foggia a chiedere il provvedimento restrittivo al gip, che aveva<br />
firmato decretando la fine di un impero: da quel momento, e' cominciato il declino<br />
del clan Coco, culminato nell' operazione disposta dal pm Armando Spataro, della<br />
Procura antimafia di Milano. Tutti in carcere gregari e familiari del boss, sequestrati<br />
pizzerie, ristoranti, bar, beni immobili, conti correnti di tutta la famiglia e dei<br />
personaggi vicini ai Coco. Adesso la condanna all' ergastolo, il primo,<br />
probabilmente, di una lunga serie: sul capo di Franco Coco pendono infatti accuse<br />
per una catena impressionante di omicidi.<br />
Febbraio 1995, Il Corriere della Sera<br />
42
Droga, usura e delitti Maxiprocesso alla banda di Trovato<br />
MILANO . "Sono Franco Coco Trovato. Il mio nuovo legale e' Giuliano Spazzali". Il<br />
maxiprocesso "Wall Street" contro la mafia della Brianza si e' aperto ieri nell' aula<br />
bunker di via Ucelli di Nemi con un annuncio a sorpresa: il superboss della '<br />
ndrangheta sara' difeso dal superavvocato che, dopo aver assistito Sergio Cusani, e'<br />
stato eletto presidente della Camera penale. Assieme a Coco, gia' condannato all'<br />
ergastolo per un triplice omicidio in Puglia, si sono presentati davanti alla seconda<br />
corte d' assise gran parte dei 157 imputati per una lunga stagione di sangue tra<br />
Milano e <strong>Lecco</strong>: 17 delitti decisi tra l' 81 e il ' 93 all' ombra di traffici miliardari di<br />
droga, rapine ed estorsioni. Dalle gabbie dei detenuti hanno risposto all' appello<br />
anche il vice di Coco, Antonio Schettini "il napoletano", e Ubaldo Nigro, che avrebbe<br />
riciclato soldi sporchi nella catena di negozi "Uba Uba". Tra i 50 accusati di<br />
associazione mafiosa spiccano Vittorio Foschini, Raffaele Camerino, Antonino<br />
Cuzzola e Domenico, Enrico e Francesco Flachi, fratelli di Pepe' , il "boss della<br />
Comasina" detenuto in Francia in attesa di estradizione. Tra gli imputati, con il<br />
latitante Domenico Paviglianiti e l' avvocato in odore di camorra Bruno Cesare,<br />
spuntano anche due poliziotti e un carabiniere "comprati" dai clan calabresi e dagli<br />
alleati siciliani dell' autoparco. Il processo, che chiude la prima fase delle indagini<br />
sulla guerra di mafia culminata nello "scambio" tra gli omicidi di Roberto Cutolo e<br />
Salvatore Batti, durera' almeno un anno. Il pm Armando Spataro e il capo del pool<br />
Manlio Minale hanno chiesto di sentire ben 901 testimoni e 31 collaboratori: dal<br />
pugliese Salvatore "Manomozza" Annacondia a Luigi Di Modica. Quest' ultimo e' il<br />
pentito che accuso' Spazzali di aver fornito informazioni per un progetto di<br />
attentato contro Spataro. Il legale replico' sparando a zero contro questa "infame<br />
calunnia". Un precedente che sembra annunciare nuove scintille tra accusa e difesa,<br />
dopo le riunioni pacificatrici tra Borrelli, Minale e Spazzali per risolvere d' intesa il<br />
problema delle sovrapposizioni tra i tanti maxiprocessi.<br />
Paolo Biondani<br />
7 marzo 1995, Il Corriere della Sera<br />
43
Autoparco mattatoio dei clan<br />
I killer uccidevano, poi i corpi finivano pressati nei rottami<br />
Diciassette omicidi, tra cui spicca l' assassinio di Roberto Cutolo. Altri nove delitti falliti<br />
per un soffio. E, sullo sfondo, una scoperta: l' autoparco di via Salomone non era una<br />
"semplice" centrale operativa per i traffici di droga e armi, ma un vero e proprio<br />
"scannatoio" della mafia. Una base sicura dove poter strangolare i nemici di turno.<br />
Eliminando anche i cadaveri, pressati con i rottami delle macchine. Il pm Armando<br />
Spataro ha chiuso con 89 richieste di rinvio a giudizio la seconda inchiesta milanese sulla<br />
"federazione delle cosche" che vinse la guerra di mafia esplosa a Milano nei primi anni ' 90:<br />
sotto accusa un' alleanza criminale tra ' ndrangheta, camorra, clan catanesi e pugliesi. L'<br />
indagine ruota attorno al famoso autoparco che gia' nel ' 92 fini' nel mirino dei magistrati<br />
di Firenze. Che accertarono complicita' eccellenti anche nella massoneria e nelle<br />
istituzioni: in questi giorni, tra mille veleni, sono sotto processo alcuni poliziotti, come l' ex<br />
vicequestore Iacovelli, che secondo l' accusa si sarebbero lasciati corrompere dai mafiosi.<br />
Raccogliendo la "sfida" di Firenze, gli investigatori milanesi hanno proseguito le indagini,<br />
alzando il tiro: boss e picciotti, ora, devono rispondere non solo di traffici sporchi, ma<br />
anche di 26 omicidi tentati o realizzati dal ' 90 al ' 93. La vittima piu' celebre fu Roberto<br />
Cutolo, figlio del boss della camorra perdente, ammazzato il 19 dicembre ' 90 a colpi di<br />
lupara nel Varesotto, dove era in soggiorno obbligato. Quattro giorni piu' tardi, in<br />
Campania, fu ucciso Salvatore Batti, che aveva tentato di raccogliere l' eredita' del "re della<br />
Comasina" Renato Vallanzasca. Secondo il pm Spataro, quella doppia esecuzione fu uno<br />
"scambio di favori": Cutolo fu eliminato dai killer del clan calabrese di Franco Coco<br />
Trovato, Pepe' Flachi e Antonio Schettini, deciso a sfondare i confini lecchesi; Batti,<br />
sospettato tra l' altro di passare informazioni alla Criminalpol, fu ucciso dai camorristi<br />
emergenti di Raffaele Ascione e del superlatitante Mario Fabbrocino. Per far luce sulla<br />
"federazione mafiosa", che comprendeva anche i calabresi di Paviglianiti e i catanesi di<br />
Jimmy Miano e Turi Cappello, sono risultate decisive le rivelazioni di 15 pentiti, tra cui<br />
spiccano Luigi Di Modica e l' ex poliziotto Giorgio Tocci, gia' inquisito per aver passato<br />
cocaina e aragoste al "detenuto" Angelo Epaminonda. Nel suo atto d' accusa, che verra'<br />
esaminato dal gip Guglielmo Leo nell' udienza preliminare del 4 luglio, il pm Spataro, che<br />
pure ne ha viste tante, si dichiara impressionato dalla "straordinaria ferocia" dei killer dell'<br />
autoparco. Testimoniata, ad esempio, dal destino di due corrieri turchi, strangolati in via<br />
Salomone perche' la ' ndrangheta non voleva pagare i carichi di eroina. In un verbale<br />
agghiacciante, il pentito Annacondia cita una confidenza di Coco Trovato: "Beati voi<br />
pugliesi, che potete bruciare i cadaveri in spiaggia o nelle cave. Qui a Milano non s'<br />
incendia neppure un copertone senza dare nell' occhio. E cosi' dobbiamo ridurre i corpi a<br />
scatolette con la pressa dell' autodemolitore". Tra i capitoli piu' inquietanti, la "corruzione<br />
tra le forze dell' ordine". Sotto accusa, per ora, tre persone: Franco Spatola, poliziotto a<br />
Porta Genova fino al giugno ' 94; l' ispettore in pensione Paolo La Vigna, fotografato all'<br />
Ippodromo anche nel ' 93; e Giorgio Nuzzo, ex carabiniere di Monza. Ma sul fronte delle<br />
coperture l' inchiesta continua: nel mirino insospettabili riciclatori, come il defunto Ubaldo<br />
Nigro (negozi Uba Uba), e altri complici eccellenti, alcuni dei quali in divisa.<br />
Paolo Biondani 18 giugno 1995, Il Corriere della Sera<br />
44
BLITZ DELLA FINANZA . CONFISCATI A LECCO RISTORANTI, VILLE E<br />
CONTI BANCARI DEL CLAN COCO TROVATO<br />
Il tesoro della ' <strong>Ndrangheta</strong><br />
Sequestrati 20 miliardi, capoclan un “cittadino benemerito”<br />
Per la 'ndrangheta lombarda e' arrivata l' ora della resa dei conti. Non ancora giudiziari<br />
(per quelli sono in corso i processi), ma economici. A conclusione di lunghe e complesse<br />
indagini patrimoniali su una delle maggiori cosche calabresi impiantate nel Nord Italia .<br />
quella guidata dal boss Francesco Coco Trovato ., pilotate dalla Direzione distrettuale<br />
antimafia di Milano e dalla procura della Repubblica di <strong>Lecco</strong>, i finanzieri del Gruppo<br />
investigazione sulla criminalita' organizzata (Gico) hanno sequestrato beni mobili e<br />
immobili dal valore di venti miliardi. Sette sono gia' stati definitivamente confiscati dallo<br />
Stato, per gli altri . gia' tuttavia tolti alla disponibilita' dei mafiosi . si attende il<br />
pronunciamento finale dei ricorsi presentati alla Corte di Cassazione. Piu' in dettaglio le<br />
Fiamme gialle hanno posto i sigilli su 10 ristoranti, 3 negozi di abbigliamento, una palestra,<br />
un bar, un impianto di autodemolizione, 30 auto di grossa cilindrata, 2 moto, due<br />
imbarcazioni d' altura, 13 appartamenti, tre ville (una trasformata in bunker), sei<br />
capannoni industriali e congrui conti bancari. Tutti beni frutto di investimenti di denaro<br />
sporco proveniente dalle estorsioni e dal traffico di droga e armi. L' importanza delle<br />
indagini patrimoniali e, quindi, del sequestro dei beni come indispensabili strumenti di<br />
lotta alla criminalita' organizzata, e' stata sottolineata ieri mattina negli uffici milanesi del<br />
Gico dal pubblico ministero Armando Spataro, che opera nel gruppo della Dda di Milano,<br />
per il quale "occorre assolutamente evitare che i capi delle cosche, sebbene carcerati,<br />
riescano ugualmente a mantenere intatto il proprio potere sul territorio potendo gestire<br />
notevoli patrimoni". Da cio' , come ha rilevato anche il sostituto procuratore di <strong>Lecco</strong>,<br />
Stefania Rota, la necessita' di arrivare alla confisca dei beni come misura di prevenzione. L'<br />
indagine patrimoniale, come detto, ha riguardato esclusivamente la cosca di Francesco<br />
Coco Trovato, 48 anni, capobastone della ' ndrangheta, arrestato dai carabinieri nel<br />
settembre del ' 92 mentre cenava al ristorante "Wall Street" di <strong>Lecco</strong> gestito dalla moglie,<br />
perche' sospettato di vari omicidi. E proprio col nome del locale, in cui e' stato sorpreso, e'<br />
stata poi battezzata una delle piu' vaste operazioni contro la ' ndrangheta mai compiute in<br />
Lombardia. Attualmente il processo "Wall Street" si sta svolgendo in corte d' Assise a<br />
Milano con 155 persone imputate a vario titolo di associazione mafiosa, omicidi, traffico di<br />
armi e droga. Alleato in affari con Pepe' Flachi, boss della Comasina, Affori e Bruzzano, tre<br />
zone della periferia milanese, catturato tre anni fa sulla Costa Azzurra, Coco Trovato si era<br />
costruito un vero e proprio impero, controllando tutte le maggiori attivita' illecite che si<br />
estendevano soprattutto nella Brianza lecchese. Dai suoi molteplici interessi aveva ricavato<br />
un ingente patrimonio che, grazie al cognato Vincenzo Musolino, vera mente finanziaria,<br />
aveva investito in beni mobili e immobili acquistando, anche attraverso finanziarie<br />
compiacenti, appartamenti e attivita' commerciali nel Lecchese che poi affidava in gestione<br />
a prestanomi. Ufficialmente Coco Trovato risultava nullatenente e c'era chi, persino, lo<br />
giudicava un bravo cittadino. Il presidente dell'Unione commercianti di <strong>Lecco</strong> lo aveva<br />
addirittura proposto per una pubblica benemerenza.<br />
Gianfranco Ambrosini<br />
23 novembre 1995, Il Corriere della Sera<br />
45
Ergastolo ai boss, 5 mila anni ai gregari<br />
L' ombra del carcere a vita su diciassette calabresi protagonisti dei capitoli piu'<br />
sanguinosi della criminalita' lombarda.<br />
Ricostruita la guerra che opponeva affiliati alla camorra a esponenti della '<br />
ndrangheta Il ruolo dei pentiti e della federazione delle mafie Le richieste dei pm<br />
concludono la prima fase dei maxiprocessi Wall Street e Nord Sud<br />
L'ombra del carcere a vita su diciassette calabresi protagonisti dei capitoli piu'<br />
sanguinosi della criminalita' lombarda Ergastolo ai boss, 5 mila anni ai gregari<br />
Ricostruita la guerra che opponeva affiliati alla camorra a esponenti della<br />
'ndrangheta Il ruolo dei pentiti e della federazione delle mafie Le richieste dei pm<br />
concludono la prima fase dei maxiprocessi Wall Street e Nord Sud Trentotto<br />
ergastoli per diciassette boss, quasi cinquemila anni di carcere per gli altri membri<br />
delle organizzazioni piu' feroci. Con queste richieste si e' chiusa ieri la prima fase dei<br />
maxiprocessi milanesi. Nelle due aule bunker, i pm Armando Spataro e Alberto<br />
Nobili hanno concluso le requisitorie dei procedimenti Wall Street e Nord Sud. Gli<br />
imputati sono complessivamente 282, giudicati per trentuno omicidi e dieci<br />
sequestri di persona. Si tratta dei capitoli piu' sanguinosi della criminalita'<br />
lombarda. Da una parte quella che viene considerata la piu' potente ramificazione<br />
della 'ndrangheta in Lombardia. Un clan che avrebbe avuto al vertice le famiglie<br />
Papalia e Sergi. E che - secondo le contestazioni - avrebbe commesso diciassette<br />
assassinii. Il pm Nobili ha chiesto per gli imputati una selva di ergastoli. Ben nove<br />
per Francesco Sergi, incriminato per dieci delitti; sette per Paolo Sergi e sei per<br />
Francesco Trimboli. Fara' discutere la pena invocata nei confronti di Rocco Papalia,<br />
uno dei presunti capi: l'ergastolo come somma di una condanna a cinquanta anni<br />
per alcuni rapimenti e di una a trent'anni per narcotraffico. Non meno importanti le<br />
vicende ricostruite da Spataro con l'istruttoria Wall Strett. Si e' discusso della piu'<br />
terribile guerra di mafia avvenuta a Milano negli ultimi anni: la battaglia tra la<br />
famiglia campana dei Batti e il clan raccolto intorno a Franco Coco Trovato e<br />
Giuseppe Flachi. Era la fine del 1990 e le cronache milanesi sembravano<br />
trasformate in un bollettino di guerra, con sparatorie tra i passanti ed esecuzioni<br />
senza fine. Il conflitto e' terminato solo con lo sterminio del gruppo napoletano. Ed<br />
ha fatto emergere quella che gli inquirenti chiamano "la federazione delle mafie". In<br />
pratica, all'ombra della Madonnina si erano creati rapporti di alleanza e<br />
cooperazione tra tutte le grandi confraternite criminali originarie dell'Italia<br />
meridionale. Sono stati individuati rapporti organici tra le gang lombarde e le piu'<br />
importanti cosche reggine, siciliane, pugliesi o campane. Fino a una serie di delitti<br />
incrociati. E' il caso dell'assassinio di Roberto Cutolo, unico erede di don Raffaele:<br />
la sua uccisione venne chiesta dalla Camorra come contropartita per l'eliminazione<br />
dell'ultimo superstite dei Batti, avvenuta a San Giuseppe Vesuviano. Proprio<br />
all'inizio degli anni Novanta sembrava che i killer potessero agire quasi in regime di<br />
impunita'. Poi dal 1992 e' cominciata la stagione dei pentiti. E la storia e' cambiata:<br />
"Abbiamo inflitto un colpo durissimo alla mafia - spiega Spataro -. Tutti i capi sono<br />
in prigione, l'ultimo era Paviglianiti che e' stato catturato un mese fa. Le cosche<br />
sono state decimate. Per ricostruire sul territorio organizzazioni di questo spessore<br />
ci vorranno molti anni". Il primo grande collaboratore e' stato Saverio Morabito che<br />
46
ha permesso di smantellare la rete dei Papalia, temuti anche all'interno di Cosa<br />
Nostra. Per lui il pm Nobili ieri ha chiesto 30 anni. Molti altri sono seguiti. Persino<br />
nel corso del dibattimento Wall Street diversi imputati hanno lasciato le gabbie per<br />
chiedere il programma di protezione. Hanno raccontato storie di ordinaria barbarie,<br />
con avversari ammazzati nelle presse per rottamare automobili, con vendette<br />
inesauribili. Ma anche di infiltrazioni nella cosiddetta societa' civile. L'ultimo<br />
episodio emerso e' quello del presidente dei commercianti della provincia di <strong>Lecco</strong><br />
che decorava per "meriti imprenditoriali" due presunti capoclan, sospettati di<br />
controllare pure il racket sugli esercenti. Ai padrini il denaro non mancava. Anzi,<br />
veniva prestato ad imprenditori in crisi per poi rilevarne le aziende. Nella retata era<br />
stato coinvolto pure il titolare della catena di supermarket d'abbigliamento Uba<br />
Uba, deceduto nella detenzione. Ed ora? "Il nostro compito e' quello di non ritenerci<br />
soddisfatti - continua Spataro - e utilizzare i mille spunti investigativi offerti dai<br />
pentiti per seguire l'evoluzione delle nuove leve. Ci vorra' del tempo per capire che<br />
sviluppo stanno prendendo. Il modello e' quanto e' successo con l'operazione<br />
Europa. Uno dei collaboratori ci aveva dato un'indicazione secondaria che e' servita<br />
pero' per impostare le ricerche e arrestare i vertici del gruppo. Oggi possediamo una<br />
conoscenza globale sulla criminalita' nel Milanese e dobbiamo saperla gestire con<br />
attenzione". Anche perche' - ripetono gli uomini della Direzione distrettuale - la<br />
citta' resta il principale centro europeo del traffico di droga. Lo ha confermato<br />
l'ultimo blitz, dimostrando come i narcos milanesi avevano creato basi stabili in<br />
Olanda e Spagna per importare cocaina ed in Slovenia per smistare eroina.<br />
Gianluca di Feo<br />
10 gennaio 1997, Il Corriere della Sera<br />
47
CONCLUSO IL PROCESSO A 145 IMPUTATI AFFILIATI<br />
ALLA ' NDRANGHETA: DICIASSETTE OMICIDI,<br />
TRAFFICO DI DROGA E ARMI, ESTORSIONI<br />
Wall Street: 1. 700 anni di carcere<br />
Quattro ergastoli al boss, pene pesanti ai pentiti, un<br />
arresto in aula<br />
Concluso il processo a 145 imputati affiliati alla 'ndrangheta: diciassette omicidi,<br />
traffico di droga e armi, estorsioni Wall Street: 1.700 anni di carcere Quattro<br />
ergastoli al boss, pene pesanti ai pentiti, un arresto in aula Due anni di processo, per<br />
far luce sulla guerra di mafia che insanguino' Milano e la Brianza tra l'89 e il '93.<br />
Poi, 17 giorni di giudizio in camera di consiglio. E infine il verdetto: una bastonata<br />
senza precedenti per le piu' feroci colonie della 'ndrangheta in Lombardia. Con<br />
pesanti condanne anche per i maggiori pentiti. Nell'aula bunker di Ponte Lambro si<br />
e' chiuso, ieri mattina, il primo maxi - processo contro le cosche alleate di Milano e<br />
<strong>Lecco</strong>. Una sentenza severa: 130 condannati, per un totale di 1.700 anni di carcere,<br />
e 15 assolti. L'imputato numero uno, il boss Franco Coco Trovato, parente del<br />
capomafia calabrese De Stefano, si e' sentito infliggere 4 ergastoli. E il suo vice Toto'<br />
Schettini si e' preso 30 anni, con solenne bocciatura del suo tentativo di fare il<br />
pentito. Tra i 15 assolti, gli unici big sono Domenico Flachi, fratello del famoso<br />
Pepe' boss della Comasina, e Rolando Coco. Ma le famiglie hanno poco da gioire: 19<br />
anni per Enrico Flachi, 16 per Francesco e 28 per Mario Coco (anche lui terzo<br />
fratello). A sorpresa la seconda Corte d'assise ha usato la mano pesante pure con i<br />
collaboratori: 17 anni e mezzo per il pugliese Salvatore Annacondia, che fece partire<br />
l'intera inchiesta; 20 per Giorgio Tocci, l'ex poliziotto corrotto che divento' killer; 23<br />
per Salvatore Pace. "Soddisfatto" il pm Armando Spataro, che avvisa: "La sentenza<br />
riconosce l'esistenza di associazioni mafiose in Lombardia e la loro importanza. I<br />
maxiprocessi si devono fare. E l'assoluta indispensabilita' dei collaboratori dimostra<br />
quanto siano pericolosi certi disegni di legge". Al centro del processo (battezzato<br />
"Wall Street" dal nome di uno dei locali lecchesi di Coco, ora tutti confiscati),<br />
c'erano traffici miliardari di droga e armi, estorsioni e 17 omicidi. Inseriti nella<br />
guerra di mafia che stermino' il clan dei Batti, alleati napoletani di Pepe' Flachi, che<br />
nell'89 li scarico' aprendo Milano a Coco. Del delitto piu' eccellente, l'assassinio a<br />
Tradate di Roberto Cutolo, figlio del boss della camorra, si occupa il processo<br />
"Count Down". In aula, qualche momento di tensione. Come l'arresto di Giovanni<br />
Germoleo, che era libero per "decorrenza termini" ma e' stato condannato a 16 anni,<br />
tra le lacrime della sua fidanzata. Stessa sorte, ma a casa, per altri due picciotti. Da<br />
Franco Coco, invece, solo un sogghigno. E poi un'autodifesa: "Sono un capro<br />
espiatorio, vittima dei pentiti che dicono una verita' e cento bugie. Mi giudichera'<br />
Dio". Nella sua gabbia, un condannato a 15 anni singhiozza. E il boss lo zittisce cosi':<br />
"Non si piange! Tanto c'e' l'appello e poi la Cassazione...".<br />
Paolo Biondani<br />
27 aprile 1997, Il Corriere della Sera<br />
48
<strong>Lecco</strong>, centro giovanile nell'ex pizzeria del boss<br />
Un centro di aggregazione per ragazzi nella pizzeria che era stata del boss. + una<br />
delle proposte emerse ieri nel corso di un vertice sul "Pianeta giovani" convocato dal<br />
prefetto di <strong>Lecco</strong>, Piero Giulio Marcellino. L'idea e' del questore Giovanni Selmin:<br />
trasformare i locali della pizzeria "Wall Street" di Franco Coco Trovato, posta sotto<br />
sequestro dall'Antimafia e da anni inutilizzata, in un punto d'incontro per i giovani<br />
lecchesi. Il vertice e la proposta del questore arrivano all'indomani di uno studio<br />
commissionato dal comune per "fotografare" abitudini e problemi dell'universo<br />
giovanile lecchese. Sconcertante il capitolo relativo ai rapporti fra i giovani e la<br />
droga: uno studente su due aveva dichiarato di avere ricevuto, in una o piu'<br />
occasioni, offerte per l'acquisto di stupefacenti. Dopo la doccia fredda, la risposta<br />
delle istituzioni non si e' fatta attendere: "I giovani sembrano aver perso la capacita'<br />
di distinguere lucidamente il bene dal male - dice il prefetto -, dobbiamo percio'<br />
aprire un tavolo di confronto per mettere a fuoco progetti d'aiuto e di stimolo alla<br />
crescita sana dei ragazzi". L'incontro di ieri ha posto le basi per la creazione di una<br />
task force contro il disagio giovanile. Ne fanno parte i rappresentanti delle forze<br />
dell'ordine, gli assessori ai Servizi sociali di Comune e Provincia, il provveditore,<br />
esponenti dell'associazionismo lecchese e del mondo cattolico, fra cui il prevosto<br />
don Roberto Busti.<br />
Daniela Monti<br />
24 novembre 1998, Il Corriere della Sera<br />
49
70 strozzini<br />
50
70 usurai della 'ndrangheta sotto processo: nel Lecchese<br />
strangolavano le aziende in difficoltà<br />
70 persone rinviate a giudizio per prestito a usura e reati connessi nell'ambito<br />
dell'inchiesta sull'organizzazione degli strangolatori d' aziende sgominata nel 1991: si<br />
apre oggi a <strong>Lecco</strong> il maxiprocesso.<br />
Si parla di mafia e delle sue connessioni con l' economia lecchese al maxiprocesso che<br />
si apre quest' oggi al palazzo di giustizia di via Cornelio, presidiato per evitare problemi<br />
di ordine pubblico. Davanti al giudice delle indagini preliminari sfileranno, infatti, la<br />
settantina di persone per le quali il sostituto procuratore della Repubblica, Luigi<br />
Bocciolini, ha chiesto il rinvio a giudizio per prestito a usura e reati connessi nell'<br />
ambito dell' inchiesta sull' organizzazione degli "strangolatori d' aziende" sgominata a<br />
fine ' 91. Le indagini congiunte di magistratura, carabinieri e polizia, ma soprattutto i<br />
minuziosi controlli contabili di centinaia di aziende e persone singole da parte della<br />
Guardia di finanza, alzarono un coperchio su un giro miliardario e tagliarono i tentacoli<br />
di una piovra del prestito ad usura che aveva stretto la gola a numerosi operatori<br />
economici del Lecchese in difficolta' . Reclamando il pagamento del prestito concesso e<br />
degli esorbitanti interessi, la gang riusciva ad obbligare gli imprenditori a cedere le loro<br />
attivita' . In qualche caso i "clienti" dovevano entrare essi stessi, dietro minacce piu' o<br />
meno velate, nell' organizzazione criminale per contattare le vittime successive o<br />
aiutare nel riciclaggio del denaro. Un' inchiesta che aveva tolto a <strong>Lecco</strong> la maschera di<br />
"isola felice" al riparo dal grande crimine. Tanto piu' che e' arrivata a ridosso dell'<br />
incriminazione di Franco Trovato Coco, boss della ' ndrangheta in Lombardia con casa,<br />
affetti e affari in citta' , e dell' operazione "Wall Street", coordinata dal sostituto<br />
procuratore della direzione distrettuale antimafia, Armando Spataro, che hanno<br />
definitivamente fatto entrare il nome della citta' manzoniana tra quelle usate dalla<br />
grande criminalita' per riciclare il denaro, con l' arresto di persone appartenenti alle<br />
famiglie Coco, Flachi' e Schettini, di cui si e' tra l' altro tornati a parlare in citta' anche<br />
sabato con l' udienza del tribunale per le misure di pubblica sicurezza e sorveglianza<br />
speciale. Dunque una stretta connessione di fatti e di episodi in un disegno criminale<br />
che di giorno in giorno si fa piu' chiaro. <strong>Lecco</strong> veniva usata proprio per riciclare il<br />
denaro della droga e convertirlo in attivita' piu' "pulite". Non per niente tra le posizioni<br />
che il gip Giovanni Gatto dovra' oggi esaminare vi e' quella di Vincenzo Musolino,<br />
cognato di Coco, anche lui gia' in carcere e indagati in entrambe le inchieste, come in<br />
quelle dei pannelli solari d' oro e dei rifiuti tossici. Lo stesso questore Lorenzo<br />
Chernetig e il presidente del tribunale Nicola Laudisio, entrambi alle prime battute in<br />
citta' , hanno confermato che il Lario e' ormai da tempo terreno di grande e piccola<br />
criminalita' dalle radici ben salde nella societa' civile. Proprio in questa stagione di lotta<br />
che richiede, come ha detto ancora il questore, un lavoro minuzioso "delle forze dell'<br />
ordine e di tutte le categorie della societa' , dalla pubblica amministrazione alla chiesa e<br />
fino al cittadino comune", le "colpe" della giustizia lecchese (carenze di organico e<br />
logistiche, un settore civile paralizzato) si fanno ancora piu' sentire. Cinquemila<br />
pratiche si trascinano da quasi trent' anni e gli avvocati lecchesi minacciano, se la<br />
situazione non si risolvera' , di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell' uomo.<br />
Franca Gerosa<br />
27 ottobre 1993<br />
51
Lario Connection<br />
52
La rifiuti e tangenti Spa<br />
Per la Lario connection in carcere funzionario della Regione, Locatelli Amelio, e la sua convivente<br />
accusati di autorizzazioni facili.<br />
LECCO . Quanta puzza di tangenti anche nei rifiuti. E tornano a scattare le manette.<br />
Questo il nuovo promettente fronte dell'operazione antibustarelle che mobilita ormai<br />
mezza Lombardia. L'ennesino capitolo del libro nero ha condotto in carcere un funzionario<br />
dell'assessorato all'Ecologia della Regione, Amelio Locatelli, e una sua amica mentre altre<br />
tre persone finiscono nel calderone della Lario connection. Intanto a Voghera sindaco ed<br />
ex sindaco, Giovanni Libardi e Paolo Affronti (entrambi dc), si sono visti recapitare<br />
informazioni di garanzia per "danno ambientale". Loro replicano: "Non c' entriamo". Non<br />
basta: la Finanza ha trasportato da Como a Milano documenti sulle discariche di Mozzate e<br />
Carimate, da tempo contestate. Forse l' ambiente e' inquinato anche dalle tangenti. Sono<br />
indagini autonome, ma che corrono parallele sui binari delle licenze facili, del balletto degli<br />
appalti, delle scorie tossiche fatte passare per inerti e via per le tangenti. Sullo sfondo<br />
compaiono societa' forse controllate dalla malavita che scopre il business verde. Intanto a<br />
Bergamo . i rifiuti d' oro dell'Azienda municipale . il magistrato Angelo Tibaldi ha<br />
interrogato l' ex direttore dell'Amnu Giacomo Brusamolino, uno dei dieci indagati. Di<br />
fronte a una multinazionale come la tangentopoli spa . adesso si fruga nelle banche<br />
svizzere . le inchieste sono sempre più intrecciate. Il giudice milanese Di Pietro ha spiegato<br />
di agire gomito a gomito con il collega di Pavia: nei verbali dei magistrati impegnati sulle<br />
mazzette in ospedale spesso tornano gli stessi nomi di corrotti e corruttori. Gli ultimi<br />
arresti che coinvolgono il Pirellone sono stati disposti dal giudice milanese Maria Grazia<br />
Zanetti, ma l' origine dell'inchiesta e' la Lario connection, su cui da oltre un anno lavora il<br />
pm lecchese Enrico Consolandi, il quale, nei giorni scorsi, ha emesso altri tre avvisi di<br />
garanzia . in tutto circa venti. Tutto era nato dal sospetto che funzionari del Pirellone<br />
favorissero societa' prive dei requisiti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti<br />
tossico.nocivi. Gia' allora era emerso il nome di Locatelli, addetto alle autorizzazioni. La<br />
figlia risultava poi socia di una ditta per la discarica di Ballabio al centro dello scandalo: in<br />
carcere era finito il sindaco Bruno Colombo, mentre le intercettazioni avevano consentito l'<br />
apertura di un nuovo ramo di indagini lecchesi, i pannelli solari d' oro: coinvolti questa<br />
volta gli uffici dell' assessorato regionale all' Energia. In seguito le inchieste sui reati<br />
commessi al Pirellone passarono alla magistratura milanese mentre <strong>Lecco</strong> continua a<br />
occuparsi delle "sue" discariche. A Voghera l' inchiesta a carico di sindaco ed ex sindaco<br />
muove dalla scoperta di un traffico di rifiuti tossico-nocivi della Fergomma che attraverso<br />
alcune societa' venivano raccolti nella discarica di Candelo, nel Biellese, che era invece<br />
abilitata solo per materiali inerti. Informazioni di garanzia hanno raggiunto anche tre<br />
titolari di aziende impegnate nello smaltimento: Carlo e Tiziana Brambilla di <strong>Lecco</strong> e il<br />
vogherese Riccardo Fiora. A montare l' accusa sarebbero alcune bollette di<br />
accompagnamento firmate da Libardi, all' epoca dei fatti assessore all' Ecologia. I due<br />
amministratori si dichiarano pero' estranei alla vicenda e Paolo Affronti, ora segretario<br />
cittadino della Dc, e' convinto che "in tempi brevi la vicenda si sgonfiera' ". L' odierno<br />
bollettino degli scandali si conclude con la condanna a due anni (falso ideologico) di un<br />
funzionario dell' Ufficio speciale dell' Oltrepo' pavese, Giuseppe Ravazzoni, al processo per<br />
i finanziamenti "gonfiati" dopo l' alluvione dell' 87. Per Amedeo Lima, l' altro imputato, i<br />
giudici hanno invece riqualificato il titolo di reato in falso ideologico mediato trasmettendo<br />
gli atti al pubblico ministero.<br />
Andrea Biglia 17 maggio 1992, Il Corriere della Sera<br />
53
Dal Pirellone alla Valsassina i traffici della Lario connection<br />
vertice ieri mattina al palazzo di giustizia di <strong>Lecco</strong> per fare il punto<br />
sulla parte lecchese dello scandalo denominato "Lario connection dei<br />
rifiuti"<br />
Vertice ieri mattina al palazzo di giustizia per fare il punto sulla parte lecchese<br />
dello scandalo denominato "Lario connection dei rifiuti". Magistratura e<br />
carabinieri stanno passando a tappeto le ditte che operano nel campo dello<br />
smaltimento dei rifiuti e stanno controllando le autorizzazioni in odore di<br />
tangente; in particolare si vogliono scoprire gli eventuali legami tra funzionari<br />
regionali, amministratori locali e alcuni personaggi della malavita<br />
organizzata, che pare abbiano consistenti cointeressenze, sia in modo diretto<br />
sia tramite legami familiari, con le ditte sotto inchiesta. L' operazione parti'<br />
nel marzo di un anno fa, quando la Comunita' Montana della Valsassina si<br />
mobilito' contro la ventilata ipotesi dello stoccaggio, presentata dalla<br />
cooperativa interventi per l' ambiente e nei mesi successivi "girata" alla Val<br />
Eco, nel canyon di Balisio, nel comune di Ballabio. Nella segnalazione,<br />
avallata dall' ordine del giorno firmato da tutti i sindaci della valle contrari a<br />
quell' ipotesi, si metteva in risalto la pericolosita' dell' intervento, dato che si<br />
sarebbero dovuti "ospitare" 600 tonnellate di rifiuti tossico.nocivi. Un affare<br />
di miliardi che mise in subbuglio anche il capoluogo. La vicenda della Val Eco<br />
rientra nella piu' ampia inchiesta avviata a Milano dal sostituto procuratore<br />
Luisa Zanetti, che da mesi si sta muovendo d' intesa con il sostituto<br />
procuratore di <strong>Lecco</strong>, Enrico Consolandi, che ieri appunto ha chiamato a<br />
rapporto il colonnello Nazareno Montanti, comandante del gruppo di Como,<br />
il colonnello D' Elia, comandante del reparto operativo, e il capitano Mauro<br />
Masic, responsabile della compagnia di <strong>Lecco</strong>. Consolandi ha infatti<br />
recentemente ottenuto altri sei mesi di tempo dal giudice delle indagini<br />
preliminari di <strong>Lecco</strong>, Giovanni Gatto, per approfondire l' inchiesta, e proprio<br />
nei giorni scorsi ha inviato ad altrettante persone tre avvisi di garanzia,<br />
portando a una ventina gli indagati. Tra le ditte nel mirino ci sono infatti,<br />
oltre alla Val Eco (Ada Locatelli . figlia di Amelio Locatelli, il funzionario<br />
regionale arrestato nelle scorse ore a Milano, perche' avrebbe intascato<br />
tangenti legate allo smaltimento dei rifiuti . e' uno dei nomi che appare nell'<br />
elenco dei soci), la Opec di Ballabio, la Ecospeed di Perego, la D Vuomo di<br />
Olginate e la Cooperativa Interventi per l' ambiente, con sede a Como, ma<br />
operante in Valsassina. Anche in questa vicenda, denominata "Lario<br />
connection dei rifiuti", cominciano a scattare le manette ai polsi. La<br />
magistratura vuol vederci chiaro. E molti tremano.<br />
Franca Gerosa<br />
17 maggio 1992<br />
54
NELL' ELENCO BRUNO COLOMBO, EX SINDACO DI BALLABIO, IL<br />
DIRIGENTE LOCATELLI AMELIO E MUSOLINO VINCENZO, COGNATO<br />
DEL BOSS FRANCO COCO TROVATO<br />
Mafia e rifiuti a <strong>Lecco</strong>. Alla sbarra 35 persone<br />
chiusa l' inchiesta sul maxi traffico di rifiuti nocivi smaltiti in discariche in<br />
odore di mafia con il rinvio a giudizio di amministratori comunali,<br />
impiegati e tecnici della regione<br />
Trentacinque persone alla sbarra per la "Lario connection", il maxi traffico di<br />
rifiuti nocivi smaltiti in discariche in odore di mafia grazie a certificazioni<br />
false o compiacenti. L' udienza preliminare davanti al giudice Giovanni Gatto,<br />
che in primavera aveva concesso sei mesi di proroga delle indagini, e' fissata<br />
per il primo dicembre. In aula 35 tra amministratori comunali, impiegati e<br />
tecnici del Pirellone. Nell' elenco anche l' ex sindaco di Ballabio, Bruno<br />
Colombo, e l' ex dirigente regionale Amelio Locatelli. Le accuse: abuso di<br />
potere, falso e corruzione. L' inchiesta, chiusa dal sostituto procuratore<br />
lecchese Luigi Bocciolini, fu avviata dal suo collega Enrico Consolandi in<br />
seguito alle proteste degli abitanti della Valsassina per il nulla osta che il<br />
Pirellone intendeva concedere a una piattaforma di stoccaggio a Ballabio.<br />
Decisivi i sospetti espressi dall' allora assessore regionale Claudio Bonfanti.<br />
Nell' indagine fu coinvolto anche Franco Coco Trovato, 45 anni, il presunto<br />
boss della ' ndrangheta arrestato nell' agosto ' 92. Ma per lui, come per altre<br />
sette persone, il pm chiedera' il non luogo a procedere: mancano prove certe.<br />
Nella rete, peraltro, e' rimasto impigliato il cognato del capoclan lecchese,<br />
Vincenzo Musolino.<br />
Il Corriere della Sera<br />
10 settembre 1993<br />
55
Mala Avis<br />
Sono 44 le persone coinvolte in questa inchiesta, iniziata nel luglio 2002 e<br />
terminata nell’ottobre 2003. Un’ operazione che ha coinvolto 150 agenti ed ha<br />
interessato non solo la nostra provincia ma anche quelle di Como, Varese,<br />
Milano, Bergamo, Lodi, Cremona. Un’ operazione che porta alla scoperta di<br />
tre gruppi criminali, riferibili ad un unico clan, che gestivano parte del<br />
mercato della droga nel nord Lombardia. Confiscati beni per un valore di 1<br />
milione di euro (un bar sul lungo lago lecchese; 4 autovetture di lusso;<br />
393mila euro di proventi dello spaccio) e un chilo di cocaina. Un mercato,<br />
quello della coca, che assume sempre più proporzioni allarmanti: basti<br />
pensare che solo a Milano 120.000 sono quelli che dichiarano di far uso<br />
stabile o saltuario di cocaina. Un mercato che difficilmente entra in crisi e che<br />
ovviamente gli stakeholder ‘ndrini sfruttano. E la struttura mafiosa che fa<br />
girare questo mercato risulta essere sempre la stessa: se nel ’93 era iniziato il<br />
maxiprocesso “Wall Street”che aveva come maggiore imputato il boss Franco<br />
Coco Trovato, 10 anni dopo sono sempre coinvolti i Coco Trovato. Nella<br />
specie, il figlio Emiliano Trovato, 32 anni, già condannato all’ ergastolo.<br />
Questo, insieme a Luigi Alcamo (cognato di Franco Coco Trovato) era a capo<br />
di una delle tre cellule mafiose, dedita allo spaccio di cocaina nell’area che va<br />
da <strong>Lecco</strong> a Como fino all’hinterland milanese; la seconda cellula faceva capo a<br />
Silvia Maria Vita, dedita più al mercato dell’ eroina; la terza cellula aveva a<br />
capo Hamid Tir, di origine marocchina, che aveva contatti con i traffici<br />
provenienti dal Maghreb. Come agisce un gruppo d’aziende collegate e<br />
coordinate da una grande Holding sul mercato, dividendosi zone d’influenza e<br />
target di clientela, così si comportava questo sodalizio di gang criminali,<br />
indipendenti l’uno dall’ altro ma coordinati dalla Holding ’ndrina.<br />
E non hanno paura di subire un processo: prima escono di prigione prima<br />
rinsaldano il potere sul territorio. Nel processo, iniziato nel 2004, risultano<br />
essere tutti reo confessi (a parte 4): chiedono il rito abbreviato o il<br />
patteggiamento in modo tale da ottenere il maggiore sconto di pena.<br />
“Ora abbiamo tagliato alcuni rami di quella pianta che stava di nuovo<br />
germogliando su <strong>Lecco</strong> e sulla Lombardia.” Sostenne il questore di <strong>Lecco</strong><br />
Matteo Turillo. Una pianta che si pensava estirpata nel ’95 con la chiusura del<br />
maxiprocesso “Wall Street” ma che possiede straordinarie capacità<br />
rigenerative, che ha radici ampie e profonde come la Gramigna.<br />
56
OPERAZIONE DELLA QUESTURA DI LECCO CHE SI È ESTESA ALLE PROVINCE DI MILANO,<br />
BERGAMO, COMO, VARESE, LODI E CREMONA<br />
Scoperti tre clan della droga, 35 arresti<br />
In carcere anche il figlio di un boss condannato all' ergastolo. I gruppi si erano divisi il<br />
«mercato» lombardo<br />
LECCO - Tre diversi clan della malavita organizzata sgominati, 35 persone arrestate, altre<br />
cinque con obbligo di dimora, 150 agenti coinvolti in una operazione che ha interessato,<br />
oltre a <strong>Lecco</strong>, le province di Milano, Bergamo, Como, Varese, Lodi e Cremona. Infine<br />
confiscati beni per un valore vicino al milione di euro. È il bilancio dell'operazione<br />
antidroga denominata «Mala avis» («Uccello del malaugurio») condotta dalla Questura di<br />
<strong>Lecco</strong>. Un' operazione così imponente a <strong>Lecco</strong> non si ricordava dall' ottobre ' 93, quando<br />
finirono in carcere i boss della ' ndrangheta, tra cui Franco Coco Trovato, poi condannato<br />
all'ergastolo. In quell'occasione furono confiscati beni per 28 miliardi delle vecchie lire.<br />
«Ora - sostiene il questore di <strong>Lecco</strong> Matteo Turillo - abbiamo tagliato alcuni rami di quella<br />
pianta che stava di nuovo germogliando su <strong>Lecco</strong> e sulla Lombardia». Tra i nomi delle<br />
persone arrestate la scorsa notte spicca quello di Emiliano Trovato, 32 anni, figlio del boss<br />
già condannato all' ergastolo. L' operazione era iniziata nel luglio 2002 con l' arresto per<br />
rapina di Angelo Musolino. Durante una perquisizione nella sua abitazione gli agenti della<br />
polizia di <strong>Lecco</strong> trovarono 38 grammi di cocaina e un libretto al portatore con i nomi di<br />
Silvia Maria Vita, Gianluca Falbo e Flavio Falvo. Il 25 ottobre dello scorso anno fu arrestata<br />
Maria Silvia Vita, ritenuta la responsabile della gang che spacciava eroina nel capoluogo.<br />
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Luca Masini e condotte dalla Squadra<br />
mobile di <strong>Lecco</strong>, portarono a scoprire «cartelli» che importavano ingenti quantità di<br />
sostanze stupefacenti. Il primo gruppo, con a capo Silvia Maria Vita, era dedito allo spaccio<br />
a <strong>Lecco</strong>, il secondo, riconducibile a Luigi Alcamo ed Emiliano Trovato, rispettivamente<br />
cognato e figlio di Franco Coco Trovato, operava in provincia di <strong>Lecco</strong>, nell' hinterland<br />
milanese e nella Brianza comasca, spacciando cocaina. Il terzo era gestito da<br />
extracomunitari di origine maghrebina e aveva come capo Hamid Tir. «I tre gruppi -<br />
spiega Fabio Mondora, capo della Squadra mobile lecchese - erano ben distinti, operavano<br />
su piazze diverse e soltanto quando veniva meno il rifornimento dall'estero i capi si<br />
parlavano chiedendo un aiuto e quindi l' approvvigionamento». La droga proveniva dall'<br />
estero: la cocaina partiva da Amsterdam e il viaggio seguiva tappe in Germania, Svizzera,<br />
Italia. Il secondo riferimento era il Maghreb, poi la rotta Spagna, Francia e Italia. Lo<br />
smistamento avveniva a Verona, Bergamo, Milano e <strong>Lecco</strong>. I luoghi di spaccio nel<br />
capoluogo e nella provincia lecchese erano locali pubblici, zone di ritrovo dei giovani e, nel<br />
caso degli extracomunitari, la macelleria islamica di Rovagnate, nella Brianza lecchese.<br />
«Non abbiamo riscontrato alcun caso di spaccio davanti alle scuole», precisa il questore<br />
Matteo Turillo. La conclusione delle indagini è avvenuta fra lunedì e martedì: il gip di<br />
<strong>Lecco</strong> Davide De Giorgio ha firmato le ordinanze di custodia cautelare. In carcere così sono<br />
finite 28 persone, 7 agli arresti domiciliari e 5 con obbligo di dimora. La maggior parte<br />
risiede o è domiciliata in provincia di <strong>Lecco</strong>, tre invece a Bergamo, uno a Milano e uno a<br />
Como. Durante l' operazione la polizia ha sequestrato un chilo di cocaina, 393 mila euro,<br />
provento dello spaccio, e ha inoltre confiscato un bar sul Lungolago di <strong>Lecco</strong> e quattro auto<br />
di lusso. «Con quest' operazione - conclude il questore di <strong>Lecco</strong>, Turillo - pensiamo di aver<br />
arginato il fenomeno dello spaccio a <strong>Lecco</strong> e dintorni». Il tutto era cominciato con una<br />
battuta nel corso di una perquisizione: «Di solito porto fortuna». Ma quella frase, a detta<br />
degli stessi inquirenti, non è mai stata così sciagurata. Da qui anche il nome dell'<br />
operazione, «Mala avis», ossia «Uccello del malaugurio».<br />
Angelo Panzeri, 16 ottobre 2003, Il Corriere della Sera<br />
57
Droga, le gang davanti al giudice<br />
LECCO — Tutti hanno ammesso le proprie colpe ed ora attendono la relativa condanna.<br />
Ha preso avvio ieri nell'aula principale del Tribunale di <strong>Lecco</strong>, davanti al giudice Maria<br />
Cristina Sarli e al pm sostituto prcuratore della Repubblica Luca Masini il maxi-processo<br />
legato all'inchiesta della polizia di <strong>Lecco</strong>, conclusa lo scorso ottobre, denominata "Mala<br />
Avis" che, tradotto dal latino, significa uccello del malaugurio, malasorte. Denominazione<br />
esatta perchè appunto dal punto di vista degli accusati è stata la mala sorte a "inguaiare"<br />
44 persone, tutte secondo le accuse dedite alla redditizia attività di spaccio di sostanze<br />
stupefacenti. Si tratta di personaggi tutti della micro e macro criminalità legati in una sorte<br />
di associazione, al fine appunto di spacciare droga nei confronti della benestante e<br />
danarosa borghesia cittadina e del territorio. Dopo mesi di indagini, pedinamenti,<br />
intercettazioni telefoniche da parte della Squadra Mobile, con a capo il dottor<br />
Fabio Mondora la conclusione dell'inchiesta nei mesi scorsi culminata ora con i<br />
procedimenti penali nei confronti degli accusati. Tutti, a parte quattro latitanti marocchini,<br />
si sono detti colpevoli del reato di cui sono accusati. Se 14 hanno chiesto il rito abbreviato,<br />
26 invece sono quelli che si rivolgono al giudice chiedendo il patteggiamento per avere un<br />
maggior sconto sulla pena. Per arrivare al totale di 44, appunto, mancano i quattro<br />
marocchini latitanti. Martedì prossimo l'inizio della seconda udienza con i procedimenti<br />
legati al rito abbreviato. Mai come ieri il Tribunale del capoluogo e’ stato così affollato di<br />
persone. Nella prima udienza, che si è tenuta a porte chiuse, protagonisti sono stati<br />
mamme, mogli, figli, parenti, in particolare dei marocchini e albanesi accusati, intervenuti<br />
a salutare i propri cari implicati nel procedimento penale.<br />
Ma in aula erano naturalmente presenti anche parenti delle persone lecchesi che secondo<br />
l’accusa sono legate all'associazione.<br />
Fra questi i parenti del trentaquattrenne Francesco Mazzei che, condannato per un<br />
identico reato solo poche ore prima, deve adesso rispondere dei collegamenti con<br />
l'associazione e in particolar modo con Emiliano Trovato 32 anni, pure lui lecchese.<br />
Infatti nelle intercetazioni telefoniche spesse volte viene fatto il suo nome.<br />
Ma oltre al dibattimento legato all'inchiesta "Mala Avis" da segnalare nella prima udienza<br />
la presa di posizione dell'avvocato Marilena Guglielmana che ha preso le difese del<br />
ventisettenne Marco Wiliam Venneri, originario di Trapani ma residente nel lecchese.<br />
A quest'ultimo venne estorta , secondo la sua valutazione, l'auto Bmw da un altro<br />
personaggio legato all'inchiesta, Giuseppe Falbo.<br />
Quest'ultimo reclamava nei confronti del Venneri un credito dovuto alla cessione di<br />
stupefacenti per 3.000 euro. Come detto da martedì prossimo o sino al giorno 20 quando<br />
saranno emesse le sentenze, il palazzo di Giustizia vivrà uno dei suoi momenti più<br />
importanti.<br />
L'inizio lo si è visto già ieri quando ad apertura della sala l'aula era divisa i quattro settori<br />
con i colori rosso, azzurro, viola, verde e giallo (questo riservato alla gabbia dove si<br />
trovavano i pricipali<br />
protagonisti dell'associazione) dove gli accusati avevano preso posto.<br />
Tutti comunque rischiano pesanti pene anche per oltre sei anni.<br />
La prima udienza è iniziata alle 9,45 e si è conclusa attorno alle 14. Solo a quell’ora si è<br />
svuotata progressivamente la vicina Piazza Affari, sul retro del tribunale, che per tutta la<br />
mattinata è stata presidiata dai furgoni e dai veicoli delle forze dell’ordine.<br />
Nel giro di una manciata di minuti i furgoni cellulari della Polizia Penitenziaria sono<br />
ripartiti, riportando nelle carceri di provenienza tutti gli arrestati in stato di detenzione.<br />
Per gli aderenti all’ormai ex associazione, si continuerà, come detto, la prossima settimana.<br />
Gianni Riva, 11 luglio 2004, Il Giorno<br />
58
Ferrus Equi<br />
Il 22 novembre 2007, a seguito di protratte e complesse indagini, la Guardia di<br />
Finanza denunciava 25 persone e ne arrestò 19. La cosca colpita era quella dei De<br />
Pasquale. Secondo l'accusa, i componenti della ndrina – strutturata ma satellite a<br />
quella dei Coco Trovato – si erano divisi scientemente i compiti e le zone<br />
d'influenza. Estorsioni, truffe, minacce, violenze, traffico di armi e di stupefacenti,<br />
rapine, falsificazione di documenti, corruzione, usura e favoreggiamento di latitanti.<br />
L'organizzazione mafiosa aveva come fulcro la leghistissima Calolziocorte;<br />
precisamente nella frazione di Sala. Anche qui l'anello di congiunzione<br />
fondamentale per la sussistenza mafiosa: la spia dal basco verde. Il finanziere talpa<br />
si chiamava Pietro Sgroi; congedato nel 2006 e punto di riferimento per la cosca. Le<br />
soffiate sui movimenti delle forze dell'ordine avevano favorito e facilitato i passi dei<br />
De Pasquale.<br />
Al vertice dell'organizzazione due dei sei fratelli coinvolti: Peppino ed Ernesto. Il<br />
primo, scarcerato grazie all'indulto, dettava gli ordini decisivi, il secondo – recidivo<br />
pure lui – era titolare del ristorante “Da Ernesto” sito a Monte Marenzo (presso<br />
Calolziocorte) e si faceva portare a spasso da suo fratello Bruno.<br />
Peppino e Ernesto (uno del '62 e di l'altro sei anni più giovane) erano affiancati da<br />
Cosimo, Salvatore, Bruno (l'autista) ed Angelina. Tutti fratelli. Coinvolti nella<br />
precisa ripartizione dei ruoli risultavano anche la figlia di Salvatore, Emanuela<br />
Francesca De Pasquale, 29enne, l'amante di Ernesto, Marie Azzolini di 61 anni e<br />
Rosa Federico, convivente di Peppino.<br />
Al momento della prima udienza del processo “Ferrus Equi”, aprile '08, nessuno<br />
degli imputati (circa una ventina) ricorrevano al patteggiamento della pena<br />
(riconoscimento di colpevolezza). Di questi 23, 8 andavano incontro al rito<br />
abbreviato: Emanuela Francesca, Rosa Federico, Moreno Giardina (1986), Antonio<br />
Domenico Carlomagno, Gaetano Messina, Pietro Sgroi (la talpa), Antonio Pisano e<br />
Angelo Giannone.<br />
Tutti condannati verso la fine dell'aprile del 2008 ad un totale poco più superiore a<br />
26 anni di carcere complessivi; di questi, Angelo Giannone si beccava 7 anni e 5<br />
mesi per aver estorto denaro ad un imprenditore del posto, Moreno Giardina<br />
(23enne) un anno per aver dato fuoco ad un'auto, Antonio Pisano, un altro<br />
estorsore, veniva condannato a 5 anni e 4 mesi, e la “talpa” Pietro Sgroi soltanto 8<br />
mesi.<br />
Gli altri 15, tra cui i fratelli De Pasquale, andavano incontro al lunghissimo rito<br />
ordinario di cui ancora non si conoscono gli esiti.<br />
59
La famiglia De Pasquale a capo del clan<br />
Ruoli, gerarchie e compiti imprescindibili<br />
L’operazione “Ferrus equi” ruota attorno agli esponenti di spicco della<br />
famiglia De Pasquale, domiciliata a Calolziocorte, che nel corso degli anni si<br />
erano spartiti alcuni settori della malavita e al loro interno avevano creato un<br />
vero e proprio clan con tanto di gerarchia e compiti.<br />
A capo di tutto la guardia di finanza ha rintracciato Peppino De Pasquale,<br />
classe 1962, nativo di Bergamo ma residente a Calolziocorte. Recidivo, già<br />
condannato per estorsione, rissa, detenzione illegale di armi, dall’agosto del<br />
2006 era libero per effetto dell’indulto. Provvedimento di cui, tuttavia, l’uomo<br />
ha “beneficiato” per mettere assieme altri affari malavitosi. Con il fratello<br />
Ernesto, infatti, era il promotore dell’associazione a delinquere sgominata<br />
dagli inquirenti e a suo carico sono state spiccate nuove accuse quali il<br />
favoreggiamento di un latitante, falso in atti pubblici, detenzione di droga e<br />
armi. Figura autorevole all’interno del clan, era lui che presiedeva le riunioni<br />
e, nel momento delle decisioni, gli spettava il beneplacito e, in sostanza,<br />
l’ultima parola. È stato arrestato lo scorso 20 novembre e tradotto in carcere.<br />
Ernesto De Pasquale, classe 1968, era il braccio destro del fratello Peppino.<br />
Recidivo, finito in carcere nuovamente dopo il beneficio dell’indulto è<br />
indagato anche per minacce e percosse nonché per truffa e favoreggiamento<br />
di latitante. E’ lui il titolare del ristorante di Monte Marenzo, ex Quadrifoglio,<br />
ora da Ernesto dove si era recato assieme ad altre persone il finanziere<br />
coinvolto nell’inchiesta. Cosimo De Pasquale alias Cocò, altro fratello,<br />
indagato per associazione a delinquere favoreggiamento di latitante, truffa nel<br />
settore delle banche e di privati, nel corso delle perquisizioni del 2005 si era<br />
autoaccusato di detenere in prima persona delle armi, senza coinvolgere così i<br />
fratelli. Essendo incensurato avrebbe di certo ottenuto dei benefici. Residente<br />
a Calolziocorte, classe 1960 ha l’obbligo di firma.<br />
De Pasquale Salvatore alias Turi, papà di Emanuela Francesca, classe 1949,<br />
nativo di Vibo Valentia dopo essere stato condannato in via definitiva per<br />
tentato omicidio volontario aveva beneficiato in appello del patteggiamento e<br />
dell’indulto, tornando libero. L’uomo, al momento detenuto in carcere, è<br />
indagato per associazione a delinquere e detenzione di armi. Il suo compito,<br />
infatti, era quello di occultare il munizionamento e le armi da fuoco. Solo lui,<br />
infatti, sapeva dove tutta la merce era stata riposta (sotterrata, incastonata in<br />
alcuni muri perimetrali, nascosta nella stalla fra i maiali,…) e nel corso delle<br />
intercettazioni i finanzieri sono riusciti a sentire l’indicazione che l’uomo<br />
forniva alla figlia Emanuela per far sparire alcune armi, non opportunamente<br />
occultate.<br />
60
Bruno De Pasquale, classe 1952 nativo di Catanzaro, residente a Carenno, ora<br />
in carcere è accusato di partecipazione all’associazione a delinquere e<br />
favoreggiamento di latitante. Il suo ruolo all’interno del clan era quello di<br />
autista di Ernesto e di recupero crediti, anche in maniera violenta.<br />
Angelina De Pasquale, classe 1963 attualmente ai domiciliari, sorella, con il<br />
convivente tunisino Sami Ben Jilani Chabchoubi, classe 1974, assieme al<br />
fratello Peppino è accusata di atti di estorsione ai danni di un imprenditore<br />
lecchese attivo nel commercio delle auto a cui venivano chiesti favori e lavori<br />
gratuiti. Alla donna non è contestata la partecipazione all’associazione a<br />
delinquere.<br />
La francese Marie Genevieve Azzolini, classe 1948, residente a Seregno, agli<br />
arresti domiciliari era l’amante di Ernesto De Pasquale, esperta in truffe e<br />
traffico di droga. La donna era nota anche nel campo della prostituzione. Rosa<br />
Federico, convivente di Peppino, pur non facente parte dell’associazione era a<br />
conoscenza di tutti gli spostamenti del gruppo e con Emanuela De Pasquale,<br />
classe 1980, entrambe ai domiciliari, si occupava di nascondere e spostare le<br />
armi da un nascondiglio all’altro. Domenico Carlomagno, alias Mimmo classe<br />
1958, era il responsabile della contraffazione e del procacciamento di<br />
documenti falsi. A lui si rivolgevano gli affiliati del clan per avere carte di<br />
identità contraffatte. Fra i suoi traffici i finanzieri hanno anche individuato<br />
quelli relativi alla droga: in una intercettazione telefonica del 2004, infatti,<br />
parlava di 30 chilogrammi di cocaina, purtroppo mai rinvenuta dalle forze<br />
dell’ordine. Per sei mesi, ogni giorno, ha rifornito di un grammo di cocaina<br />
una donna sola, madre di un bambino, in cambio di prestazioni sessuali. Al<br />
momento è rinchiuso in carcere.<br />
Antonio Pisano detto Totò, classe 1947 nativo di Belcastro (CZ) è attualmente<br />
detenuto in carcere. Deteneva stretti contatti con Peppino De Pasquale ed<br />
Ernesto, cugino tra l’altro di Franco e Mario Trovato, si occupava di mettere<br />
in atto azioni estorsive ai danni di negozianti. I finanzieri hanno segnalato la<br />
sua alta pericolosità sociale. Donato Gabellone, classe 1965 nativo della<br />
Svizzera, si trova ricoverato presso gli ospedali Riuniti di Bergamo e, al<br />
termine della degenza, dovrà tornare in carcere. Quando i finanzieri lo hanno<br />
rintracciato nella sua abitazione di Bonate Sopra, infatti, ha tentato la fuga<br />
gettandosi dalla finestra e atterrando al suolo. Risultato: un piede fratturato e<br />
diverse contusioni al torace.<br />
Scarcerato nel 2006 con l’indulto è ora indagato per ricettazione, truffa e<br />
traffico di stupefacenti. Sempre armato girava invece Gaetano Messina, classe<br />
1953, imprenditore con diverse procedure fallimentari alle spalle, già noto alle<br />
forze dell’ordine per ricettazione, a lui si deve la corruzione del finanziere<br />
61
indagato. Il suo compito era quello di reperire le armi. Al momento si trova in<br />
carcere.<br />
Nativo di Corleone, Angelo Giovanni Giannone, classe 1957 è accusato di<br />
estorsione continuata ai danni di un imprenditore di auto. Nel gennaio di<br />
quest’anno era stato scarcerato per l’indulto (il reato pendente a suo carico<br />
era rapina, sequestro di persona, detenzione di armi). Moreno Giardina classe<br />
1986 residente a Olginate, ora ai domiciliari, legato ad Antonio Pisano, ma<br />
estraneo all’associazione è indagato per avere danneggiato e dato a fuoco<br />
un’auto. A questi va aggiunto anche Armando Belotti, classe 1937 residente a<br />
Villongo, detenuto in carcere per usura su cui sta indagando la procura di<br />
Bergamo.<br />
Merate On Line<br />
22 novembre 2007<br />
62
Centinaia di uomini e mezziper smantellare il sodalizio<br />
100 militari, 35 automezzi, 3 unità cinofile, 1 elicottero e due ruspe. Sono<br />
questi alcuni dei numeri dell’impiego operativo della Guardia di Finanza nel<br />
corso di questi tre anni di indagini concentrate principalmente sul covo della<br />
famiglia De Pasquale in località Sala di Calolziocorte. Le attività hanno<br />
portato al sequestro di tre motoveicoli e altrettante autovetture, di targhe, di<br />
gioielli e monili, di una scultura in granito frutto di un’estorsione. La grossa<br />
attività ha portato anche al reperimento di numerosi armamenti, con tutta<br />
probabilità di numero inferiore a quelli realmente transitati nelle mani dei De<br />
Pasquale: 210 proiettili di vario calibro, due pistole di cui una ad aria<br />
compressa, una carabina e quattro coltelli. Nei sequestri vanni inclusi anche<br />
19.500 euro di denaro contante, 400mila presente in depositi bancari, 5<br />
assegni ricettati, 100 cambiali nonché documentazione bancaria, 16 telefoni<br />
cellulari e due ricetrasmittenti. Da sottolineare l’utilizzo dell’elicottero NH55,<br />
privo di rotori e dunque particolarmente silenzioso che ha permesso i rilievi<br />
dall’alto, senza essere notato, con particolare attenzione alla sicurezza dei<br />
militari impegnati e alle possibili vie di fuga.<br />
Merate On Line<br />
22 novembre 2007<br />
63
<strong>Lecco</strong>: con l’operazione “Ferrus equi” la Finanza sgomina<br />
un clan di malavitosi dediti al traffico d’armi, estorsione,<br />
spaccio, usura,violenza. 25 persone denunciate, 18 arresti<br />
Una lunga e complessa indagine, non ancora conclusa, iniziata fra il 2004 e il 2005 dalla<br />
Guardia di Finanza di <strong>Lecco</strong> ha portato alla denuncia di 25 persone e all’arresto di 18<br />
soggetti. Diversi i capi di imputazione a carico dei coinvolti: si va dal traffico d’armi da<br />
sparo a quello di droga, dalla ricettazione di veicoli ed assegni all’estorsione a danno di<br />
imprenditori, passando per truffe, falsificazione di documenti, recupero violento dei<br />
crediti, usura, corruzione, favoreggiamento di latitanti, induzione in errore di pubblici<br />
ufficiali, danneggiamento a seguito di incendio, violenza privata e minacce di morte.<br />
A presentare i risultati di questa brillante operazione, già anticipata nei giorni scorsi e di<br />
cui si attendevano le convalide dei fermi e degli arresti, sono stati il colonnello Luigi Bettini<br />
e il capitano di Compagnia Gianluca De Filippo. Come dicevamo l’inchiesta ha preso avvio<br />
tre anni fa a seguito di reati compiuti relativi al traffico di armi, alla droga e all’usura. I<br />
finanzieri hanno così iniziato a scavare su possibili collegamenti con una compagine più<br />
ampia attiva in provincia in diversi campi della malavita che, con tutta probabilità, si<br />
spartiva il mercato dell’illecito con un altro noto clan.<br />
Tramite pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché escussione di testi i<br />
militari sono giunti a prove concrete e a risultanze investigative che hanno permesso al pm<br />
dr. Luca Masini di emettere i provvedimenti sopraccitati. A carico, poi, degli arrestati<br />
pende anche il reato di associazione a delinquere previsto dall’articolo 416 del codice<br />
penale.<br />
L’operazione denominata “Ferrus equi”, dal soprannome di uno dei protagonisti della<br />
vicenda (detto appunto faccia di cavallo) e da un ferro posizionato sul cofano di un’auto in<br />
maniera decisamente visibile, si è snodata attorno ai traffici della famiglia De Pasquale,<br />
residente in frazione Sala di Calolziocorte. I finanzieri, infatti, hanno tenuto d’occhio,<br />
anche dal cielo, per diverso tempo la cascina, collocata in una zona di campagna dove<br />
erano stati occultati diversi armamenti e dove si svolgevano diverse delle attività criminali.<br />
Al momento dei primi sopralluoghi, infatti, è stato necessario intervenire con delle ruspe<br />
per rimuovere sterpaglie, materiale di scarto, carcasse di elettrodomestici che facevano da<br />
contorno all’area e alle abitazioni, segno di un certo stato di degrado nonostante la<br />
disponibilità finanziaria del gruppo (derivante chiaramente dai traffici illeciti). Fra gli<br />
arrestati figura anche un ex finanziere, in congedo dal 2006, Pietro Sgroi che nella caserma<br />
lecchese fungeva da piantone. L’uomo, classe 1955, originario di Scalea, al momento agli<br />
arresti domiciliari a Cosenza, rimasto in contatto con alcuni dei soggetti<br />
dell’organizzazione, aveva il compito di passare loro le informazioni sugli spostamenti dei<br />
colleghi.<br />
E’ stata accertata inoltre la grande capacità dell’associazione di acquisire armi e munizioni,<br />
a volte anche dagli zingari in cambio di cocaina o hashish così come l’impiego di astuzie<br />
per sviare le indagini e il fiuto dei cani. Attorno alla cascina e nei “punti caldi” dove erano<br />
custodite le armi, i criminali avevano posizionato dei sacchetti con all’interno interiora di<br />
animali e rigurgiti umani. Gli arrestati sono detenuti nei carceri di Sondrio, Varese, Monza,<br />
Brescia e Bergamo.<br />
Merate On Line<br />
22 novembre 2007<br />
64
LECCO VIDEO E INTERCETTAZIONI TELEFONICHE HANNO BLOCCATO<br />
GLI AFFARI ILLECITI DELLA FAMIGLIA DE PASQUALE<br />
Era un finanziere la «talpa» dei clan<br />
Arrestati brigadiere e quattro «picciotti» usciti con l' indulto. Il compito del<br />
basco verde era passare informazioni riservate al capo di una famiglia<br />
malavitosa attiva nel Lecchese<br />
LECCO - Un finanziere affiliato al clan, un brigadiere che passava le<br />
informazioni alla cosca in cambio di favori. Era una «talpa» dentro il<br />
comando provinciale della Guardia di finanza di <strong>Lecco</strong>. Da due giorni è agli<br />
arresti domiciliari nella sua casa di Cosenza, quella comprata con i soldi del<br />
congedo. Il basco verde Pietro Sgroi, 55 anni, siciliano ma calabrese di<br />
adozione, in servizio per anni nella caserma di via Amendola ai piedi del<br />
Resegone, era legato agli uomini della cosca De Pasquale di Calolziocorte, nel<br />
Lecchese, una delle famiglie della ' ndrangheta, con forti ramificazioni in<br />
mezza Lombardia, dedita alla gestione del traffico di armi e cocaina, del<br />
racket delle estorsioni, dell' usura e delle truffe bancarie. La Finanza di <strong>Lecco</strong>,<br />
dopo due anni di indagini, ha sgominato il clan. Ieri il colonnello Luigi Bettini<br />
ha ricostruito i dettagli della maxi operazione «Ferrus equi», che ha portato a<br />
18 arresti, 25 denunce, il sequestro di 450mila euro, di 100 cambiali, di armi,<br />
munizioni e gioielli. L' inchiesta, partita dalle rivelazione di un pentito, è<br />
ancora in corso e, nei prossimi giorni, potrebbero esserci altri fermi. Fra gli<br />
arrestati compiuti l' altro giorno c' è anche quello del brigadiere Sgroi,<br />
pedinato dalla fine del 2005 fino al novembre 2006, quando è andato in<br />
pensione. All' inizio dell' indagine c' erano solo sospetti, poi a inchiodarlo ci<br />
sono stati i filmati e ore di intercettazioni telefoniche, proseguite anche dopo<br />
il suo congedo. Il finanziere incontrava, in un ristorante di Monte Marenzo,<br />
gli uomini del capo clan Peppino De Pasquale. Anche se era una figura di<br />
seconda piano nell' organizzazione criminale, Sgroi aveva il compito di<br />
passare informazioni e segnalazioni. Tutto quanto il boss ritenesse utile. Il<br />
brigadiere è accusato di favoreggiamento, di essere la testa di ponte della<br />
cosca dentro le forze dell' ordine. L' escalation criminale della famiglia De<br />
Pasquale è decollata nell' agosto 2006, quando con l' indulto quattro dei sette<br />
fratelli sono usciti dal carcere e hanno ripreso in mano direttamente le redini<br />
dell' organizzazione, siglando anzitutto un tacito accordo con i Coco Trovato,<br />
la storica famiglia della ' ndrangheta lecchese, spartendosi territorio e affari.<br />
Paolo Marelli<br />
23 novembre 2007, Il Corriere della Sera<br />
65
<strong>Lecco</strong>: prima udienza di “Ferrus Equi” 15 a<br />
dibattimento e otto i riti abbreviati<br />
23 gli imputati che quest’oggi, di persona o tramite legale di fiducia, hanno<br />
presenziato alla prima udienza preliminare del processo “ Ferrus Equi”, nome<br />
dell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di <strong>Lecco</strong> che ha portato lo scorso<br />
novembre all’arresto, dopo una lunga indagine partita nel 2005, di 19 persone<br />
legate alla cosca malavitosa calabrese dei De Pasquale. Il gruppo, con base in una<br />
cascina di Sala, frazione di Calolziocorte, era dedito sul nostro territorio a svariate<br />
gravi attività illecite, quali traffico di armi, spaccio di sostanze stupefacenti,<br />
estorsioni, e persino sequestri di persona. Nel corso dell’inchiesta vennero<br />
effettuate 25 perquisizioni, domiciliari e personali, nei territori delle province di<br />
<strong>Lecco</strong>, Como, Bergamo e Cosenza, e si arrivò al sequestro di tre motoveicoli e<br />
altrettante autovetture, di targhe, di gioielli e monili, di una scultura in granito<br />
frutto di un’estorsione, nonché di numerosi armamenti, 210 proiettili di vario<br />
calibro, due pistole, una carabina e quattro coltelli, 19.500 euro di denaro contante,<br />
400mila in depositi bancari, 5 assegni ricettati, 100 cambiali, 16 telefoni cellulari e<br />
due ricetrasmittenti. Furono inoltre raccolti, a seguito di complessi accertamenti,<br />
servizi di osservazione e pedinamento, tutti gli elementi che consentirono di<br />
identificare i soggetti riconducibili al clan, oggi alla sbarra.<br />
Nessuno dei 23 imputati ricorrerà al patteggiamento, 8 invece andranno a giudizio<br />
abbreviato, avendo così diritto alla riduzione di un terzo della pena complessiva. A<br />
ricorrere al rito alternativo gli imputati Emanuela Francesca De Pasquale, classe<br />
1980, e Rosa Federico, ai margini dell’organizzazione e impegnate nel nascondere e<br />
spostare le armi da un nascondiglio all’altro; Moreno Giardina, classe 1986,<br />
anch’egli estraneo all’associazione ma indagato per avere danneggiato e dato a<br />
fuoco a un’auto per conto del clan; Antonio Domenico Carlomagno, classe 1958,<br />
responsabile della contraffazione e del procacciamento di documenti falsi; Antonio<br />
Pisano, classe 1947, che si occupava di mettere in atto estorsioni ai danni di<br />
negozianti; Gaetano Messina, del 1953, impegnato nel reperimento delle armi e<br />
nella corruzione; Angelo Giovanni Giannone, classe 1957, accusato di estorsione<br />
continuata ai danni di un imprenditore di auto; infine l’ex finanziere Pietro Sgroi,<br />
che aveva il compito di passare al clan le informazioni sugli spostamenti dei<br />
colleghi. Andranno a dibattimento invece i restanti 15 imputati, fra i quali coloro<br />
che sono considerati i boss dell’associazione a delinquere, i fratelli De Pasquale<br />
Peppino ed Ernesto, oltre agli altri membri della famiglia, quali De Pasquale<br />
Salvatore, Bruno, Angelina e Cosimo.<br />
A dibattimento anche altri 3 personaggi di spicco dell’organizzazione, Sami Ben<br />
Jilani Chabchoubi, Genevieve Marie Azzolini e Donato Gabellone. La prossima<br />
udienza è stata fissata per sabato 19 aprile. Se il Tribunale accoglierà la richiesta del<br />
PM Luca Masini, si terrà l’incidente probatorio. In caso contrario, si discuteranno i<br />
riti abbreviati.<br />
Merate On Line<br />
10 aprile 2008<br />
66
“Ferrus equi” : 15 rinviati a giudizio, 8 al rito “breve”<br />
Nuovo capitolo della fase preliminare del processo “Ferrus equi”, che ha<br />
portato all’arresto, durante lo scorso novembre, di 19 persone coinvolte in un<br />
giro di malaffare condotto dalla cosca malavitosa dei De Pasquale di<br />
Calolziocorte, dedito nel territorio a diverse attività illecite, quali traffico di<br />
armi, spaccio di sostanze stupefacenti, estorsioni, sequestri di persona. Dopo<br />
che nella giornata di sabato si era concluso l’incidente probatorio, oggi è stata<br />
la volta delle richieste di condanna del PM Luca Masini, iniziate alle 9.30 del<br />
mattino per concludersi a pomeriggio inoltrato. Per i 15 imputati, sui 23<br />
complessivi, che non hanno chiesto alcun rito alternativo, il Pubblico<br />
Ministero ha chiesto il rinvio a giudizio. Per gli altri 8 imputati che hanno<br />
deciso di ricorrere al rito abbreviato che dà loro diritto ad uno sconto di pena<br />
pari a un terzo della stessa, queste le richieste. Per Carlomagno Domenico<br />
Antonio, accusato di contraffazione di documenti falsi, 6 anni di reclusione e<br />
24 mila euro di multa; per De Pasquale Emanuela e Federico Rosa, accusate<br />
di nascondere le armi del clan, 3 anni e 2 mesi più 600 euro di multa; per<br />
Giannone Angelo, accusato di estorsione ai danni di un imprenditore, 7 anni<br />
di carcere; per Giardina Moreno, sospettato di aver dato a fuoco a un’auto per<br />
conto dell’organizzazione, 2 anni e 2 mesi; per Messina Gaetano, coinvolto nel<br />
reperimento di armi e nella corruzione, 2 anni e 4 mesi; per Pisano Antonio,<br />
responsabile di diverse estorsioni ai danni di negozianti, 4 anni e 10 mesi; ed<br />
infine per Sgroi Pietro, ex finanziere che sempre secondo l’accusa avrebbe<br />
avuto il compito di passare al clan le informazioni sugli spostamenti dei<br />
militari delle Fiamme gialle, 8 mesi. Già pronto il calendario per le prossime<br />
determinanti udienze. Martedì 6 e mercoledì 7 maggio la parola toccherà alle<br />
difese degli imputati, mentre lunedì 12 maggio il PM formulerà le sue repliche<br />
e, se non ci saranno imprevisti, arriveranno le sentenze.<br />
Merate On Line<br />
23 aprile 2008<br />
67
<strong>Lecco</strong>: Ferrus Equi, il 12 la replica dell’Accusa<br />
Arriveranno il prossimo 12 maggio, con tutta probabilità solo nel tardo<br />
pomeriggio, le sentenze relative all’ormai celebre processo preliminare<br />
“Ferrus Equi”, dal nome dell’operazione che nel novembre del 2007 ha<br />
permesso alle Fiamme gialle lecchesi, guidate dal colonnello Bettini, di<br />
arrestare 19 persone legate alla cosca calabrese dei De Pasquale di<br />
Calolziocorte, famiglia accusata di essere dedita nel territorio lecchese a<br />
molteplici e gravi attività illecite, quali traffico d’armi da sparo e di droga,<br />
ricettazione di veicoli ed assegni, estorsione a danno di imprenditori, truffe,<br />
falsificazione di documenti, recupero violento dei crediti, usura, corruzione,<br />
favoreggiamento di latitanti, induzione in errore di pubblici ufficiali,<br />
danneggiamento a seguito di incendio, violenza privata e minacce di morte. Il<br />
“clan” aveva eletto a proprio covo una cascina collocata in frazione Sala, una<br />
zona di campagna dove erano stati occultati diversi armamenti e dove si<br />
svolgevano alcune delle attività criminali. Sono terminate oggi le discussioni<br />
degli avvocati, che hanno esposto le proprie tesi difensive chiedendo in molti<br />
casi l’assoluzione per i propri assistiti, tutti accusati fra le altre cose di<br />
associazione a delinquere. Saranno 8 gli imputati che lunedì, avendo chiesto il<br />
rito abbreviato che darà loro diritto a uno sconto di pena di un terzo,<br />
verranno subito a conoscenza delle eventuali pene che il Tribunale deciderà<br />
loro di applicare. Ad aver chiesto il rito, ricordiamo, gli imputati Carlomagno<br />
Domenico Antonio, De Pasquale Emanuela, Federico Rosa, Giannone Angelo,<br />
Giardina Moreno, Messina Gaetano, Pisano Antonio e Sgroi Pietro. Per gli<br />
altri 15 imputati, fra i quali spiccano gli altri 6 membri della famiglia De<br />
Pasquale, Peppino, Ernesto, Salvatore, Bruno, Angelina e Cosimo, e per<br />
diverse altre persone coinvolte a vario titolo nella vicenda, fra i quali Sami<br />
Ben Jilani Chabchoubi, Azzolini Genevieve Marie e Gabellone Donato, sarà<br />
invece assoluzione o rinvio a giudizio, in quest’ultimo caso con tempi che si<br />
dilateranno necessariamente di diversi mesi per arrivare a giudizio. Per il 12<br />
maggio sono in programma anche le repliche del Pubblico Ministero dott.<br />
Luca Masini, alle ore 12.30.<br />
Merate On Line<br />
7 maggio 2008<br />
68
<strong>Lecco</strong>: condanne per 26 anni al processo “Ferrus equi”<br />
8 condanne, per un totale di 26 anni e 7 mesi di carcere, e 15 rinvii a giudizio. Si è<br />
concluso così, nella serata di lunedì 12 maggio, il processo “Ferrus Equi”, operazione<br />
che nel novembre del 2007 ha permesso alla Guardia di Finanza di <strong>Lecco</strong> di arrestare<br />
19 persone legate alla cosca calabrese dei De Pasquale di Calolziocorte, secondo gli<br />
inquirenti vero e proprio “clan” di ispirazione mafiosa, accusato di compiere nel<br />
territorio lecchese molte attività illegali, fra le quali ricordiamo traffico d’armi da sparo<br />
e di droga, ricettazione di veicoli ed assegni, estorsione a danno di imprenditori, truffe,<br />
falsificazione di documenti, recupero violento dei crediti, usura, corruzione,<br />
favoreggiamento di latitanti, induzione in errore di pubblici ufficiali, danneggiamento a<br />
seguito di incendio, violenza privata e minacce di morte. Dopo le controrepliche del PM<br />
dott. Luca Masini, che hanno richiesto pocomeno di due ore, il giudice dott.sa<br />
Elisabetta Morosini si è ritirata in camera di consiglio per circa il doppio del tempo, per<br />
decidere le sentenze. 8 gli imputati, che avevano deciso in precedenza tramite i propri<br />
legali di ricorrere al rito abbreviato beneficiando così di uno sconto di pena, che sono<br />
stati oggi condannati. Molteplici le differenze rispetto alle richieste del PM, pare netta<br />
in particolare la tendenza del Tribunale di radicalizzare le diverse posizioni all’interno<br />
della vicenda, applicando pene minori per le posizioni di più scarsa rilevanza, e<br />
viceversa di sentenziare condanne più severe per coloro i quali sono considerati figure<br />
preminenti all’interno dell’associazione a delinquere. Per Carlomagno Domenico<br />
Antonio, accusato di contraffazione di documenti falsi, il Pubblico Ministero aveva<br />
chiesto 6 anni di reclusione e 24 mila euro di multa, il Giudice l’ha invece condannato a<br />
6 anni, 2 mesi e 20 mila euro di multa. Per De Pasquale Emanuela e Federico Rosa,<br />
accusate di nascondere le armi del clan, il PM ha chiesto 3 anni e 2 mesi più 600 euro<br />
di multa, sono state invece condannate a 2 anni e 4 mesi più 300 euro di multa. Per<br />
Giannone Angelo, accusato di estorsione ai danni di un imprenditore, il PM ha chiesto<br />
7 anni di carcere, più duro il Tribunale, che l’ha condannato a 7 anni, 5 mesi, 10 giorni e<br />
900 euro di multa; per Giardina Moreno, sospettato di aver dato a fuoco a un’auto per<br />
conto dell’organizzazione, il Pubblico Ministero ha chiesto 2 anni e 2 mesi, la dott.sa<br />
Rossi l’ha invece condannato a solo un anno. Per Messina Gaetano, coinvolto nel<br />
reperimento di armi e nella corruzione, il dott. Masini ha chiesto 2 anni e 4 mesi, il<br />
Giudice l’ha condannato a 3 anni e 420 euro di multa. Per Pisano Antonio, responsabile<br />
di diverse estorsioni ai danni di negozianti, il PM ha chiesto 4 anni e 10 mesi, il Giudice<br />
l’ha invece condannato a 5 anni e 4 mesi, e a 10 mila euro di multa. Infine per Sgroi<br />
Pietro, ex finanziere che secondo l’accusa avrebbe avuto il compito di passare al clan le<br />
informazioni sugli spostamenti dei militari delle Fiamme gialle, sono stati confermati<br />
gli 8 mesi di reclusione chiesti da Masini. Già annunciato il ricorso per alcuni dei<br />
principali condannati, fra cui Angelo Giovanni Giannone, difeso dall’avvocato Stefano<br />
Pelizzari. Per gli altri 15 imputati, fra i quali spiccano gli ulteriori 6 membri della<br />
famiglia De Pasquale, Peppino, Ernesto, Salvatore, Bruno, Angelina e Cosimo, e per<br />
diverse altre persone coinvolte a vario titolo nella vicenda, fra i quali Sami Ben Jilani<br />
Chabchoubi, Azzolini Genevieve Marie e Gabellone Donato, si apre ora il processo<br />
ordinario. Già fissata la data della prima udienza, prevista per il prossimo 7 luglio.<br />
Merate On Line<br />
13 maggio 2008<br />
69
<strong>Lecco</strong>: Ferrus equi, parte il processo a 14 imputati<br />
E’ cominciato oggi, a distanza di 55 giorni dal termine delle udienze<br />
preliminari, il processo ordinario che vede imputate 14 persone, accusate di<br />
far parte o essere affiliate al clan De Pasquale di Calolziocorte, sgominato a<br />
seguito dell’operazione “Ferrus equi” condotta dalla Guardia di Finanza di<br />
<strong>Lecco</strong> nel novembre del 2007. Un’associazione a delinquere, secondo l`accusa<br />
in grado di compiere nel territorio lecchese molteplici attività criminose cui<br />
sono addebitati complessivamente 31 reati. Fra questi traffico d’armi da fuoco<br />
e di droga, ricettazione di veicoli ed assegni, estorsione a danno di<br />
imprenditori, truffe, falsificazione di documenti, recupero violento dei crediti,<br />
usura, corruzione, favoreggiamento di latitanti, induzione in errore di<br />
pubblici ufficiali, danneggiamento a seguito di incendio, violenza privata e<br />
minacce di morte. 8 erano stati gli imputati che, nel corso della fase<br />
preliminare, avevano deciso tramite i propri legali di ricorrere al rito<br />
abbreviato beneficiando così di uno sconto di pena. Il giudice dott.sa<br />
Elisabetta Morosini emise condanne complessive per 26 anni e 7 mesi di<br />
carcere, rinviando a giudizio 14 imputati. Fra questi i personaggi di maggior<br />
spicco all’interno della famiglia dei De Pasquale, Peppino, Ernesto, Salvatore,<br />
Bruno, Angelina e Cosimo, oltre a diverse altre persone coinvolte a vario titolo<br />
e con ruoli secondari nell’organizzazione, fra i quali Sami Ben Jilani<br />
Chabchoubi, Azzolini Genevieve Marie, Gabellone Donato, Pozzi Daniele<br />
Giosuè, Molinari Antonio, Cattaneo Vincenzo, Mora Claudia. Un processo,<br />
celebrato dinanzi al collegio composto presieduto dal giudice dott. Mercaldo,<br />
a latere Noccelli e Trovò, che si preannuncia estremamente lungo e<br />
complesso. 120 infatti sono i testimoni citati solo dal Pubblico Ministero Luca<br />
Masini, fra i quali 2 collaboratori di giustizia che saranno escussi tramite<br />
videoconferenza, con lo spostamento del processo in una della aule bunker<br />
del Palazzo di Giustizia di Milano, 185 i documenti da analizzare, più le<br />
trascrizioni di moltissime intercettazioni telefoniche. Per tale motivo il PM ha<br />
chiesto e ottenuto la sospensione dei termini di custodia cautelare degli 8<br />
imputati al momento detenuti, onde evitare che potessero lasciare il carcere<br />
prima che venisse emanata la sentenza. L’odierna udienza ha visto<br />
l’esposizione delle eccezioni preliminari da parte della dozzina di legali<br />
presenti in aula. La maggior parte delle richieste ha riguardato la modifica dei<br />
regimi di custodia cautelare degli imputati e l’inammissibilità delle<br />
deposizioni dei due pentiti. Il processo è stato rinviato al prossimo 21 luglio<br />
alle ore 9.00, onde permettere al PM di elaborare le sue controdeduzioni<br />
rispetto alle istanze avanzate dagli avvocati difensori.<br />
Merate On Line<br />
7 luglio 2008<br />
70
Le richieste dell'accusa.<br />
Quasi ottant'anni per il clan De Pasquale<br />
Le attività economiche della cosca di Calolziocorte<br />
Nella mattinata del 20 aprile di quest'anno, il Pubblico Ministero Luca Masini ha<br />
concluso la requisitoria presentando le proprie richieste di condanna (o<br />
assoluzione) per gli imputati coinvolti in “Ferrus Equi”.<br />
Per Marie Genevieve Azzolini, accusata di concorso in falso e furto di un assegno del<br />
valore di circa seimila euro, l'accusa ha chiesto – per tutti i capi d'imputazione – un<br />
totale di 4 anni e 6 mesi di reclusione, disponendo la trasmissione degli atti relativi<br />
all'assegno rubato in concorso con Ernesto De Pasquale (del quale la Azzolini era<br />
amante), di cui si contesta il reato di ricettazione.<br />
Per Cattaneo Vincenzo, l'accusa ha chiesto l'assoluzione per insufficienza di prove.<br />
Per il tunisino Sami Ben Jilani Chabchoubi, accusato di estorsione ai danni di un<br />
imprenditore della zona in concorso con Angelina De Pasquale, il Pm Masini ha<br />
chiesto 4 anni e 4 mesi con le attenuanti generiche.<br />
Per De Pasquale Angelina, sorella dei due boss capofila (Peppino ed Ernesto),<br />
l'accusa ha richiesto 2 anni e 8 mesi totali.<br />
Per De Pasquale Bruno, classe '52, l'accusa ha richiesto l'assoluzione per quanto<br />
riguarda il favoreggiamento di latitante (Antonio Molinari), e la condanna per il<br />
recupero violento dei crediti per un totale di 3 anni e 8 mesi più 450 euro di multa.<br />
Il Pubblico Ministero Luca Masini ha poi richiesto 2 anni e 6 mesi (più la confisca di<br />
51 cartucce calibro 765) per un altro appartenente dell'associazione a delinquere: De<br />
Pasquale Cosimo. Truffa e e detenzione di armi le accuse.<br />
Per De Pasquale Salvatore, nato a Vibo Valentia nel 1949, l'accusa ha richiesto 8<br />
anni e 1 mese più 1200 euro di multa. Oltre all'interdizione perpetua dai pubblici<br />
uffici, il Pm Masini ha richiesto anche la revoca del beneficio dell'indulto maturato<br />
dopo il provvedimento datato estate '06.<br />
Associazione a delinquere e occultamento di armi.<br />
Per Gabellone Donato, classe '65 e residente a Bonate Sopra (Bg), l'accusa ha<br />
richiesto 4 anni e 2 mesi con l'interdizione di 5 anni dai pubblici uffici. Anche per lui<br />
è stata avanzata la richiesta di revoca del beneficio dell'indulto. Truffa e traffico di<br />
stupefacenti le accuse.<br />
Per Molinari Antonio, libero ed irreperibile, l'accusa – forte di prove certe – ha<br />
richiesto 7 anni e 4 mesi oltre che 300 euro di multa. A causa del forte rischio che<br />
l'imputato fugga o falsifichi documenti d'identità (come già ha fatto in passato), il<br />
Pm Masini ha chiesto la custodia cautelare e la revoca del beneficio dell'indulto.<br />
Per Mora Claudia, compagna di Ernesto De Pasquale, l'accusa ha chiesto 3 mesi per<br />
minaccia grave.<br />
Per Pozzi Daniele Giosuè, l'accusa ha chiesto 8 anni e 8 mesi totali più 5000 euro di<br />
multa. L'interdizione perpetua dai pubblici uffici va ad affiancarsi alla richiesta di<br />
revoca del beneficio dell'indulto nonché la revoca della sospensione condizionale<br />
della pena maturata in un altro procedimento penale a carico.<br />
Per De Pasquale Ernesto, numero due del clan e classe '68, presente in aula in<br />
stampelle a causa di un infortunio al piede destro, l'accusa ha richiesto di stralciare<br />
la posizione aggravante di “promotore” dell'associazione prevista del 416bis,<br />
71
definendolo “partecipe”. Per reati come estorsione, traffico di stupefacenti e<br />
violenza privata, l'accusa ha richiesto quindi un totale di 18 anni e 50.000 euro di<br />
multa. Inoltre, la Mercedes classe E 270 confiscata ad Ernesto andrà – se accettata<br />
la proposta dell'accusa – alla Guardia di Finanza per le future operazioni antidroga.<br />
Anche per Ernesto De Pasquale è stata richiesta la revoca del beneficio dell'indulto.<br />
Per Peppino De Pasquale, “promotore” e “capo” dell'organizzazione mafiosa, il<br />
Pubblico Ministero Masini ha chiesto 18 anni e 6 mesi di reclusione e 49.000 euro<br />
di multa. Traffico di droga, detenzione di armi, falso e favoreggiamento di latitante.<br />
Anche per il boss del clan è stata richiesta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici<br />
e la revoca del beneficio dell'indulto.<br />
Entro fine maggio il Collegio giudicante, composto da Ambrogio Ceron a latere<br />
Massimo Mercaldo e Massimiliano Noccelli, pronuncerà la sentenza di condanna (o<br />
assoluzione) a carico degli imputati appartenenti al clan De Pasquale.<br />
Duccio Facchini<br />
20 aprile 2009<br />
72
Maxi-processo De Pasquale, 30 anni al «clan»<br />
I fratelli Ernesto e Beppino ne dovranno scontare 11 e 8, l’accusa ne aveva chiesti diciotto<br />
a testa<br />
La “stangata” che ci si attendeva non è arrivata. Al maxi-processo al clan De Pasquale -<br />
14 imputati in tutto, accusati di 30 reati a vario titolo (associazione a delinquere,<br />
detenzione e spaccio di droga, possesso di armi, ricettazione, truffa e contraffazione) -<br />
la sentenza di primo grado ha ridimensionato le richieste del pm Luca Masini. Dopo<br />
due ore di camera di consiglio, il giudice Ambrogio Ceron ha letto la sentenza alle 12.15<br />
di ierinell’aula al primo piano del Palazzo di Giustizia.<br />
Le pene più consistenti sono toccate - come ci si attendeva - al «boss» del clan, Peppino<br />
De Pasquale e al fratello Ernesto: 8 anni e 4 mesi al primo e 11 anni e 5 mesi al secondo,<br />
a cui si aggiungono il pagamento delle spese legali e l’interdizione dai pubblici uffici<br />
fino a che non sarà scontata la pena. Per entrambi il pm Masini nella sua requisitoria,<br />
durante l’udienza del 20 aprile scorso, aveva chiesto una pena di 18 anni e 6 mesi e<br />
complessivamente condanne per oltre sessant’anni.<br />
Una riduzione che si spiega in parte col fatto che il collegio giudicante ha respinto di<br />
fatto i due capi d’accusa più pesanti: il reato associativo e lo spaccio. Le condanne degli<br />
altri co-imputati (tutti obbligati a pagare le spese processuali): 4 anni e 4 mesi per<br />
Daniele Pozzi di Solza, considerato l’uomo incaricato delle truffe alle banche; 3 anni e 4<br />
mesi Sami Chabchoubi, tunisino residente a Monte Marenzo, accusato di estorsione;<br />
un anno e 3 mesi per Antonio Molinari di Brescia, che era accusato di essere invece il<br />
falsificatore; un anno a Genevieve Marie Azzolini di Seregno; 4 mesi a Donato<br />
Gabellone di Bonate Sopra e infine due mesi (pena sospesa) per Claudia Mora, la<br />
moglie del «boss».<br />
Sono stati assolit i restanti sei imputati nel maxi-processo. Si tratta di Bruno De<br />
Pasquale di Carenno (per cui è stata chiesta l’immediata sospensione dei domiciliari),<br />
Angelina De Pasquale di Monte Marenzo; Cosimo De Pasquale, Luca Gerardo De<br />
Pasquale e Salvatore De Pasquale (tutti di Calolziocorte) Vincenzo Cattaneo di Calusco.<br />
«Mi sento moderatamente soddisfatto - ha commentato l’avvocato Luciano Bova, che<br />
difendeva la maggior parte degli imputati (e anche quelli con le posizioni più pesanti) -.<br />
A fronte di quelle che erano state le richieste del pm, è evidente che la sentenza<br />
ridimensiona la posizione dei miei assistiti».<br />
Il giudice Ceron non ha ravvisato il reato dell’associazione a delinquere, sul quale il<br />
sostituto procuratore Masini aveva in prevalenza costruito il proprio impianto<br />
accusatorio. Anche la non recidività del reato ha influito sulla mitezza delle pene. «Se si<br />
fosse provata la reiteratezza infraquinquennale - aggiunge Bova - sarebbe subentrata la<br />
legge Cirielli con un aumento di due terzi della pena. Se farò appello? Attendo che il<br />
collegio depositi le motivazioni e dopodiché deciderò se appellarmi». Di sicuro si<br />
appellerà Claudio D’Ercole, difensore di Daniele Pozzi.<br />
«Ritengo eccessiva la pena comminata al mio assistito», ha spiegato il legale.<br />
Soddisfatto invece Paolo Camporini, legale di Bruno De Pasquale. «La sentenza ha<br />
demolito l’impianto accusatorio - spiega l’avvocato di Como - e sono soddisfatto<br />
soprattutto per il mio cliente». Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 45<br />
giorni. Da lì scatterà il termine del ricorso (già nell’aria) del pm.<br />
Andrea Morleo<br />
12 maggio 2009, Il Giorno<br />
73
Soprano<br />
“Estremamente significativa dell’incidenza del monte di affari prodotti dai traffici di coca è<br />
il riciclaggio in attività imprenditoriali e la capacità di gruppi con i propri capi condannati<br />
all’ ergastolo di impadronirsi in pochi anni del territorio. Lo ha dimostrato l’indagine<br />
Soprano che ha visto nel dicembre 2006 l’arresto di 37 persone appartenenti alla famiglia<br />
Coco Trovato”. Così recita la relazione della Commissione parlamentare antimafia del<br />
2008. Anche dopo la decapitazione del clan Coco Trovato con la condanna del suo boss<br />
Franco Coco Trovato a ben quattro ergastoli, la struttura mafiosa non si piega. Anzi.<br />
L’indagine “Soprano” mette in luce il modus operandi della ‘<strong>Ndrangheta</strong> (come del resto<br />
tutte le mafie nostrane). Rapina, traffico di stupefacenti, porto abusivo di armi ed esplosivi,<br />
furto, incendio e omicidio (dell’ex pugile Francesco Durante). Questi sono i reati di cui<br />
sono accusate le 46 persone arrestate tra la Lombardia e la Calabria (molte delle quali già<br />
detenute). Tra queste, Bubba Rodolfo, il custode dell’armeria dei Coco Trovato scoperta nel<br />
’95 a San Giovanni in via Rusconi; Mario Trovato, fratello di Franco Coco Trovato, e il<br />
figlio, Giacomo Trovato (accusato quest’ultimo oltre che del reato di associazione mafiosa<br />
ex art.416-bis cp, anche dell’omicidio Durante). I proventi delle attività illecite vengono poi<br />
reinvestiti, oltre che in ulteriori attività illegali, nel nostro sistema economico facendosi<br />
imprenditori ed acquistando così “rispettabilità”. Si comprano bar, discoteche, ristoranti,<br />
pizzerie, investono nell’edilizia e nel movimento terra. E così dimostra l’indagine in<br />
questione: finiscono in carcere Federico Pettinato, imprenditore edile di Galbiate, titolare<br />
della Diamante srl, possessore di quote nel Bingo di Stezzano) attivo anche nel movimento<br />
terra; il noto imprenditore Vincenzo Falzetta, detto “Banana”, all’interno della gestione di<br />
locali milanesi come la discoteca Madison, il Le Monde, la megadiscoteca cafè Solaire all’<br />
idroscalo, la discoteca Alcatraz, il De Sade, la pizzeria biologica Bio Solaire; Palmerino<br />
Rigillo, cognato di Franco Coco, ex-vice sindaco del paese natio dei Coco, Marcedusa (CZ),<br />
prima del commissariamento del comune per infiltrazione mafiosa.<br />
Questo è la loro modalità: stuprano la Società. Poi s’ incravattano vestendosi da<br />
imprenditori e si impongono sulla concorrenza stuprando la società una seconda volta.<br />
Non dimentichiamo che un imprenditore legato alla mafia può agire in modo diverso da un<br />
imprenditore qualunque. Il primo dispone di una quantità enorme di liquidità a tasso zero.<br />
Può imporsi quindi sulla concorrenza e quando non riesce può intimidirla.<br />
Il clan usava i locali su indicati per “riciclare la liquidità in eccesso, spacciare all’interno di<br />
essi e come sede per riunioni strategiche”(così la Commissione parlamentare).<br />
E quando si verifica qualche problema relativo a rinnovi di licenze (come quella della Cafè<br />
Solaire) il clan si appoggia alle “persone amiche” in Provincia (da una conversazione<br />
telefonica tra Mario e Giacomo Trovato intercettata). Le “persone amiche”: quella zona<br />
grigia che gravita, collabora sporadicamente con la mafia, che non si può definire<br />
“affiliata”. Quelli del “sì, lo conosco di vista ma non ho mai avuto nulla a che fare con lui”,<br />
che magari si sono limitati a chiuder un occhio all’ occorrenza o ad apporre una innocente<br />
“firmetta”. Timidi complici di efferati crimini.<br />
74
<strong>Lecco</strong>: 20 arrestati per mafia, sequestrate armi clandestine e<br />
denaro contante per 100mila € al `clan` dei Coco Trovato<br />
Rapina, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, porto abusivo d`armi, anche da guerra e<br />
materiale esplodente, furto, incendio e un omicidio. Sono queste le accuse contestate a<br />
vario titolo alle 46 persone arrestate in Lombardia e Calabria nel corso dell`operazione<br />
della Dda di Milano e firmate dal Gip Paolo Ielo su richiesta del Pm Galileo Proietto. A far<br />
partire le indagini, le dichiarazioni di alcuni ‘pentiti’ arrestati per spaccio di droga che<br />
hanno rivelato il coinvolgimento di alcuni calabresi gravitanti nell’area Lecchese e ‘vicini’<br />
alla famiglia Coco Trovato, storico clan che tra la metà degli Anni ’80 e fino al 92<br />
insanguinò la Lombardia controllando tutti gli illeciti traffici possibili dal quartier generale<br />
di <strong>Lecco</strong> occultato nel lussuoso ristorante Wall Street di via Besonda. Da intercettazioni<br />
telefoniche e ambientali, sono venute poi ulteriori conferme.<br />
“In particolare – hanno spiegato gli investigatori – seguendo il sanguinoso evolversi della<br />
faida di Isola di Capo Rizzuto tra le famiglie Arena e Nicoscia, le indagini esperite hanno<br />
confermato la vitalità del sodalizio nel ridisegnare la ‘mappatura criminale’ della<br />
‘ndrangheta calabrese per ciò che concerne il versante jonico”. Tra gli arrestati figurano<br />
soggetti che, dopo aver raccolto l’eredità ‘mafiosa’ degli elementi di spicco arrestati nei<br />
primi anni ‘90, con recenti iniziative imprenditoriali, “sono riuscite a guadagnarsi<br />
un'inaspettata rispettabilità”. Tra questi un membro della famiglia Trovato, esercente di un<br />
ristorante a <strong>Lecco</strong> insieme al padre; Federico P., imprenditore edile di Galbiate (<strong>Lecco</strong>);<br />
Vincenzo F., gestore di alcuni locali nel milanese e un ex vice sindaco di Marcedusa<br />
(Catanzaro), prima del commissariamento del comune per infiltrazione mafiosa. Gli ultimi<br />
arresti, dopo quelli del blitz di stanotte che a <strong>Lecco</strong> è partito alle 3, sono stati effettuati<br />
nella tarda mattinata di martedì 12 dicembre, attorno a mezzogiorno. 20 gli arresti nel<br />
lecchese che hanno visto coinvolto i membri del clan Coco. L’operazione ha visto coinvolti<br />
oltre 100 uomini della questura coordinati dal questore dr. Vincenzo Ricciardi e dal dottor<br />
Fabio Mondora capo della squadra mobile. Tra la merce sequestrata armi con matricola<br />
abrasa di importazione clandestina, beni (appartamenti, automobili,…) e 100mila euro in<br />
contanti nonché altro materiale utile alle indagini. Come dicevamo, anche un omicidio tra<br />
le accuse formulate nell’ambito della massiccia operazione. Si tratta dell’assassinio,<br />
avvenuto a Milano nel maggio del 2000, dell’ex pugile Francesco Durante che, secondo gli<br />
inquirenti, sarebbe stato ucciso da uno degli arrestati lecchesi.<br />
“Le iniziative delle forze dell'ordine si stanno configurando come un vero e proprio flusso<br />
di attività che senza alcuna discontinuità punta a una progressiva disarticolazione di tutte<br />
le mafie esistenti in Italia”. Così il vice Ministro Marco Minniti si è congratulato con le<br />
forze dell’ordine per le due operazioni condotte la notte scorsa contro “clan pericolosi e<br />
potenti della camorra e della ‘ndrangheta”. L’operazione ‘Tiro Grosso’, su iniziativa della<br />
Squadra mobile napoletana del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli, insieme al<br />
Ros, e della Guardia di Finanza, con lo Scico, e con l’impegno della Direzione Centrale per i<br />
Servizi antidroga, coordinati dalla Procura di Napoli e dalla Direzione Nazionale<br />
Antimafia, ricorda Minniti, “ha inchiodato alle proprie responsabilità oltre cento tra i più<br />
‘qualificati’ trafficanti della camorra nel traffico internazionale di droga. Analogamente<br />
importante – ha concluso – l’operazione della Polizia di Stato e della Finanza che hanno<br />
eseguito 42 arresti tra <strong>Lecco</strong>, Milano, Varese, Como e Catanzaro decisi delle autorità<br />
giudiziarie milanesi per colpire la cosca Coco-Trovato specializzata nell’esportare i propri<br />
interessi criminali fuori dal Catanzarese”.<br />
Merate On Line<br />
12 dicembre 2006<br />
75
Secondo gli investigatori le famiglie criminali stanno scalando molte aziende<br />
milanesi. Un' intercettazione: «Per le licenze abbiamo un amico in Provincia»<br />
«Tre discoteche gestite dalla ' ndrangheta»<br />
La direzione antimafia: Madison, Le Monde e Café Solaire acquistati con i profitti<br />
della droga<br />
Locali alla moda e imprese acquistati tra le province di Milano e <strong>Lecco</strong> per riciclare il<br />
denaro ottenuto dal traffico della droga e per spacciare stupefacenti tra i clienti. Un'<br />
inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano con 39 arresti (molti riguardano<br />
persone già detenute) che colpisce al cuore gli affari di una cosca guidata dal carcere da<br />
Franco Trovato, uno degli esponenti della ' ndrangheta arrestati nei primi anni ' 90 al<br />
tempo delle grandi inchieste (Wall Street, Count Down, Belgio 2) che sembravano avere<br />
azzerato nel Milanese la presenza dell' organizzazione mafiosa. Invece, attraverso «i<br />
sopravvissuti», come li definisce il gip Paolo Ielo nell'ordinanza di custodia cautelare, e le<br />
nuove leve arruolate, la ' ndrangheta ha ripreso la sua attività avendo cura di non farsi<br />
notare troppo, evitando di commettere reati che potessero allarmare l' opinione pubblica.<br />
Fino ad oggi. Dalle intercettazioni emerge anche il sospetto (che resta tale) di un tentativo<br />
di avvicinare qualche uomo politico dell'amministrazione provinciale di Milano per<br />
ottenere favori e un tentativo (senza tracce) di condizionare un giudice impegnato in un<br />
vecchio processo. Le lunghe indagini del Gico della Guardia di Finanza e della Squadra<br />
mobile hanno accertato che l' obiettivo dell'organizzazione era «la riconquista del controllo<br />
del territorio» attraverso una serie di reati che «hanno garantito - scrive il gip Ielo,<br />
accogliendo le richieste del pm Galileo Proietto - il finanziamento dell'associazione» grazie<br />
al traffico di droga, alle estorsioni e all'acquisto e alla gestione di locali come il Madison, il<br />
Le Monde e il Café Solaire, «usati per lo smercio» di droga. Conquista che non si è però<br />
perfezionata del tutto, tanto che il giudice ammette l' accusa di associazione per delinquere<br />
di tipo mafioso solo per vicende legate alla cosca fino al ' 92, come già stabilito nel processo<br />
Wall Street. L' inchiesta riguarda soggetti che, ha spiegato un investigatore, sono riusciti a<br />
«guadagnarsi una certa rispettabilità». Il riferimento è a Federico Pettinato, imprenditore<br />
di Galbiate (<strong>Lecco</strong>) attivo nel movimento terra, e a Vincenzo Falzetta, con interessi nel<br />
Madison, nel Café Solaire, nella discoteca Alcatraz, nel De Sade e nel Bio Solaire. Per<br />
sottolineare ulteriormente la pericolosità di questa cosca, il gip fa riferimento all'<br />
«intendimento» di inquinare anche le istituzioni pubbliche. Da un colloquio di due anni fa<br />
intercettato in carcere tra Mario e Giacomo Trovato, padre e figlio, detenuti eppure<br />
elementi di spicco dell'organizzazione, emerge che per risolvere i problemi legati al rinnovo<br />
della licenza del Café Solaire che si trova all'interno dell'Idroscalo l' organizzazione<br />
intendeva rivolgersi a persone amiche in Provincia tramite un altro detenuto (o un<br />
avvocato a lui legato) che di lì a poco sarebbe uscito dal carcere di Livorno. Mario Trovato,<br />
infatti, dice: «Mo' ce l' hanno in mano (la Provincia, ndr) la sinistra e noi probabilmente<br />
abbiamo la possibilità che ci sono persone, tramite uno che esce di qua»... «siccome lui è di<br />
sinistra, lui... allora gli ho parlato, gli ho detto vedi se c' è la possibilità, mi ha detto come<br />
no, fammi sapere»... «i nomi di questi qua che debbono rinnovare il contratto» perché «lui<br />
fa... tutte le settimane viene l' avvocato, viene il venerdì da Milano e quindi gli può portare<br />
l' ambasciata». Al ritorno sulla piazza dopo anni di carcere, gli uomini della ' ndrangheta<br />
non si sono scontrati (come ci si sarebbe aspettato) con le bande di albanesi che avevano<br />
occupato il loro posto nello spaccio. Nessuna guerra, ma un accordo d' affari. Droga, armi,<br />
ma anche un omicidio tra le accuse contestate agli uomini del clan gestito dal carcere da<br />
Franco Trovato. Si tratta dell'assassinio, avvenuto nel maggio del 2000, dell'ex pugile<br />
Francesco Durante che, secondo gli investigatori, sarebbe stato ammazzato da Giacomo<br />
Trovato, gestore di un ristorante a <strong>Lecco</strong> e nipote del boss Franco. Giacomo Trovato tre<br />
76
anni fa rubò anche una Ferrari 360 Maranello da un' officina di Oggiono. Ma dovette<br />
restituirla in fretta, perché quell'officina era sotto la «protezione» dello zio che scoprì l'<br />
autore del furto e ordinò la «riparazione del danno»<br />
di Giuseppe Guastella e Biagio Marsiglia<br />
13 dicembre 2006, Il Corriere della Sera<br />
77
I locali alla moda, le pizzerie per le famiglie, i palazzi in centro. La<br />
criminalità al Nord non investe in Borsa, ma in attività<br />
economiche che ci riguardano molto da vicino<br />
Lì in riva all’Idroscalo di Milano, la megadiscoteca Café Solaire crea quasi un effetto<br />
spiaggia, una goduria nelle notti afose dell’estate milanese. Musica house, ombrelloni e<br />
tavolini, birre ghiacciate e mojito, camicie aperte e piercing all’ombelico,. Per entrare a<br />
divertirsi, ragazze e ragazzi pagano dai 12 ai 18 euro. Non possono sapere che i loro soldi<br />
finiranno nelle tasche della ‘ndrangheta. Per l’esattezza, in quelle del clan di Franco Coco<br />
Trovato, uno dei più feroci boss del Nord Italia, legato ai De Stefano di Reggio Calabria,<br />
condannato all’ergastolo per omicidio, traffico di droga, associazione mafiosa. Nel<br />
dicembre 2006, il Café Solaire è finito sotto sequestro, insieme alla pizzeria biologica Bio<br />
Solaire e alla discoteca Madison, in un’operazione della Direzione distrettuale antimafia di<br />
Milano. Secondo l’accusa il gestore dei locali, Vincenzo Falzetta detto “banana”, era il<br />
referente imprenditoriale del clan, quello che aveva il compito di reinvestire nell’economia<br />
pulita gli enormi profitti illeciti derivati soprattutto dalla vendita di cocaina. “Si era così<br />
costituita una catena di locali pubblici, in cui fra l’altro lavoravano quasi solo parenti o<br />
persone legate alla ‘famiglia’”, si legge nella Relazione sulla ‘ndrangheta redatta dal<br />
presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione e approvata il<br />
20 febbraio 2008, “che rispondevano a una pluralità di esigenze: riciclare la liquidità in<br />
eccesso, spacciare all’interno di essi o intorno a essi altra cocaina e usare i locali, al riparo<br />
da occhi indiscreti, per riunioni strategiche” (la relazione è disponibile sul nostro sito<br />
www.altreconomia.it). Ora il locale ha cambiato gestione.<br />
Leggenda vuole che la mafia salga al Nord soltanto per investire in Borsa e riciclare i soldi<br />
in complicate architetture finanziarie internazionali. La realtà è completamente diversa. In<br />
Lombardia, in Piemonte e in altre regioni “non tradizionali” non esistono soltanto colletti<br />
bianchi, ma padrini e picciotti che all’occorrenza sparano. E quando gli investigatori<br />
svelano il loro patrimoni, non trovano quote di fondi e conti correnti alle Bahamas, ma<br />
palazzi, appartamenti, box, negozi, bar, ristoranti, locali notturni, autorimesse,<br />
concessionarie, imprese edili, società commerciali, cooperative di servizi. I soldi della<br />
mafia non scappano lontano, al contrario restano sotto casa conquistano pezzi delle nostre<br />
città, quando addirittura non li costruiscono (vedi articolo a pagina 11). Se abitiamo al<br />
Nord, la mafia ci sembra una cosa lontana, invece può toccarci direttamente nei modi più<br />
impensabili. Il night club “For a King”, per esempio, stava in un edificio di proprietà della<br />
Sogemi, la società municipalizzata che gestisce l’Ortomercato di Milano, dunque pagava<br />
l’affitto alla collettività dei cittadini, almeno per l’unico mese in cui è rimasto aperto. Il 3<br />
maggio 2007 è stato sigillato perché faceva capo a un personaggio legato a Salvatore<br />
Morabito, un narcotrafficante della ‘ndrangheta di Africo. Indagando su di lui, la Squadra<br />
mobile di Milano aveva bloccato in quei giorni l’importazione di un carico di 207 chili di<br />
cocaina pura all’81 per cento. L’Ortomercato, dove ogni mattina si riforniscono<br />
fruttivendoli<br />
e supermercati di tutto il Nord Italia, è da decenni un punto di incontro tra economia<br />
legale e illegale. Morabito entrava nella struttura in Ferrari, con un pass da facchino<br />
rilasciato dalla Sogemi.<br />
Gran parte dei proventi della cocaina sono investiti in immobili residenziali, e ogni clan<br />
possiede patrimoni di tutto rispetto, naturalmente gestiti attraverso società pulite e<br />
presentabili. Quello di Costantino Mangeruca, legato alla cosca crotonese Farao-Marincola,<br />
ammontava a 30 milioni di euro. Nell’ottobre del 2007 i carabinieri di Crotone lo hanno<br />
messo sotto sequestro: comprendeva numerose proprietà in Calabria e nell’hinterland di<br />
Milano: sei edifici a Pregnana Milanese e 25 appartamenti a Cornaredo, dove l’anziano<br />
78
pregiudicato risiedeva. I clan della zona a Ovest del capolouogo lombardo sono attivi<br />
nell’edilizia, nei mobilifici e nella gestione di bar, rivela un recente rapporto dell’antimafia<br />
milanese. Cosche di ‘ndrangheta possiedono esercizi pubblici a Pioltello e negozi di<br />
abbigliamento tra Inveruno, Cuggiono, Castano Primo; a Legnano si dedicano all’ingrosso<br />
e al dettaglio di prodotti ortofrutticoli, alle sale giochi e agli immancabili bar.<br />
È facile diventare clienti o inquilini della mafia, anzi, a volte non c’è scelta.<br />
Nel quartiere periferico di Quarto Oggiaro a Milano, “settecento delle quattromila case<br />
popolari gestite dall’Aler sono occupate abusivamente e con l’accesso controllato<br />
direttamente dagli uomini della ‘ndrangheta”, afferma la citata relazione Forgione.<br />
La famiglia Carvelli, originaria di Petilia Policastro (Crotone), controlla militarmente lo<br />
spaccio di droga nel quartiere.<br />
La mafia si può “consumare” anche nel bar di tutti i giorni. Il cavallo di Troia sono i<br />
videopoker. In Liguria, nel settore della macchinette da gioco si danno da fare<br />
organizzazioni legate a importanti famiglie di Cosa nostra, come i Madonia di Caltanissetta<br />
e gli Emanuello di Gela. Negli anni Novanta, spiega la relazione della Commissione<br />
parlamentare antimafia approvata il 18 gennaio 2006, l’organizzazione ha imposto i propri<br />
apparecchi a numerosi esercizi pubblici “ricorrendo a metodi mafiosi e nessuno degli<br />
esercenti ha denunciato i soprusi subiti”. I profitti “sono stati in parte investiti nel settore<br />
immobiliare, per l’acquisto di lussuosi appartamenti situati in zone residenziali di Genova,<br />
in parte utilizzati per il mantenimento delle famiglie degli associati detenuti”. Il gioco è<br />
uno dei settori a maggiore rischio di infiltrazione, a partire dalle Sale bingo, attività che si<br />
svolge per concessione dei Monopoli di Stato e, dicono le inchieste più recenti, interessa<br />
sempre di più Cosa nostra. Se ne trova conferma nei “pizzini” del boss Salvatore Lo Piccolo,<br />
considerato l’erede di Bernardo Provenzano e arrestato il 5 novembre 2007.<br />
È difficile scappare dai soldi della mafia. Sono troppi, la cocaina è il carburante della vita<br />
notturna di centinaia di migliaia di persone in tutto il Nord, dal Piemonte al Veneto. Ci si<br />
può mettere in macchina o salire su un treno, ma non serve a molto. Nella relazione per<br />
l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, il Procuratore generale di Milano Manlio<br />
Minale ha svelato l’interessamento della ‘ndrangheta negli appalti per due grandi opere in<br />
corso di realizzazione tra Milano e Torino: l’Alta velocità ferroviaria e il raddoppio<br />
dell’autostrada A4. 12<br />
I movimenti di Buccinasco<br />
Ci sono zone del Nord dove la mafia ha il completo monopolio dell’edilizia, in particolare<br />
del movimento terra. Lo dice senza giri di parole la Commissione parlamentare antimafia<br />
nella relazione sulla ‘ndrangheta approvata quest’anno,<br />
lo confermano le strutture investigative specializzate, ma l’allarme non trova un centesimo<br />
della risonanza riservata all’“emergenza” sicurezza. Eppure quello che ha scritto l’antimafia<br />
è stato approvato all’unanimità da tutti i partiti: “Persino le minacce estorsive non sono<br />
necessarie quando, come nella maggioranza dei casi, si verte in realtà in una situazione di<br />
completo monopolio ed in ampie zone della Brianza o del triangolo Buccinasco-Corsico-<br />
Trezzano non è nemmeno pensabile che qualcuno con proprie offerte o iniziative ‘porti via<br />
il lavoro’ alle cosche calabresi che hanno le loro imprese diffuse sull’intero territorio”.<br />
Come ha spiegato alla Commissione<br />
il capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Ferdinando Pomarici, “in settori<br />
come quello dell’edilizia non è nemmeno necessaria l’intimidazione diretta poiché è<br />
sufficiente l’intimidazione ‘percepita’, cioè quella non esercitata con minacce aperte ma<br />
con la semplice ‘parola giusta al momento giusto’”.<br />
Buccinasco, cittadina dell’hinterland Sudovest di Milano, è nota come Platì 2, per il gran<br />
numero di immigrati arrivati dal paese dell’Aspromonte a partire dagli anni Sessanta.<br />
Compreso Antonio Papalia, considerato fino agli anni Novanta il più importante<br />
79
appresentante della ‘ndrangheta al Nord, poi condannato all’ergastolo con altri membri<br />
della famiglia.<br />
Con il traffico di eroina e cocaina, i Papalia hanno accumulato un patrimonio stimato in<br />
parecchie decine di miliardi di lire, tanto da essere indicati come la famiglia mafiosa più<br />
ricca d’Italia prima che la scure di numerose confische si abbattesse sui loro beni. La loro<br />
prima ditta di movimento terra, la Tmt, risale al 1987.<br />
Oggi gran parte dei lavori di movimento terra di Buccinasco e dei comuni vicini -Corsico,<br />
Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Gaggiano- sono svolti da ditte legate al gruppo<br />
Papalia-Barbaro (un’altra importante famiglia della ‘ndrangheta di Platì, imparentata con i<br />
primi). Buccinasco si candida a essere un rifugio residenziale per milanesi stufi della città:<br />
il piano regolatore recentemente approvato prevede la costruzione di 1.500 nuovi alloggi<br />
che ospiteranno coppie e famiglie desiderose di verde e di pace. Le ruspe e i camion dei<br />
Papalia-Barbaro sono già al lavoro, in modo perfettamente legale.<br />
Beni confiscati, in un anno 200 milioni di euro<br />
Nel 2007, le mafie italiane hanno subito sequestri di denaro e beni per circa 200 milioni di<br />
euro. Il dato si ottiene dalle relazioni semestrali della Direzione investigativa antimafia e<br />
dà un’idea della potenza economica raggiunta dai clan. La loro presenza “fisica” in ciascuna<br />
Regione è dimostrata dal numero di immobili confiscati.<br />
La Lombardia è al quinto posto -dopo Sicilia, Campania, Calabria e Puglia- con 570<br />
immobili. Seguono il Piemonte con 105, il Veneto con 77, l’Emilia-Romagna con 56, la<br />
Liguria con 26, il Trentino-Alto Adige con 15, il Friuli-Venezia Giulia con 11. Tutti i dati<br />
(questi sono aggiornati al 31 dicembre 2007) si trovano sul sito di Libera (www.libera.it),<br />
l’associazione impegnata sul fronte del recupero a uso sociale dei beni confiscati alle mafie.<br />
Il caso Uba Uba<br />
Qualcuno ricorderà di esserci entrato almeno una volta, a cavallo tra gli anni Ottanta e<br />
Novanta, in quei negozi di abbigliamento a buon mercato, frequentati soprattutto da<br />
ragazzi. Erano 23 in tutta Italia, soprattutto al Nord. La catena si chiamava Uba Uba e<br />
faceva una pubblicità martellante alla radio: “Uba uba non teme la concorrenza”; “Uba<br />
uba, un’esplosione di convenienza”. Il titolare si chiamava Ubaldo Nigro, un quarantenne<br />
pugliese trapiantato a Milano, con numerosi precedenti per emissione di assegni a vuoto.<br />
Quando la polizia lo fermò, il 10 giugno 1993, gli trovò in casa 219 milioni di lire in<br />
contanti, ma il giro d’affari delle sue società si aggirava intorno ai 200 miliardi. Nigro<br />
risultò coinvolto nella rete del boss Franco Coco Trovato. Oltre che di reati legati ad armi e<br />
droga, la Direzione distrettuale antimafia di Milano lo accusò di essere un terminale per il<br />
riciclaggio dei profitti del clan. Nigro morì in carcere dopo poche udienze del processo, il<br />
18 aprile 1995.<br />
AltraEconomia<br />
Agosto 2008<br />
80
Oversize<br />
L'inchiesta "Oversize" scattò con perquisizioni ed arresti nel dicembre del 2006;<br />
contemporaneamente a questa s'articolò anche “Soprano”, concentrata più<br />
sull'<strong>Ndrangheta</strong> milanese. I primi passi di “Oversize” risalgono a nove anni fa, portati<br />
avanti dalla DDA di Milano con il contributo della Polizia di Stato di <strong>Lecco</strong>, quella di<br />
Milano e dal Gico.<br />
Nella notte tra l'11 ed il 12 dicembre del 2006 una quarantina circa di persone vennero<br />
tratte in arresto con pesantissime accuse (i capi d'accusa risultarono esser più di 200). Di<br />
queste, 19 residenti a <strong>Lecco</strong>. Un'accusa su tutte: associazione a delinquere di stampo<br />
mafioso finalizzata a vario titolo al traffico di droga e armi. Tra i coinvolti spiccarono i<br />
nomi di Giacomo Coco Trovato, nipote del boss Franco Coco Trovato (4 ergastoli<br />
nell'ambito del procedimento “Wall Street” dei primi anni '90), Emiliano Coco Trovato (già<br />
detenuto a Opera), figlio di Franco, e Vincenzo Falzetta (detto “banana”) prestanome della<br />
'ndrina e titolare di alcuni locali della movida milanese (Alcatraz, Bio Solaire e Madison)<br />
con i quali riciclava proventi illeciti.<br />
Oltre alla nuova reggenza di consanguinei dei Coco Trovato, sempre secondo l'accusa<br />
rappresentata dal Pm Galileo Proietto, rimasero coinvolti esponenti di quel ceto borghese<br />
indispensabile per la sopravvivenza dell'<strong>Ndrangheta</strong>. Uno su tutti: Federico Pettinato.<br />
Imprenditore dedito al reinvestimento in economia legale dei profitti illegali maturati da<br />
spaccio di droga, estorsioni, traffico di armi e via discorrendo. Oltre a Pettinato finirono in<br />
manette Angelo Sirianni, Giuseppe Elia, Giuseppe Gigliotti, Giancarlo Schifani, Tommaso<br />
Scalzi, Rodolfo Bubba (detto “o Vangelo”), Pierino Marchio, Massimiliano Costa e altri<br />
ancora. Tutte pedine organiche alle attività illecite.<br />
Giacomo Coco Trovato, 36enne, sostiene l'accusa, risulterebbe anche esser il killer del<br />
pugile Francesco Durante, ucciso nel maggio del 2000 a Milano. Il padre di Giacomo,<br />
Mario, s'è già beccato 28 anni nel processo di mafia chiamato “Wall Street”. Tale padre...<br />
Il processo “Oversize” ebbe inizio intorno alla fine del novembre '07 dopo esser stato<br />
trasferito per motivi di sicurezza dal Tribunale di via Cornelio a <strong>Lecco</strong> all'aula bunker di<br />
Milano in via Ucelli di Nemi. Una decina degli imputati ricorse al rito breve, dagli altri 34,<br />
invece, restò ferma l'intenzione di affrontare il processo ordinario. Nel mese di febbraio di<br />
quest'anno la Corte d'Appello ha confermato le condanne inflitte ai ricorrenti al rito<br />
abbreviato comminate nell'udienza preliminare del novembre del 2007.<br />
Per la fine di febbraio erano invece attese le richieste del Pm Proietto per i restanti 34<br />
imputati.<br />
La requisitoria dell'accusa non ha riservato sorprese: quasi 400 anni di carcere richiesti,<br />
soltanto una l'assoluzione. Una media degna di nota, considerato il numero degli imputati.<br />
L'inchiesta “Oversize” non resta, purtroppo, un caso saltuario d'infiltrazione mafiosa nel<br />
territorio lecchese. Prima di questa vi furono, su tutte, “Wall Street”, “Atto finale” (che<br />
ricomprendeva anche Coco Trovato) e poi “Mala Avis”. Successivamente ad “Oversize” fu la<br />
volta di “Ferrus Equi”, questa volta incentrata sulla famiglia mafiosa dei De Pasquale, poi<br />
di “Easy Rider” e poi ancora di quella riguardante il caporalato a danno dei migranti<br />
clandestini che vide coinvolto nel 2008 Angelo Musolino, fratello di Vincenzo Musolino:<br />
cognato di Franco Coco Trovato e mente finanziaria della cosca decapitata (così parve) nel<br />
1993.<br />
81
18 lecchesi e un 53enne di Olgiate arrestati dalla Polizia<br />
dell’operazione “Oversize”. Il Nord terra di “riciclaggio”.<br />
600 pagine di ordinanze, oltre 200 capi di accusa, 37 arresti, 5 ricercati, 6 anni di<br />
indagini e oltre 500 uomini fra Polizia di Stato di <strong>Lecco</strong>, Milano e Gico (Gruppo<br />
d`Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza). Sono<br />
questi alcuni dei numeri dell’operazione “Oversize” portata a termine nella notte fra<br />
lunedì 11 e martedì 12 dicembre dagli uomini della Polizia di Stato che ha assestato<br />
un duro colpo alla malavita organizzata operante sull’asse Calabria, Lombardia e<br />
Svizzera. Ad illustrare i particolari della vicenda, nello specifico sul troncone<br />
lecchese, sono stati stamane il questore dottor Vincenzo Ricciardi, il capo della<br />
squadra mobile Fabio Mondora, il capo di Gabinetto Angela Spada e il capo del<br />
settore prevenzione Andrea Maria Atanasio. Il concentramento di forze, come<br />
spiegato, è avvenuto alle 3 di martedì 12 dicembre presso il reparto della squadra<br />
mobile di Milano.<br />
60 pattuglie “miste”, fra agenti della polizia e baschi verdi, hanno dato il via<br />
all’operazione che ha rastrellato rappresentanti di spicco della ‘ndrangheta locale in<br />
stretto collegamento con la terra calabrese. Nel corso delle perquisizioni sono stati<br />
sequestrati 100mila euro in denaro contante, provento delle attività illecite, armi da<br />
guerra (fucili, pistole con matricola abrasa, bombe a mano,..) e ora la guardia di<br />
finanza procederà alla confisca di beni mobili ed immobili. Le indagini, come<br />
dicevamo, erano partite nel 2000 a seguito di alcuni reati per traffico di<br />
stupefacenti coordinati dal dottor Luca Masini, in particolare “Mala Avis” e “Cani<br />
della montagna”. Da queste indagini era emerso che la famiglia Coco Trovato<br />
dominava incontrastata sulla zona, controllando le attività illecite connesse allo<br />
spaccio di droga: in pratica non esisteva nessun spacciatore, italiano o straniero, che<br />
non dovesse far capo a tale nucleo. Messa a conoscenza della vicenda la DDA<br />
(Direzione Distrettuale Antimafia) aveva dato il via ad una vera e propria<br />
operazione di intelligence con intercettazioni telefoniche e ambientali, videoriprese,<br />
pedinamenti finchè si era giunti alla ‘ndrina collegata con altre calabresi. Era<br />
emerso così uno scenario che pochi si immaginavano.<br />
Dopo gli arresti eccellenti del 1992, il clan dei Trovato era tornato ad essere attivo in<br />
particolare nelle province di <strong>Lecco</strong>, Milano, Como, Bergamo e Varese, creando uno<br />
strettissimo legame con la propria terra d’origine, la Calabria appunto. Per precise<br />
disposizioni la Lombardia era deputata ad essere la zona del riciclaggio di denaro e<br />
del transito di droga verso la Svizzera. Per nessuna ragione nella fiorente regione<br />
del nord dovevano essere compiuti omicidi o regolamenti di conti. Per questi affari<br />
la terra deputata era la Calabria. Dalla Lombardia (dove dal 1992 non si sono più<br />
registrati omicidi di mafia) poi transitavano anche le armi provenienti dalla<br />
Svizzera e dirette verso il sud Italia. Il clan criminale aveva messo in essere un<br />
impianto accuratissimo e dettagliato, studiato nei minimi particolari che aveva<br />
portato all’arricchimento spropositato di moltissimi suoi componenti. Fra i capi di<br />
imputazione c’è anche l’accusa di omicidio spiccata al figlio di Mario Coco Trovato,<br />
Giacomo, uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Francesco Durante, 28enne<br />
82
pugile dilettante, trovato carbonizzato nella sua auto nei pressi del carcere Beccaria<br />
di Milano dopo essere stato freddato da un colpo di pistola alla nuca a metà maggio<br />
del 2000. Diciannove i lecchesi arrestati, residenti a <strong>Lecco</strong>, Calolziocorte, Galbiate,<br />
Mandello del Lario e Olgiate cui è stato contestato il reato di associazione a<br />
delinquere semplice e di stampo mafioso (art. 416 e 416 bis del codice penale). Le<br />
indagini, ora, non sono chiuse. Ci sono infatti tre albanesi cui la procura ha spiccato<br />
il mandato di arresto che, però, si trovano al momento in Albania e altre 100<br />
indagati a piede libero.<br />
Merate On Line<br />
13 dicembre 2006<br />
83
Calolzio: al bar Manzoni il ritrovo del clan per i summit e i<br />
riti di iniziazione.<br />
Il bar Manzoni di Calolziocorte era stato deputato ad essere il luogo di ritrovo dei<br />
summit della cosca mafiosa. Qui, soprattutto il pomeriggio della domenica, il clan si<br />
radunava e, dopo aver predisposto un apposito servizio di vigilanza all’esterno del<br />
locale, dopo un incontro informale davanti al bancone si appartava nel retrobottega<br />
per predisporre i piani ed, eventualmente, “battezzare” i nuovi affiliati. Perché oltre<br />
ai delitti e ai crimini di mafia, il clan aveva importato dalla Calabria anche il<br />
cerimoniale e i riti di iniziazione.<br />
Rodolfo Bubba era il Vangelo o capobastone che officiava il cerimoniere del<br />
battesimo dei nuovi affiliati (nella foto è l’uomo che entra nel bar e bacia l’altra<br />
persona al bancone). Angelo Sirianni, Giuseppe Elia e Federico Pettinato facevano<br />
parte del comitato di direzione che organizzava i traffici illeciti, dirimeva i contrasti<br />
e decideva le strategie commerciali. In particolare Pettinato, che di professione era<br />
un imprenditore edile, reinvestiva il denaro dell’illecito in attività illecite. Tommaso<br />
Scalzi era addetto al recupero crediti con azioni di sangue. Giuseppe Gigliotti<br />
reimpiegava il denaro del clan mafioso mentre Vincenzo Falzetta, che in copertura<br />
era il titolare di una catena di locali come l’Alcatraz, il Bio Solaire e il Madison, era il<br />
terminale degli investimenti per la provincia di Milano.<br />
Nell’ambito dell’inchiesta, poi, gli investigatori sono riusciti anche a risalire agli<br />
autori di altri atti criminosi compiuti in provincia negli anni passati. In particolare<br />
Giacomo Trovato e Denni Esposito sono stati accusati di essere gli autori materiali<br />
della rapina ai danni del cinema Capitol di <strong>Lecco</strong> il 17 febbraio del 2002 e sempre lo<br />
stesso Trovato con Giancarlo Schifani della rapina al supermarket di <strong>Lecco</strong> del 1999<br />
che fruttò 19 milioni delle vecchie lire.<br />
Merate On Line<br />
13 dicembre 2006<br />
84
<strong>Lecco</strong>: udienza rimandata a Milano il 29 novembre per gli<br />
imputati “Oversize”<br />
Come da previsione il maxi processo per l'operazione "Oversize" è stato rinviato al 29<br />
novembre prossimo nell'aula bunker del tribunale di Milano e i giudici lecchesi saranno<br />
così "costretti" alla trasferta nel capoluogo.<br />
Palazzo di giustizia di <strong>Lecco</strong> blindato e sotto massima sorveglianza, stamane, all'udienza di<br />
comparizione degli imputati che, ad attenderli, hanno trovato decine di famigliari. Sul<br />
piazzale antistante le scale d'ingresso, infatti, dalle 9 del mattino hanno iniziato a confluire<br />
le camionette, sei, della polizia penitenziaria con all'interno i detenuti ammanettati,<br />
scortati dalle guardie carcerarie. A vigilare che tutto procedesse in piena sicurezza diversi<br />
agenti, in borghese e in divisa, della polizia di Stato, della guardia di Finanza nonché<br />
carabinieri e polizia locale. Sul piazzale, pronta ad intervenire per eventuali malori, anche<br />
una squadra del pronto soccorso. Nell'aula numero tre al primo piano si sono radunati<br />
famigliari e amici degli imputati, in attesa di poterli incrociare e portare loro un saluto.<br />
Molte le madri e le mogli, in trepida attesa di vedere i propri congiunti. Dall'aula, per tutta<br />
la mattina, è stato un continuo via vai di forze dell'ordine, avvocati, giornalisti e la<br />
"macchina" è rimasta quasi paralizzata a seguito del trambusto. In aula nella cosiddetta<br />
"gabbia" gli imputati hanno atteso l'apertura delle porte per poi "lanciarsi" in saluti a voce<br />
e con la mano ai famigliari. Di fronte al tavolo del presidente Paolo Salvatore e dei giudici a<br />
latere Andrea Ausili e Massimiliano Magliacani, schierati una decina di agenti della polizia<br />
penitenziaria. La comunicazione del rinvio al 29 novembre al tribunale di Milano è durata<br />
una manciata di minuti e poi tutti fuori, nuovamente scortati, a bordo delle camionette<br />
diretti verso i rispettivi carceri.<br />
Come si ricorderà l'operazione "Oversize" era stata resa nota nel mese di dicembre 2006 ed<br />
aveva prodotto 600 pagine di ordinanze, oltre 200 capi di accusa, 37 arresti, 5 ricercati.<br />
Imponente il dispiegamento di forze dell'ordine 500 uomini fra Polizia di Stato di <strong>Lecco</strong>,<br />
Milano e Gico (Gruppo d'Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di<br />
Finanza) che, in sei anni di indagine, avevano lavorato per scoprire l'asse della malavita<br />
organizzata fra Calabria, Lombardia e Svizzera. A presentare i risultati e i dettagli<br />
dell'operazione erano stati il questore dottor Vincenzo Ricciardi, il capo della squadra<br />
mobile Fabio Mondora, il capo di Gabinetto Angela Spada e il capo del settore prevenzione<br />
Andrea Maria Atanasio.<br />
Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati 100mila euro in denaro contante,<br />
provento delle attività illecite nonché armi da guerra. Si era così scoperto che dopo gli<br />
arresti eccellenti del 1992, il clan dei Trovato era tornato ad essere attivo in particolare<br />
nelle province di <strong>Lecco</strong>, Milano, Como, Bergamo e Varese, creando uno strettissimo<br />
legame con la propria terra d'origine, la Calabria appunto. Per precise disposizioni la<br />
Lombardia era deputata ad essere la zona del riciclaggio di denaro e del transito di droga<br />
verso la Svizzera. Il clan criminale aveva messo in essere un impianto accuratissimo e<br />
dettagliato, studiato nei minimi particolari che aveva portato all'arricchimento<br />
spropositato di moltissimi suoi componenti. Diciannove i lecchesi arrestati, residenti a<br />
<strong>Lecco</strong>, Calolziocorte, Galbiate, Mandello del Lario e Olgiate cui era stato contestato il reato<br />
di associazione a delinquere semplice e di stampo mafioso (art. 416 e 416 bis del codice<br />
penale).<br />
Merate On Line, 8 novembre 2008<br />
85
La Provincia di <strong>Lecco</strong>, 17 febbraio 2009<br />
86
Le condanne di primo grado. Tre secoli per “Oversize”<br />
Giovedì 19 marzo, nel giorno del ricordo di Don Peppino Diana, è arrivata la<br />
sentenza di primo grado a carico degli imputati. L’esito non stupisce: 370 anni di<br />
carcere. Le accuse: riciclaggio, usura, droga ed estorsioni.<br />
Di seguito vi riportiamo nome per nome i condannati e la pena comminata dal<br />
collegio presieduto dal Giudice Paolo Salvatore, a latere Andrea Ausili e<br />
Massimiliano Magliacani.<br />
Emiliano Trovato, figlio di Franco Trovato, è stato condannato a 22 anni e 6 mesi.<br />
Giacomo Trovato, figlio di Mario Trovato e nipote di Franco Trovato, 18 anni e 3<br />
mesi. Filippo Bubbo 15 anni; Salvatore Caligiuri 13 anni e 8 mesi; Armando Le Rose<br />
18 anni e 3 mesi; Pierino Marchio e Vito Moro 13 anni e 3 mesi; Sergio Panzeri e<br />
Giovanni Rizzutti 13 anni; Paolo Schillaci e Vincenzo Falzetta (”o banana”) 12 anni e<br />
6 mesi; Felice Onofrio 12 anni e 5 mesi; Giuseppe Elia, Rodolfo Bubba (”o vangelo”,<br />
“o arsenale”) e Francesco Ghirardi 12 anni; Francesco Mantia 11 anni e 8 mesi; Luigi<br />
Alcaro 10 anni e 8 mesi; Marco Malugani 10 anni e 6 mesi; Giuseppe Foriglio 9 anni<br />
e 4 mesi; Federico Pettinato e Palmiero Rigillo 9 anni; Antonio Bubbo (arrestato<br />
anche nell’ambito dell’inchiesta “Isola”) 6 anni;<br />
Giuseppe Gigliotti 5 anni; Alessandro Folino 7 anni; Carmine Sirianni 7 anni. Altri<br />
ancora hanno ricevuto pene inferiori.<br />
Duccio Facchini<br />
20 marzo 2009<br />
87
“Oversize” e il tessuto economico lecchese<br />
Tutte le persone coinvolte e/o citate a vario titolo, anche se condannate nei primi<br />
gradi di giudizio, sono da ritenere innocenti fino a sentenza definitiva.<br />
D.F.<br />
Il 19 marzo di quest’anno, a Milano, il Collegio giudicante presieduto dal Giudice<br />
Paolo Salvatore, a latere Andrea Ausili e Massimiliano Magliacani, ha comminato<br />
oltre 370 anni di carcere per circa una trentina di imputati nell’ambito del<br />
procedimento derivante dall’inchiesta “Oversize”.<br />
Da una ricerca effettuata si evince come alcuni dei condannati in primo grado<br />
nell’ambito di “Oversize” gestissero (e gestiscano ancora) una considerevole<br />
porzione del tessuto economico della provincia di <strong>Lecco</strong>.<br />
La fonte cui ci si è rivolti è il servizio informatico Telemaco, della Camera di<br />
Commercio di <strong>Lecco</strong>.<br />
Ecco cosa ne è uscito:<br />
Emiliano Trovato (22 anni e 6 mesi in primo grado in “Oversize”) non compare<br />
negli archivi. La superficiale ricerca non ha quindi dato alcun frutto utile. Il figlio di<br />
Franco Trovato si trova in carcere.<br />
Giacomo Trovato, classe ‘73, condannato a 18 anni e tre mesi in “Oversize”, secondo<br />
gli archivi di Telemaco, è socio accomandante dal 2005 dell’attività O46 S.a.s di<br />
Trovato e S. & C. in via Pasubio 19 a <strong>Lecco</strong>. Ambito: ristorazione.<br />
Il figlio di Mario (e nipote di Franco Trovato) è tutt’ora recluso in carcere.<br />
Federico Pettinato, 44 anni, condannato a 9 anni, è socio unico della<br />
Eurocostruzioni S.r.l. sita a Galbiate in piazza Don Gnocchi 4 e titolare di alcune<br />
quote del Bingo di Stezzano. L’imprenditore è stato condannato perché ritenuto<br />
responsabile di aver reinvestito montagne di denaro sporco per conto del clan dei<br />
consanguinei di Franco Trovato.<br />
Salvatore Caligiuri, 33 anni, di Calolziocorte, s’è beccato ben 13 anni e otto mesi di<br />
carcere. Così come Pettinato, Caligiuri è attivo nel settore dell’edilizia essendo<br />
titolare firmatario della C & G di Caligiuri Salvatore con sede legale in via Fratelli<br />
Cervi a Calolziocorte. Il giovane costruttore era pure socio accomandante<br />
dell’inattiva e poi cancellata Edilcinque di Sirianni Carmine e C. S.a.s. di<br />
Calolziocorte, in via Cavour 67.<br />
Giuseppe Giovanni Foriglio, di 48 anni, anch’egli calolziese, risulta aver (avuto)<br />
partecipazioni nelle attività Resegone Srl e nella Prospettiva Immobiliare Srl.<br />
Foriglio. S’è visto condannare a 9 anni e quattro mesi.<br />
Antonio Bubbo, classe ‘76, imprenditore rampante di Galbiate, è titolare firmatario<br />
della BBB di Bubbo Antonio della centralissima via Cairoli 31 a <strong>Lecco</strong>. Attività:<br />
commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento ed accessori.<br />
88
Bubbo può definirsi un vero motorino dell’economia nostrana.<br />
Infatti ha rivestito in passato cariche tra cui: titolare firmatario della Euro Edil di<br />
Galbiate (cancellata), socio amministratore della Comer Snc con Danilo Gentile<br />
(cancellata) che si occupava di commercio all’ingrosso despecializzato, socio della<br />
(cancellata) Pasticceria Pan per focaccia di Annamaria Miceli e Gianbattista Farina<br />
e socio fondatore della (cancellata) DFT di Boccardo Fabrizio Michele con sede<br />
legale in via San Rocco a Valmadrera. La DFT operava nel settore della<br />
manutenzione e riparazione di apparecchi trasmittenti radio televisivi.<br />
Bubbo è stato condannato a 6 anni di carcere e recentemente è stato arrestato<br />
nell’operazione “Isola” incentrata più sulla zona di Cologno Monzese.<br />
Angelo Sirianni, di 53 anni, condannato a 12 anni di carcere, è amministratore di<br />
Edil Siria Srl nata nel 2004 e sita nella nevralgica via Aspromonte 13 a <strong>Lecco</strong>.<br />
Settore: lavori generali di costruzione di edifici. Anche Sirianni è residente a<br />
Calolziocorte.<br />
Tommaso Scalzi, classe ‘69, accusato di recuperare violentemente crediti pendenti,<br />
è stato condannato a 11 anni e otto mesi. Anche Scalzi è imprenditore edile: la sua<br />
Scalzi Tommaso sita a Verona in via Pennazzi lo vede infatti titolare firmatario.<br />
Giovanni Rizzuti, 35enne di Petronà (Cz), ha un concessionario in Calabria –<br />
appunto a Petronà – dal nome Euro Car in via Vaccari (titolare firmatario) e coltiva<br />
la passione per il gelato. A Mandello (<strong>Lecco</strong>) è infatti socio amministratore del Bar<br />
Bellavista nella strada per Maggiana 9/B.<br />
Rizzuti è stato condannato a 13 anni di carcere.<br />
Vito Moro, nativo di Ostuni e classe 1965, ha collezionato 13 anni e tre mesi di<br />
carcere. Anche lui ha il vizio della ristorazione: la Vipa Srl sita a Calolziocorte in via<br />
SS Cosma e Damiano 52 lo vede amministratore unico. Ristoratore sì ma anche<br />
immobiliarista nel milanese. Amministratore unico anche della C.P. Immobiliare<br />
Srl in via Pastorelli Giovanni 10 a Milano. Anche il ristorante La Perla di<br />
Valmadrera ha conosciuto il suo passaggio: ne è stato socio accomandante sino al<br />
2003 prima di cedere la carica.<br />
Giuseppe Mazzei, ricorso al rito abbreviato e condannato a 9 anni di carcere, classe<br />
1974 e nativo di Cerva (Cz), risiede a <strong>Lecco</strong> ed è titolare firmatario della M. T. Trans<br />
di via Malpensata 5 a <strong>Lecco</strong>. La M. T. è specializzata nel trasporto di merci su strada<br />
sin dal 2003.<br />
Massimiliano Costa, residente a Calolziocorte, è stato condannato a 9 anni e dieci<br />
mesi. Il 33enne è pure lui imprenditore: titolare firmatario dell’impresa individuale<br />
della Costa Massimiliano attiva in lavori generali di costruzione di edifici.<br />
Vincenzo Falzetta, coinvolto anche nell’inchiesta “Soprano” del 2006, classe ‘61 e<br />
originario di Marcedusa (Cz), è stato condannato a 12 anni e sei mesi. Residente a<br />
Bollate (Mi), “Banana” (come era soprannominato) è stato amministratore unico e<br />
poi liquidatore della Dueffe Srl (completamento di edifici) con sede a Milano in via<br />
Egadi 7. Inoltre Falzetta è socio unico (ex amministratore unico) della Sidam Srl:<br />
89
inattiva e in stato di liquidazione. Infine risulta esser stato amministratore unico<br />
della Nico Srl dedita alla ristorazione con somministrazione; anche quest’ultima a<br />
Milano in via San Vittore 40.<br />
Giuseppe Gigliotti, condannato a 5 anni di carcere, classe ‘55 è residente a Galbiate<br />
in via Cavour 26. Gigliotti è socio dell’inattiva Impresa Edile di Gigliotti G. & Folisi<br />
G. in liquidazione sita ad Asso (Co) in via A. De Gasperi 2. Inoltre è amministratore<br />
unico della Liguria 2000 (cooperativa) attiva nel campo dei lavori generali di<br />
costruzione di edifici a Borghetto Santo Spirito (Sv) in Piazza Libertà 5. Ma c’è di<br />
più: Gigliotti è stato amministratore e socio della Edil G.F. Snc di sé medesimo e<br />
Ferro Gregorio in via Rivierasca 358 a Calusco d’Adda (Bg). Nata nel 2006, poco<br />
meno di un anno dopo, la Edil G.F. Snc – lavori di completamento di edifici – venne<br />
presto cancellata.<br />
Poi ancora: Impresa Edile Valentina, cancellata come sopra e dedita anch’essa a<br />
lavori generali di costruzione di edifici. Gigliotti ne è stato il titolare. Ancora:<br />
Gigliotti Giuseppe, impresa individuale nel solito ambito, cancellata nel ‘06 con<br />
Gigliotti titolare firmatario dal 2000. E poi di nuovo: Edil G.F. Snc di Gigliotti e di<br />
quel Ferro Gregorio incontrato poco sopra. La sede questa volta è a Galbiate (Lc) in<br />
via Cavour 26: lavori di completamento di edifici. Gigliotti ne è stato socio lavorante<br />
e socio amministratore. L’impresa è nata e poi è stata cancellata nel giro di cinque<br />
mesi (gennaio ‘06 – giugno ‘06). Infine: Joker di Miceli A. e L. Snc. Gigliotti ne è<br />
stato socio amministratore. Nel giro di pochi mesi abbandonò la carica.<br />
Questi solo alcuni dei nomi emersi dalle carte processuali riportate da alcune testate<br />
locali. Molti altri non risultano all’interno del ricco archivio della Camera di<br />
Commercio di <strong>Lecco</strong> vuoi perché non titolari di alcuna attività o vuoi perché più<br />
furbi (Emiliano Trovato ad esempio).<br />
Mancano all’appello Filippo Bubbo, Rodolfo Bubba, Giuseppe Elia, Pierino<br />
Marchio, Marco Malugani, Carmine Sirianni, Armando Le Rose e molti altri ancora.<br />
Quel che emerge dalla ricerca fatta sottolinea ed evidenzia quanto infondato e<br />
ottuso sia il teorema che a <strong>Lecco</strong> l’economia sia sana e che la ‘<strong>Ndrangheta</strong> agisca su<br />
chissà quali livelli d’investimento. I settori che fan gola alla mafia sono diversi:<br />
ristorazione, imprenditoria, vendita al dettaglio di merci d’abbigliamento,<br />
movimento terra, immobiliari e via dicendo.<br />
Una persona è innocente fino al terzo grado di giudizio, tutti d’accordo. Forse però<br />
non è sempre il caso di attendere il timbro della Cassazione per smetterla di<br />
frequentare, alimentare, foraggiare, arricchire determinate attività economiche ed i<br />
loro titolari.<br />
Duccio Facchini<br />
9 aprile 2009<br />
90
Easy Rider<br />
91
<strong>Lecco</strong>: 92 anni di carcere e multe per 500mila euro per 17 imputati<br />
di Easy rider. 2 a dibattimento, un assolto<br />
Oltre 90 anni di carcere e multe per mezzo milione di euro. Sono arrivate in<br />
giornata le sentenze del processo denominato "Easy rider", e che vedeva imputati in<br />
udienza preliminare ben 19 persone. Quasi un anno è passato dalla conclusione<br />
delle indagini, durate 9 mesi, che avevano permesso alle forze dell`ordine di<br />
sgominare un pericoloso gruppo criminale che da diversi anni era attivo sul<br />
territorio della provincia. Molteplici i reati contestati ai componenti della banda, fra<br />
i quali estorsione, detenzione e spaccio di droga, ricettazione, falso, utilizzo di<br />
documenti contraffatti, danneggiamento, violenza privata, resistenza a pubblico<br />
ufficiale e violazione della normativa sulle armi. 18 erano state complessivamente le<br />
ordinanze di custodia cautelare emesse dal GIP, e 24 gli ordini di perquisizione<br />
domiciliare. Molti erano stati anche i beni sequestrati alla banda, 1 kg e mezzo di<br />
cocaina, una BMW X5, una moto Yamaha R1, il centro estetico "Ab Sun" di<br />
Calolziocorte, 23 telefoni cellulari, conti correnti bancari e 15.000 euro in contanti.<br />
Oggi le sentenze per 17 dei 19 imputati, tutti ricorsi a patteggiamenti e riti<br />
abbreviati. Solo 2 andranno a dibattimento, non avendo beneficiato di alcun rito<br />
alternativo. Pesanti le condanne emesse dal Giudice d`udienza preliminare dott.sa<br />
Elisabetta Morosini, PM Luca Masini, per i 3 giovani considerati a capo del gruppo,<br />
impegnati in particolare nello smercio della droga, soprattutto cocaina, affidata poi<br />
ad alcuni pusher minori, e nel compiere estorsioni ai danni di due imprenditori e di<br />
un concessionario d`auto. Michele Turrisi, 32enne di Calolziocorte, è stato<br />
condannato alla pena complessiva di 15 anni e 4 mesi di reclusione, e al pagamento<br />
di 120 mila euro. Vincenzo Meci, 34enne residente a <strong>Lecco</strong>, dovrà invece scontare 13<br />
anni e 4 mesi di reclusione e sborsare 82mila euro.Il terzo capo dell`organizzazione,<br />
Paolo Fortunato Cosumano, è stato condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere, e al<br />
pagamento di 80 mila euro. Non da meno le condanne comminate ad alcuni dei<br />
personaggi di spicco della banda criminale. Per Vincenzo Inzillo 11 anni e 2 mesi di<br />
carcere e 60 mila euro, Alessio Gilardi 8 anni e 40 mila euro, Vincenzo Mannarino 5<br />
anni e 4 mesi più 30 mila euro, e per il fratello Fabio Mannarino 3 anni, e il<br />
pagamento di 14 mila euro. Omar Bonaiti dovrà scontare 4 anni e 4 mesi, e pagare<br />
40 mila euro; Roberto Divino 4 anni e 2 mesi più 20 mila euro; Matteo Manzoni 3<br />
anni e 14 mila euro, Amos Panza 3 anni e 4 mesi e 667 euro; Franco Tosoni 2 anni e<br />
4 mesi e 14 mila euro; Cristian Villa 1 anno e 8 mesi. Due anche le donne<br />
condannate appartenenti al gruppo, Isabella Bodega sconterà 3 anni e 8 mesi di<br />
reclusione, più il pagamento di 18 mila euro; Alessia Bonaiti 4 anni di carcere e 40<br />
mila euro. Assolto infine l`imputato Gabriele Butti, mentre Michele Gennuso e<br />
Gianluigi Fontana andranno a dibattimento.Un`altra ventina di imputati sfilerà<br />
domani davanti al GUP. Sarà la volta del processo "Ferrus equi", indagine i traffici e<br />
le attività illecite del clan malavitoso dei De Pasquale di Calolziocorte.<br />
Merate On Line<br />
9 aprile 2004<br />
92
Schiavi<br />
(moderni)<br />
93
<strong>Lecco</strong> Operai clandestini pestati a sangue se si opponevano alle<br />
angherie. Si sospettano legami con la 'ndrangheta.<br />
«Schiavi» nei cantieri, arrestati sei imprenditori<br />
Sembra Castelvolturno, sembra di stare nei campi di pomodoro della Puglia e<br />
invece siamo nei cantieri edili della Lombardia. L' Italia si scopre una e<br />
indivisibile quando c' è di mezzo lo sfruttamento di immigrati costretti a<br />
lavorare in nero e a vivere in tuguri senz' acqua né luce. La polizia di <strong>Lecco</strong> ha<br />
arrestato sei imprenditori edili accusati di aver fatto lavorare senza nessuna<br />
tutela e con un salario da fame una decina di manovali nordafricani, privi di<br />
permesso di soggiorno. Estorsione, lesioni, favoreggiamento e sfruttamento<br />
della manodopera clandestina sono l' «etichetta» che il codice ha messo su<br />
una indagine scaturita dalla coraggiosa denuncia di uno degli immigratischiavi.<br />
Non è stato facile convincerlo a collaborare, visto che i suoi datori di<br />
lavoro per zittirlo erano arrivati a puntargli un coltello alla gola e a ferirlo; ma<br />
in cambio della rottura del silenzio il marocchino rimarrà in Italia con un<br />
permesso di soggiorno almeno temporaneo. Gli arrestati - tutti piccoli<br />
imprenditori, titolari di cantieri per villette o case da ristrutturare - hanno in<br />
alcuni casi precedenti per estorsione e usura; alcuni di loro sono imparentati<br />
con esponenti di famiglie della ' ndrangheta. In carcere sono finiti Angelo<br />
Alippi, di Abbadia Lariana, Fabio Castagna di Pasturo, Angelo Musolino di<br />
<strong>Lecco</strong> e Salvatore Marino di Mandello. Provvedimento restrittivo anche per<br />
Severino e Angelo Angora di Oggiono. Secondo la ricostruzione fatta dal capo<br />
della Mobile lecchese Silvio Esposito e dal pm Tommaso Buonanno i<br />
clandestini erano reclutati attraverso un passaparola: veniva promesso solo<br />
un salario in nero di poche centinaia di euro più l' alloggio. Che però<br />
consisteva in una garage o in un sottoscala senza luce, acqua né servizi<br />
igienici. I pochi soldi promessi, nella maggior parte dei casi, non sono mai<br />
stati versati - stando alle testimonianze raccolte in corso d' indagine -<br />
nonostante gli operai venissero fatti lavorare fino a 14 ore al giorno. Dieci le<br />
vittime individuate, ma il turn over sui cantieri degli schiavi sarebbe stato<br />
vorticoso: i più resistevano al massimo un mese, un mese e mezzo e poi<br />
gettavano la spugna cercando un altro impiego. Chi rimaneva e reclamava i<br />
propri diritti diventava oggetto di minacce e botte. La Questura di <strong>Lecco</strong> ha<br />
anche accertato un caso di estorsione ai danni di un imprenditore della zona<br />
da parte degli arrestati: era stato concordato l' acquisto di un' azienda, ma<br />
dopo il versamento di una caparra, l' affare era sfumato. Anziché restituire il<br />
denaro, gli arrestati ne avevano preteso altro.<br />
Claudio Del Frate<br />
3 ottobre 2008, Il Corriere della Sera<br />
94
Imprenditori lecchesi sfruttavano migranti nei cantieri, chiesti 27<br />
anni di carcere<br />
Tra gli imputati anche Angelo Musolino, fratello della “mente finanziaria” del boss<br />
Franco Trovato<br />
Estorsione in concorso, favoreggiamento e sfruttamento della manodopera clandestina:<br />
questi i reati contestati dal Pubblico Ministero Luca Masini (ora trasferitosi a Livorno)<br />
a cinque imprenditori lecchesi durante l’udienza del 16 giugno scorso presso il<br />
Tribunale di <strong>Lecco</strong>.<br />
L’accusa ritiene che gli imputati costringessero i migranti – trasformatisi per<br />
l’occasione in schiavi moderni – a strazianti orari di lavoro (dalle 12 alle 16 ore al<br />
giorno) senza la minima garanzia e, ovviamente, nella più disumana condizione di<br />
sicurezza e di salario. I lavoratori nordafricani potevano al massimo aspirare a<br />
200/300 euro mensili. Per chi non si piegava al regime schiavista erano previste<br />
percosse e violenze di ogni genere. Salvatore Marino, nato a Petronà e residente a<br />
Mandello, 47enne, è socio accomandante di “Edil Brianza 2007 Sas” (2007 è l’anno in<br />
cui sorge, ndr), impresa dedita alla costruzione di edifici residenziali e non, insieme a<br />
Severino Angora. Marino è molto attivo nel campo; nel 1992, infatti, diede vita alla<br />
“EdilSem Snc” (identica sede legale della “Edil Brianza 2007” a Mandello) che<br />
s’occupava di compravendita di beni immobili. Poi ancora nel ‘96 fu titolare firmatario<br />
di un’impresa non specializzata in attività di lavori edili ad Abbadia Lariana (<strong>Lecco</strong>),<br />
poi ancora nel 2000 con un’impresa di “completamento e finitura di edifici” sempre ad<br />
Abbadia Lariana (stessa sede legale della precedente) e poi, per finire in bellezza, socio<br />
amministratore di “Edilizia Sr Snc” ancora con Severino Angora ed ancora di<br />
“costruzione di edifici residenziali e non”. Vita breve anche per questa attività: poco<br />
meno di due anni. Per l’attivissimo Marino l’accusa ha chiesto 3 anni e 8 mesi di<br />
reclusione.<br />
Severino Angora, napoletano di Striano classe 1956 e residente a Oggiono (<strong>Lecco</strong>), oltre<br />
ad esser socio accomandatario di “Edil Brianza 2007 Sas” con Marino, è stato titolare<br />
firmatario di “Bhiond” – impresa cancellata dopo circa un anno (ottobre 2006,<br />
novembre 2007) attiva nel commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti<br />
per toeletta e igiene personale. Il Pubblico Ministero Masini ha chiesto per Angora 5<br />
anni.<br />
Per Mario Verrillo, anch’egli imprenditore di Abbadia Lariana, sono stati chiesti 5 anni<br />
e 4 mesi.<br />
Fabio Castagna, lecchese nato nel giugno del 1969 e residente a Galbiate (<strong>Lecco</strong>), è<br />
titolare firmatario della “Edil Arcadia” di Pasturo (Lc) nata nel 2003 ed attiva in lavori<br />
non specializzati di edilizia – soprattutto muratori. Inoltre Castagna è socio<br />
accomandante dell’attività di famiglia operante nel settore delle onoranze funebri in via<br />
Torre Tarelli 31 a <strong>Lecco</strong> nata nel lontano 1991.La pena richiesta per Castagna è<br />
durissima: 6 anni e 8 mesi di carcere.<br />
Angelo Musolino, calabrese classe 1959, è – insieme a Fabio Castagna – colui che, tra<br />
gli imputati coinvolti, rischia il maggior numero di anni di reclusione: 6 anni e 8 mesi<br />
95
per la precisione richiesti dal Pm Luca Masini. Le ricerche effettuate non hanno<br />
permesso – come nel caso di Verillo – di stabilire l’attività economica di Musolino;<br />
nonostante questo, Angelo Musolino racchiude in sé una storia ricca di spunti e<br />
particolari che meritano d’esser raccontati.<br />
Angelo Musolino è fratello di Eustina, moglie del boss della ‘ndrangheta lecchese<br />
Franco Trovato, e di Vincenzo (1954, nato a Cerva in Calabria). Vincenzo Musolino è<br />
stato senza ombra di dubbio la “mente finanziaria” di Franco Trovato. Gestiva per<br />
conto del capo immobiliari, finanziarie, imprese di movimento terra e di smaltimento<br />
dei rifiuti. All’interno del clan di Franco Trovato (operativo da Milano a Varese<br />
passando per la Comasina ma stanziatosi nel lecchese) Angelo Musolino non ha mai<br />
rivestito lo stesso ruolo di Vincenzo – definito “organizzatore dell’associazione, in<br />
quanto preposto, nella zona di <strong>Lecco</strong>, al reinvestimento dei proventi illeciti del<br />
traffico”, secondo l’accusa del processo Wall Street. Antonio Schettini, braccio destro di<br />
Franco Trovato, interrogato nell’ambito del maxi processo “Wall Street” dichiarò che<br />
Angelo Musolino, così come Tonino Bruno e Antonio Sacchinello, era uno degli “amici”<br />
del boss attivo nello spaccio di cocaina sin dai primi anni del 1980. Salvatore Pace,<br />
anch’egli imputato nel maxi processo, dichiarò che al “Portico” di Airuno – locale<br />
intestato alla moglie del super boss e bunker operativo della cosca mafiosa – si<br />
incontrò spesso con Angelo Musolino, il fratello Vincenzo, Franco Trovato e Mario<br />
Trovato (altro “organizzatore” della cosca). Le frequentazioni con i capi indiscussi della<br />
‘<strong>Ndrangheta</strong> lecchese – e tuttora attivi nonostante il regime di carcere duro, come nel<br />
caso di Franco Trovato – non costituiscono però l’unico dato interessante della<br />
“carriera” di Angelo Musolino.<br />
Nella notte tra il 4 e il 5 settembre del 1976, durante la festa de L’Unità presso il circolo<br />
Farfallino di <strong>Lecco</strong>, il fratello maggiore dell’attore Nino Castelnuovo – celebre ai tempi<br />
per l’interpretazione di Renzo Tramaglino, Promessi Sposi – Pier Antonio, operaio<br />
42enne, fu aggredito violentemente da sei uomini. Inizialmente furono accusati i tre<br />
fratelli Govoni, vicini al Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale. Uno di loro,<br />
Vittorio, fu infatti “candidato alle ultime elezioni politiche per il MSI-DN” a detta del<br />
deputato Borromeo D’Adda. Nel 1977 vi fu un’interrogazione parlamentare nella quale<br />
lo stesso deputato missino Borromeo D’Adda invitò l’allora responsabile agli Interni,<br />
Francesco Cossiga, a ristabilire “quel clima di civile convivenza che da diversi anni non<br />
esiste più” perché preoccupato del “processo popolare” riservato ai Govoni.<br />
Castelnuovo morì poche ore dopo per le gravissime lesioni riportate dopo il pestaggio. I<br />
Govoni vennero presto scagionati e ritenuti estranei al fattaccio. Secondo il<br />
collaboratore Antonio Zagari, interrogato nell’ambito del processo “Wall Street”, uno<br />
dei sei aggressori fu proprio Angelo Musolino, fratello di Vincenzo. Zagari, figlio di uno<br />
dei primi boss mafiosi calabresi giunti in Lombardia, Pasquale Zagari, attribuì in un<br />
primo momento il fatto a Vincenzo, confondendo i curricula dei due Musolino. Grazie<br />
ad un accertamento dei Ros risalente al 1993, la verbalizzazione dell’interrogatorio fu<br />
corretta: all’aggressione che portò alla morte di Pier Antonio Castelnuovo partecipò<br />
Angelo Musolino.<br />
E’ la volta del 17 gennaio 1980. Negli uffici di una società milanese coinvolta in un giro<br />
di false fatturazioni, la Co.Ge.Me., Silvio Scarfò – collaboratore dell’amministratore<br />
dell’attività – morì ammazzato. Gregorio Vigliarolo (già coinvolto in una brutta<br />
faccenda di sequestro di persona e spaccio di droga), Angelo Musolino e,<br />
96
successivamente, il boss Franco Trovato, furono arrestati con l’accusa di omicidio.<br />
Nell’ottobre 1982 furono tutti e tre assolti per “avere agito in condizione di legittima<br />
difesa”. Fu Scarfò a far fuoco per primo.<br />
1995, carcere di Vigevano. Vincenzo Musolino era lì detenuto da circa due anni. Il 21<br />
marzo dello stesso anno il ministro di Grazia e Giustizia aveva deciso l’applicazione del<br />
regime di carcere duro, il famigerato 41 -bis, anche per la “mente finanziaria” del clan<br />
Trovato. In origine era stato però commesso un errore. I funzionari avevano scambiato<br />
le fedine penali tra fratelli. “Il mio cliente non e’ stato mai condannato. Molto<br />
probabilmente e’ stato preso un grosso abbaglio. Pluripregiudicato e’ il fratello”, si era<br />
lamentato il legale del foro di <strong>Lecco</strong> Giuseppe Martini.Vincenzo smise per questo di<br />
mangiare e rifiutò l’ora d’aria; la moglie, Maria Sacco, s’incatenò davanti al Tribunale<br />
di Milano in segno di protesta: “non voglio che muoia” affermò. Scrisse pure al<br />
Papa.Angelo Musolino se ne stava intanto nel carcere di Fossano (Cuneo) a scontare 12<br />
anni.<br />
Nonostante tutto, secondo l’impianto accusatorio e le richieste del Pubblico Ministero<br />
Luca Masini, Angelo Musolino avrebbe continuato a commettere reati. L’ultimo<br />
appunto quello di malmenare, estorcere e sfruttare migranti maghrebini in concorso<br />
con altri quattro imprenditori attivi nel tessuto economico del territorio lecchese.<br />
Il tutto nell’indifferenza di una città che si fregia d’esser baluardo di Sicurezza e di<br />
Disciplina.<br />
Duccio Facchini<br />
18 luglio 2009<br />
Migranti sfruttati: condannati gli imprenditori<br />
Il 16 settembre scorso sono stati condannati i cinque imprenditori lecchesi colpevoli<br />
d’aver sfruttato, minacciato e picchiato alcuni migranti nordafricani.<br />
Ne parlammo ponendo l’accento sul curriculum di uno di loro: Angelo Musolino.<br />
L’accusa aveva chiesto quasi trent’anni per i cinque, più del doppio di quanto ha deciso<br />
il Gup del Tribunale di <strong>Lecco</strong> (11 anni).<br />
Tra questi, Severino Angora, napoletano di Striano classe 1956 e residente a Oggiono<br />
(<strong>Lecco</strong>), s’è visto condannare a 4 anni e 2 mesi. La pena più alta.<br />
Angelo Musolino, invece, è stato condannato a 4 anni.<br />
Duccio Facchini,<br />
24 settembre 2009<br />
97
La Stangata<br />
98
‘<strong>Ndrangheta</strong>: operazione “Stangata”<br />
Due lecchesi doc arrestati per ‘<strong>Ndrangheta</strong> nell’assordante silenzio elettorale.<br />
Circola insistente anche il nome di un “noto notaio compiacente”.<br />
<strong>Lecco</strong> è sempre più una lavatrice “utile” per i capitali delle cosche.<br />
Giuseppe Pangallo ha 29 anni ed era già stato arrestato nel 2005 per traffico di droga.<br />
E’ genero di Rocco Papalia nonché cognato di Salvatore Barbaro, capo cosca di Corsico<br />
e Buccinasco. Pangallo (insieme ad altre sette persone) è recentemente finito in carcere<br />
(il 19 maggio) su richiesta del Pubblico Ministero Lucilla Tontodonati della Dda perché<br />
accusato di esser a capo di un clan mafioso dedito al riciclaggio di denaro proveniente<br />
da truffe reiterate ad istituti di credito.<br />
Qui di seguito, testualmente, il modo in cui si articolava la cosiddetta “truffa dei<br />
mutui”: “La truffa, nella ricostruzione della polizia, si articolava in questo modo: la<br />
banda trovava immobili di scarso valore nella zona di <strong>Lecco</strong> e con la complicità di<br />
almeno un perito otteneva da filiali di Unicredit mutui per l’acquisto ad un valore<br />
molto superiore al prezzo pagato. Dopo un primo rilevante finanziamento, fatto<br />
ottenere a soggetti presentati come clienti affidabili grazie a imprenditori compiacenti,<br />
che fornivano la falsa documentazione che ne attestava la solvibilità, seguivano diversi<br />
tentativi di conseguire ulteriori crediti per l’acquisto di beni mobili. L’associazione così<br />
si avvantaggiava di ingenti somme di danaro contante, che poi investiva riciclandole,<br />
mentre i prestanome ricevevano piccole ricompense. Dopo alcuni mesi le «teste di<br />
legno» che risultavano dipendenti di aziende facenti capo all’associazione, venivano<br />
licenziate, perdendo ufficialmente la loro fonte di reddito, in modo che al mutuo<br />
subentrasse l’assicurazione. Nel corso delle operazioni sono state sottoposte a<br />
sequestro preventivo tutte le quote sociali di due Srl riconducibili all’organizzazione<br />
criminale sgominata, nonché quattro immobili ubicati nel lecchese ed acquistati dagli<br />
indagati.”<br />
(dal Corriere della Sera)<br />
Il clan dei mutui, come detto legato a doppio filo con la cosca mafiosa dei Papalia-<br />
Barbaro attiva tra Buccinasco e Corsico, aveva a <strong>Lecco</strong> il suo “regista burocratico”<br />
(parole testuali del Gip Gaetano Brusa) e il perito fasullo (che sovrastimava i beni per<br />
l’elargizione del mutuo): Roberto Maroni, 39 anni e Andrea Melesi, 29 anni.<br />
Il primo è in carcere, il secondo si trova agli arresti domiciliari.<br />
L’operazione è stata chiamata “La stangata” ed ha già prodotto un terremoto politico<br />
nel consiglio comunale di Buccinasco.<br />
Infatti, il capogruppo del Popolo della Libertà in consiglio, Luigi Iocca, 34enne, si è<br />
autosospeso dopo una strenua difesa: “Ho conosciuto Pangallo perché frequenta la<br />
stessa palestra in cui mi alleno anche io. Non abbiamo alcun rapporto aldilà di una<br />
conoscenza superficiale. Non ho mai ricevuto pressioni o richieste particolari, né<br />
tantomeno sapevo che aveva avuto problemi con la giustizia. D’ altra parte, come<br />
politico di Buccinasco, conosco migliaia di persone alle quali non chiedo certo la fedina<br />
penale”. Il giorno dopo ha preferito autosospendersi.<br />
Tornando al lecchese: Roberto Maroni – soltanto omonimo del Ministro dell’Interno –<br />
residente a Primaluna (Lc), risulta titolare firmatario di Centrofin, sempre a<br />
Primaluna. Attività d’impresa: produttori, procacciatori ed altri intermediari delle<br />
99
assicurazioni. Maroni: tipico cognome calabrese!<br />
S’attendono con ansia gli sviluppi circa il “noto notaio compiacente” organico al clan.<br />
Duccio Facchini<br />
16 giugno 2009<br />
100
Memoria<br />
Nomi da non dimenticare<br />
Vogliamo ricordarli tutti. Quelli di cui conosciamo il nome e quelli di cui non siamo ancora<br />
riusciti a trovare informazioni sufficienti.<br />
A tutte le vittime della violenza mafiosa va il nostro omaggio e la nostra promessa di<br />
impegno.<br />
www.libera.it<br />
* Emanuele Notarbartolo<br />
* Emanuela Sansone<br />
* Luciano Nicoletti<br />
* Andrea Orlando<br />
* Joe Petrosìno<br />
* Lorenzo Panepinto<br />
* Mariano Barbato<br />
* Giorgio Pecoraro<br />
* Bernardino Verro<br />
* Giorgio Gennaro<br />
* Giovanni Zangara<br />
* Costantino Stella<br />
* Giuseppe Rumore<br />
* Giuseppe Monticciolo<br />
* Alfonso Canzio<br />
* Nicolò Alongi<br />
* Paolo Li Puma<br />
* Croce Di Gangi<br />
* Paolo Mirmina<br />
* Giovanni Orcel<br />
* Stefano Caronia<br />
* Pietro Ponzo<br />
* Vito Stassi<br />
* Giuseppe Cassarà<br />
* Vito Cassarà<br />
* Giuseppe Compagna<br />
* Domenico Spatola<br />
* Mario Spatola<br />
* Pietro Spatola<br />
* Paolo Spatola<br />
* Sebastiano Bonfiglio<br />
* Antonino Scuderi<br />
* Antonino Ciolino<br />
* Santi Milisenna<br />
* Andrea Raja<br />
* Calogero Comaianni<br />
* Nunzio Passafiume<br />
* Filippo Scimone<br />
* Calcedonio Catalano<br />
* Agostino D'alessandro<br />
* Calogero Cicero<br />
* Fedele De Francisca<br />
* Michele Di Miceli<br />
* Mario Paoletti<br />
* Rosario Pagano<br />
* Giuseppe Scalia<br />
* Giuseppe Puntarello<br />
* Angelo Lombardi<br />
* Vittorio Epifani<br />
* Vitangelo Cinquepalmi<br />
* Imerio Piccini<br />
* Antonino Guarisco<br />
* Marina Spinelli<br />
* Giuseppe Misuraca<br />
101<br />
* Mario Misuraca<br />
* Gaetano Guarino<br />
* Pino Camilleri<br />
* Giovanni Castiglione<br />
* Girolamo Scaccia<br />
* Giuseppe Biondo<br />
* Giovanni Santangelo<br />
* Vincenzo Santangelo<br />
* Giuseppe Santangelo<br />
* Giovanni Severino<br />
* Paolo Farina<br />
* Nicolò Azoti<br />
* Fiorentino Bonfiglio<br />
* Mario Boscone<br />
* Francesco Sassano<br />
* Emanuele Greco<br />
* Giovanni La Brocca<br />
* Vittorio Levico<br />
* Accursio Miraglia<br />
* Pietro Macchiarella<br />
* Nunzio Sansone<br />
* Emanuele Busellini<br />
* Margherita Clesceri<br />
* Giovanni Grifò<br />
* Giorgio Cusenza<br />
* Castrenze Intravaia<br />
* Vincenzina La Fata
* Serafino Lascari<br />
* Giovanni Megna<br />
* Francesco Vicari<br />
* Vito Allotta<br />
* Giuseppe Di Maggio<br />
* Filippo Di Salvo<br />
* Vincenzo La Rocca<br />
* Vincenza Spina<br />
* Provvidenza Greco<br />
* Michelangelo Salvia<br />
* Giuseppe Casarrubea<br />
* Vincenzo Lo Iacono<br />
* Giuseppe Maniaci<br />
* Calogero Cajola<br />
* Vito Pipitone<br />
* Luigi Geronazzo<br />
* Epifanio Li Puma<br />
* Placido Rizzotto<br />
* Giuseppe Letizia<br />
* Calogero Cangelosi<br />
* Marcantonio Giacalone<br />
* Antonio Giacalone<br />
* Antonio Di Salvo<br />
* Nicola Messina<br />
* Celestino Zapponi<br />
* Giovanni Tasquier<br />
* Carlo Gulino<br />
* Francesco Gulino<br />
* Candeloro Catanese<br />
* Michele Marinaro<br />
* Carmelo Agnone<br />
* Quinto Reda<br />
* Carmelo Lentini<br />
* Pasquale Marcone<br />
* Armando Loddo<br />
* Sergio Mancini<br />
* Antonio Bubusa<br />
* Gabriele Palandrani<br />
* Giovan Battista Alce<br />
* Ilario Russo<br />
* Giovanni Calabrese<br />
* Giuseppe Fiorenza<br />
* Salvatore Messina<br />
* Francesco Butifar<br />
* Antonio Sanginiti<br />
* Filippo Intile<br />
* Salvatore Carnevale<br />
* Giuseppe Spagnuolo<br />
* Pasquale Almerico<br />
* Antonino Pollari<br />
* Vincenzo Di Salvo<br />
* Vincenzo Savoca<br />
* Anna Prestigiacomo<br />
* Giuseppina Savoca<br />
* Vincenzo Pecoraro<br />
* Antonino Pecoraro<br />
* Antonino Damanti<br />
* Cosimo Cristina<br />
* Paolo Bongiorno<br />
* Paolino Riccobono<br />
* Giacinto Puleo<br />
* Enrico Mattei<br />
* Giuseppe Tesauro<br />
* Mario Malausa<br />
* Silvio Corrao<br />
* Calogero Vaccaro<br />
* Pasquale Nuccio<br />
* Eugenio Altomare<br />
* Giorgio Ciacci<br />
* Marino Fardelli<br />
* Carmelo Battaglia<br />
* Giuseppe Piani<br />
* Nicola Mignogna<br />
* Francesco Pignataro<br />
* Giuseppe Burgio<br />
* Salvatore Surolo<br />
* Orazio Costantino<br />
* Mauro De Mauro<br />
* Pietro Scaglione<br />
* Antonino Lorusso<br />
* Vincenzo Riccardelli<br />
* Giovanni Spampinato<br />
* Giovanni Ventra<br />
* Domenico Cannata<br />
* Di Maio Paolo<br />
* Angelo Sorino<br />
* Emanuele Riboli<br />
* Calogero Morreale<br />
* Gaetano Cappiello<br />
* Francesco Ferlaino<br />
* Domenico Facchineri<br />
* Francesco Facchineri<br />
* Tullio De Micheli<br />
* Gerardo D'Arminio<br />
* Giuseppe Muscarelli<br />
* Pasquale Cappuccio<br />
* Caterina Liberti<br />
* Salvatore Falcetta<br />
* Carmine Apuzzo<br />
* Salvatore Longo<br />
* Salvatore Buscemi<br />
* Francesco Vinci<br />
102<br />
* Mario Ceretto<br />
* Alberto Capua<br />
* Vincenzo Ranieri<br />
* Vincenzo Macrì<br />
* Rocco Gatto<br />
* Stefano Condello<br />
* Vincenzo Caruso<br />
* Giuseppe Russo<br />
* Filippo Costa<br />
* Attilio Bonincontro<br />
* Donald Mackay<br />
* Mariangela Passiatore<br />
* Stefano Condello<br />
* Vincenzo Caruso<br />
* Ugo Triolo<br />
* Giuseppe Impastato<br />
* Antonio Esposito Ferraioli<br />
* Salvatore Castelbuono<br />
* Gaetano Longo<br />
* Paolo Giorgetti<br />
* Alfonso Sgroi<br />
* Filadelfio Aparo<br />
* Mario Francese<br />
* Michele Reina<br />
* Giorgio Ambrosoli<br />
* Boris Giuliano<br />
* Calogero Di Bona<br />
* Cesare Terranova<br />
* Lenin Mancuso<br />
* Giovanni Bellissima<br />
* Salvatore Bologna<br />
* Domenico Marrara<br />
* Vincenzo Russo<br />
* Giuliano Giorgio<br />
* Lorenzo Brunetti<br />
* Antonino Tripodo<br />
* Rocco Giuseppe Barillà<br />
* Piersanti Mattarella<br />
* Giuseppe Valarioti<br />
* Emanuele Basile<br />
* Giannino Losardo<br />
* Pietro Cerulli<br />
* Gaetano Costa<br />
* Carmelo Jannì<br />
* Domenico Beneventano<br />
* Marcello Torre<br />
* Vincenzo Abate<br />
* Giuseppe Giovinazzo<br />
* Ciro Rossetti<br />
* Vito Jevolella<br />
* Sebastiano Bosio
* Onofrio Valvola<br />
* Leopoldo Gassani<br />
* Giuseppe Grimaldi<br />
* Vincenzo Mulè<br />
* Domenico Francavilla<br />
* Mariano Virone<br />
* Angelo Di Bartolo<br />
* Giuseppe Salvia<br />
* Francesco Borrelli<br />
* Luigi D'alessio<br />
* Salvatore Stallone<br />
* Antonio Fontana<br />
* Nicolò Piombino<br />
* Antonio Salzano<br />
* Pio La Torre<br />
* Rosario Di Salvo<br />
* Gennaro Musella<br />
* Giuseppe Lala<br />
* Domenico Vecchio<br />
* Rodolfo Buscemi<br />
* Matteo Rizzuto<br />
* Silvano Franzolin<br />
* Salvatore Raiti<br />
* Giuseppe Di Lavore<br />
* Antonino Burrafato<br />
* Salvatore Nuvoletta<br />
* Antonio Ammaturo<br />
* Pasquale Paola<br />
* Paolo Giaccone<br />
* Vincenzo Spinelli<br />
* Carlo Alberto Dalla Chiesa<br />
* Emanuela Setti Carraro<br />
* Domenico Russo<br />
* Calogero Zucchetto<br />
* Carmelo Cerruto<br />
* Simonetta Lamberti<br />
* Giuliano Pennacchio<br />
* Andrea Mormile<br />
* Luigi Cafiero<br />
* Graziano Antimo<br />
* Gennaro De Angelis<br />
* Antonio Valenti<br />
* Luigi Di Barca<br />
* Giovanni Filiano<br />
* Giangiacomo<br />
CiaccioMontalto<br />
* Pasquale Mandato<br />
* Salvatore Pollara<br />
* Mario D'aleo<br />
* Giuseppe Bommarito<br />
* Pietro Morici<br />
* Bruno Caccia<br />
* Rocco Chinnici<br />
* Salvatore Bartolotta<br />
* Mario Trapassi<br />
* Stefano Li Sacchi<br />
* Sebastiano Alonghi<br />
* Francesco Buzziti<br />
* Francesco Imposimato<br />
* Domenico Celiento<br />
* Cristiano Antonio<br />
* Giuseppe Francese<br />
* Nicandro Izzo<br />
* Fabio Cortese<br />
* Salvatore Musarò<br />
* Ottavio Andrioli<br />
* Gioacchino Crisafulli<br />
* Giuseppe Fava<br />
* Renata Fonte<br />
* Cosimo Quattrocchi<br />
* Francesco Quattrocchi<br />
* Cosimo Quattrocchi<br />
* Marcello Angelini<br />
* Salvatore Schimmenti<br />
* Giovanni Catalanotti<br />
* Antonio Federico<br />
* Paolo Canale<br />
* Leonardo Vitale<br />
* Giovanbattista Altobelli<br />
* Lucia Cerrato<br />
* Anna Maria Brandi<br />
* Anna De Simone<br />
* Giovanni De Simone<br />
* Nicola De Simone<br />
* Luisella Matarazzo<br />
* Maria Luigia Morini<br />
* Federica Taglialatela<br />
* Abramo Vastarella<br />
* Pier Francesco Leoni<br />
* Susanna Cavalli<br />
* Angela Calvanese<br />
* Carmine Moccia<br />
* Valeria Moratello<br />
* Franco Puzzo<br />
* Michele Brescia<br />
* Santo Calabrese<br />
* Antioco Cocco<br />
* Vincenzo Vento<br />
* Pietro Busetta<br />
* Salvatore Squillace<br />
* Mario Diana<br />
* Pietro Patti<br />
103<br />
* Giuseppe Mangano<br />
* Gioacchino Taglialatela<br />
* Sergio Cosma<br />
* Giovanni Carbone<br />
* Barbara Rizzo Asta<br />
* Giuseppe Asta<br />
* Salvatore Asta<br />
* Beppe Montana<br />
* Antonino Cassarà<br />
* Roberto Antiochia<br />
* Giuseppe Spada<br />
* Enrico Monteleone<br />
* Giancarlo Siani<br />
* Biagio Siciliano<br />
* Giuditta Milella<br />
* Carmine Tripodi<br />
* Graziella Campagna<br />
* Morello Alcamo<br />
* Giuseppe Macheda<br />
* Roberto Parisi<br />
* Paolo Bottone<br />
* Giuseppe Pillari<br />
* Filippo Gebbia<br />
* Antonio Morreale<br />
• Francesco Alfano<br />
• * Antonio Pianese<br />
• * Vittorio Esposito<br />
• * Salvatore Benigno<br />
• * Claudio Domino<br />
• * Filippo Salsone<br />
• * Nicola Ruffo<br />
• * Antonio Sabia<br />
• * Giovanni Giordano<br />
• * Nunziata Spina<br />
• * Antonio Bertuccio<br />
• * Francesco Prestia<br />
• * Domenica De<br />
Girolamo<br />
• * Giovanni Garcea<br />
• * Giuseppe Rechichi<br />
• * Rosario Iozia<br />
• * Giuseppe Cutroneo<br />
• * Rosario Montalto<br />
• * Sebastiano Morabito<br />
• * Antonio Civinini<br />
• * Carmelo Iannò<br />
• * Carmelo Ganci<br />
• * Luciano Pignatelli<br />
• * Giovanni Di Benedetto<br />
• * Cosimo Aleo
• * Michele Piromalli<br />
• * Giuseppe Insalaco<br />
• * Giuseppe Montalbano<br />
• * Natale Mondo<br />
• * Donato Boscia<br />
• * Francesco Megna<br />
• * Alberto Giacomelli<br />
• * Antonino Saetta<br />
• * Stefano Saetta<br />
• * Mauro Rostagno<br />
• * Luigi Ranieri<br />
• * Carmelo Zaccarello<br />
• * Girolamo Marino<br />
• * Aniello Cordasco<br />
• * Giulio Capilli<br />
• * Pietro Ragno<br />
• * Abed Manyami<br />
• * Francesco Crisopulli<br />
• * Giuseppe Caruso<br />
• * Francesco Pepi<br />
• * Marcella Tassone<br />
• * Nicola D'Antrassi<br />
• * Vincenzo Grasso<br />
• * Paolo Vinci<br />
• * Salvatore Incardona<br />
• * Antonino Agostino<br />
• * Ida Castellucci<br />
• * Grazia Scimè<br />
• * Domenico Calviello<br />
• * Anna Maria Cambria<br />
• * Carmela Pannone<br />
• * Pietro Giro<br />
• * Donato Cappetta<br />
• * Calogero Loria<br />
• * Francesco Longo<br />
• * Giovanbattista<br />
Tedesco<br />
• * Colin Winchester<br />
• * Giacomo Catalano<br />
• * Giuseppe Giovinazzo<br />
• * Pietro Polara<br />
• * Nicolina Biscozzi<br />
• * Giuseppe Tallarita<br />
• * Nicola Gioitta Iachino<br />
• * Emanuele Piazza<br />
• * Giuseppe Tragna<br />
• * Massimo Rizzi<br />
• * Giovanni Bonsignore<br />
• * Antonio Marino<br />
• * Rosario Livatino<br />
• * Alessandro Rovetta<br />
• * Francesco Vecchio<br />
• * Andrea Bonforte<br />
• * Giovanni Trecroci<br />
• * Saverio Purita<br />
• * Angelo Carbotti<br />
• * Domenico Catalano<br />
• * Maria Marcella<br />
• * Vincenzo Miceli<br />
• * Elisabetta Gagliardi<br />
• * Giuseppe Orlando<br />
• * Michele Arcangelo<br />
Tripodi<br />
• * Pietro Caruso<br />
• * Nunzio Pandolfi<br />
• * Arturo Caputo<br />
• * Roberto Ticli<br />
• * Mario Greco<br />
• * Rosario Sciacca<br />
• * Giuseppe Marnalo<br />
• * Francesco Oliviero<br />
• * Cosimo Distante<br />
• * Angelo Raffaele Longo<br />
• * Cataldo D'Ippolito<br />
• * Raffaela Scordo<br />
• * Emilio Taccarita<br />
• * Valentina Guarino<br />
• * Angelica Pirtoli<br />
• * Giuseppe Sceusa<br />
• * Salvatore Sceusa<br />
• * Vincenzo Leonardi<br />
• * Antonio Carlo<br />
Cordopatri<br />
• * Angelo Riccardo<br />
• * Andrea Savoca<br />
• * Domenico Randò<br />
• * Sandra Stranieri<br />
• * Antonio Scopelliti<br />
• * Libero Grassi<br />
• * Fabio De Pandi<br />
• * Giuseppe Aliotto<br />
• * Antonio Rampino<br />
• * Silvana Foglietta<br />
• * Salvatore D'addario<br />
• * Renato Lio<br />
• * Giuseppe Leone<br />
• * Francesco Tramonte<br />
• * Pasquale Cristiano<br />
• * Stefano Siragusa<br />
• * Alberto Varone<br />
104<br />
• * Felice Dara<br />
• * Vincenzo Salvatori<br />
• * Serafino Ogliastro<br />
• * Vito Provenzano<br />
• * Giuseppe Grimaldi<br />
• * Salvatore Tieni<br />
• * Nicola Guerriero<br />
• * Giuseppe Sorrenti<br />
• * Antonio Valente<br />
• * Vincenzo Giordano<br />
• * Salvatore Vincenzo<br />
Surdo<br />
• * Salvatore Aversa<br />
• * Lucia Precenzano<br />
• * Paolo Borsellino<br />
• * Antonio Russo<br />
• * Antonio Spartà<br />
• * Salvatore Spartà<br />
• * Vincenzo Spartà<br />
• * Fortunato Arena<br />
• * Claudio Pezzuto<br />
• * Salvatore Mineo<br />
• * Alfredo Agosta<br />
• * Giuliano Guazzelli<br />
• * Giovanni Falcone<br />
• * Francesca Morvillo<br />
• * Rocco Di Cillo<br />
• * Antonino Montinaro<br />
• * Vito Schifani<br />
• * Paolo Borsellino<br />
• * Agostino Catalano<br />
• * Walter Eddie Cosina<br />
• * Emanuela Loi<br />
• * Vincenzo Li Muli<br />
• * Claudio Traìna<br />
• * Rita Àtria<br />
• * Paolo Ficalòra<br />
• * Pasquale Di Lorenzo<br />
• * Giovanni Panunzio<br />
• * Gaetano Giordano<br />
• * Giuseppe Borsellino<br />
• * Saverio Cirrincione<br />
• * Antonio Tamborino<br />
• * Mauro Maniglio<br />
• * Raffaele Vitiello<br />
• * Emanuele Saùna<br />
• * Antonino Siragusa<br />
• * Lucio Stifani<br />
• * Beppe Alfano<br />
• * Adolfo Cartisano
• * Pasquale Campanello • * Francesco Aloi<br />
• * Nicola Remondino • * Angelo Calabrò<br />
• * Domenico Nicolò • * Francesco Brugnano<br />
Pandolfo<br />
• * Giuseppe Di Matteo<br />
• * Maurizio Estate • * Francesco Marcone<br />
• * Fabrizio Nencioni • * Serafino Famà<br />
• * Angela Fiume<br />
• * Gioacchino Costanzo<br />
• * Nadia Nencioni • * Peter Iwule Onjedeke<br />
• * Caterina Nencioni • * Fortunato Correale<br />
• * Dario Capolicchio • * Antonino Buscemi<br />
• * Carlo La Catena • * Giuseppe Montalto<br />
• * Stefano Picerno • * Giuseppe Cilia<br />
• * Sergio Pasotto<br />
• * Giuseppe Giammone<br />
• * Alessandro Ferrari • * Giovanni Carbone<br />
• * Moussafir Driss • * Claudio Manco<br />
• * Don Giuseppe Puglisi • * Francesco Tammone<br />
• * Raffaele Di Mercurio • * Antonio Brandi<br />
• * Andrea Castelli • * Antonio Montalto<br />
• * Angelo Carlisi<br />
• * Epifania Cocchiara<br />
• * Riccardo Volpe • * Giammatteo Sole<br />
• * Antonino Vassallo • * Giuseppe Puglisi<br />
• * Francesco Nazzaro • * Anna Maria Torno<br />
• * Loris Giazzon<br />
• * Giovanni Attardo<br />
• * Giorgio Vanoli<br />
• * Davide Sannino<br />
• * Giovanni Mileto • * Santa Puglisi<br />
• * Vincenzo Garofalo • * Salvatore Botta<br />
• * Giovanni Lizzio • * Salvatore Frazzetto<br />
• * Antonino Fava • * Giacomo Frazzetto<br />
• * Don Giuseppe Diana • * Maria Antonietta<br />
• * Ilaria Alpi<br />
Savona<br />
• * Miran Hrovatin • * Riccardo Salerno<br />
• * Enrico Incognito • * Gioacchino Bisceglia<br />
• * Luigi Bodenza<br />
• * Rosario Ministeri<br />
• * Ignazio Panepinto • * Calogero Tramùta<br />
• * Maria Teresa Pugliese • * Pasquale Salvatore<br />
• * Giovanni Simonetti • * Magrì Celestino Fava<br />
• * Salvatore Bennici • * Antonino Moio<br />
• * Calogero Panepinto • * Giuseppe La Franca<br />
• * Francesco Maniscalco • * Ciro Zirpoli<br />
• * Nicholas Green • * Giulio Castellino<br />
• * Melchiorre Gallo • * Agata Azzolina<br />
• * Giuseppe Russo • * Raffaella Lupoli<br />
• * Cosimo Fabio Mazzola • * Silvia Ruotolo<br />
• * Girolamo Palazzolo • * Angelo Bruno<br />
• * Leonardo Canciari • * Luigi Cangiano<br />
• * Llliana Caruso<br />
• * Francesco Marzano<br />
• * Agata Zucchero • * Andrea Di Marco<br />
• * Leonardo Santoro • * Vincenzo Arato<br />
• * Palmina Scamardella • * Incoronata Sollazzo<br />
• * Antonio Novella • * Maria Incoronata<br />
105<br />
Ramella<br />
• * Erilda Ztausci<br />
• * Enrico Chiarenza<br />
• * Salvatore Di Falco<br />
• * Rosario Flaminio<br />
• * Alberto Vallefuoco<br />
• * Giuseppina Guerriero<br />
• * Luigi Ioculano<br />
• * Domenico Geraci<br />
• * Antonio Condello<br />
• * Mariangela Anzalone<br />
• * Giuseppe Messina<br />
• * Graziano Muntoni<br />
• * Giovanni Gargiulo<br />
• * Giovanni Volpe<br />
• * Giuseppe Radicia<br />
• * Orazio Sciascio<br />
• * Giuseppe Iacona<br />
• * Davide Ladini<br />
• * Saverio Ieraci<br />
• * Antonio Ferrara<br />
• * Salvatore Ottone<br />
• * Emanuele Nobile<br />
• * Rosario Salerno<br />
• * Stefano Pompeo<br />
• * Filippo Basile<br />
• * Hiso Telaray<br />
• * Matteo Di Candia<br />
• * Vincenzo Vaccaro<br />
Notte<br />
• * Luigi Pulli<br />
• * Raffaele Arnesano<br />
• * Rodolfo Patera<br />
• * Ennio Petrosino<br />
• * Rosa Zaza<br />
• * Anna Pace<br />
• * Sandro Scarpato<br />
• * Marco De Franchis<br />
• * Anna Pace<br />
• * Antonio Lippiello<br />
• * Salvatore Vaccaro<br />
Notte<br />
• * Antonio Sottile<br />
• * Alberto De Falco<br />
• * Ferdinando Chiarotti<br />
• * Francesco Scerbo<br />
• * Giuseppe Grandolfo<br />
• * Domenico Stanisci<br />
• * Domenico Gullaci<br />
• * Maria Colangiuli
• * Hamdi Lala<br />
• * Gaetano De Rosa<br />
• * Saverio Cataldo<br />
• * Daniele Zoccola<br />
• * Salvatore De Rosa<br />
• * Giuseppe Falanga<br />
• * Luigi Sequino<br />
• * Paolo Castaldi<br />
• * Gianfranco Madia<br />
• * Valentina Terracciano<br />
• * Raffaele Iorio<br />
• * Ferdinando Liquori<br />
• * Giuseppe Zizolfi<br />
• * Tina Motoc<br />
• * Michele Fazio<br />
• * Carmelo Benvegna<br />
• * Stefano Ciaramella<br />
• * Federico Del Prete<br />
• * Torquato Ciriaco<br />
• * Maurizio D'elia<br />
• * Domenico Pacilio<br />
• * Gaetano Marchitelli<br />
• * Claudio Tagliatatela<br />
• * Paolino Avella<br />
• * Michele Amico<br />
• * Bonifacio Tilocca<br />
• * Annalisa Durante<br />
• * Stefano Biondi<br />
• * Paolo Rodà<br />
• * Gelsomina Verde<br />
106<br />
• * Dario Scherillo<br />
• * Matilde Sorrentino<br />
• * Francesco Estatico<br />
• * Fabio Nunneri<br />
• * Massimiliano Carbone<br />
• * Pepe Tunevic<br />
• * Francesco Rossi<br />
• * Attilio Romanò<br />
• * Francesco Fortugno<br />
• * Giuseppe Riccio<br />
• * Daniele Polimeni<br />
• * Gianluca Congiusta<br />
• * Carmela Fasanella<br />
• * Romano Fasanella<br />
• * Domenico De Nittis